I mille volti della pittura italiana alla Triennale di Milano

Lo scrissi nel 1998 il libro che affrontava, per la prima volta in termini teorici, il legame neonativo tra pittura e linguaggio digitale (NQC. Arte italiana e tecnologie: il nuovo quadro contemporaneo, Castelvecchi, 1998). La mia visuale d’insieme considerava il fattore tecnologico come strumento a disponibilità crescente, integrabile alle tecniche tradizionali, mai sostitutivo ma sempre coadiuvante per la costruzione di iconografie dentro il presente del quadro.

Sono trascorsi 25 anni da quel volume per Castelvecchi, nel frattempo sono nati i social media e la filiera sistemica ha trasformato ruoli e pedaggi, spazi e confini. Rivedo oggi con divertito piacere le categorie che individuai per offrire una classificazione allora utile, direi necessaria nel periodo d’incubazione e crescita di un nuovo sistema linguistico. Nel frattempo la pittura si è trasformata in un sistema permeabile che mescola generi e sottogeneri, uscendo da categorie che oggi sono sofismi, evitando filiazioni didascaliche, sottraendo i suoi esiti al rituale chiuso delle appartenenze storiche. Non esiste linguaggio più ampio e universale della pittura, e il suo diapason, intriso di radici e memorie, vibra lungo flussi elettrici che reinventano mondi, distillano universi, raccontano misteri e veggenze.

Quando qualcuno parla di morte della pittura sta ribadendo, senza saperlo, l’immortalità di un linguaggio che è integrato ai nostri gesti primari, alle visioni primordiali, alle azioni sciamaniche che decodificano visioni d’innovazione. Non può morire o andare in coma un linguaggio istintivo e muscolare, connesso al nostro sistema nervoso centrale, ponte di contatto tra cervello e cuore. E non può disperdersi la sua naturale connessione allo spirito del proprio tempo, nel continuum al presente di un oggetto simbolico (il fatidico e immortale quadro) in cui si raccolgono le molecole visuali del più grande spettacolo statico per occhi sensibili. 

Adesso provo ad applicare questa mia breve analisi alla mostra collettiva presentata alla Triennale di Milano. Il progetto con 120 artisti sembra il tipico marchingegno espanso che era comune negli anni Novanta e Duemila, quando si facevano continue, e talvolta riuscite, rassegne di sommario e sintesi. Trasferire al presente un focus complessivo sulla pittura italiana suona oggi strano e distopico, in dissonanza con le modalità liquide che hanno allargato il cerchio del linguaggio pittorico, al punto da rendere troppo parziale e nebulosa la natura stessa della selezione.

Crediticredits veduta dellinstallazione della mostra Pittura italiana oggi photo di Piercarlo Quecchia DSL Studio © Triennale Milano

Ovviamente esistono metodologie curatoriali, ed è quello che Damiano Gullì ha praticato a suo modo per dare contesto alla selezione ed offrire un andamento narrativo, geografico e generazionale. Dentro un ottimo allestimento ci sono tanti artisti fantastici – con decine di loro ho lavorato e continuerò a farlo –, non mancano le belle sorprese, i momenti che meritano un WOW disteso e sorridente. Rimane una domanda su tutte: servono realmente mostre che sono annuari in ordine alfabetico di porzioni curatoriali che si propongono come specchio realistico della pittura in Italia? Non sarebbe più interessante affrontare le selezioni attraverso focus più dettagliati, cluster narrativi delimitati, contesti relazionali specifici, captando i modi in cui è profondamente cambiata la pittura tutta, evitando ripartizioni che sempre perdono pezzi necessari in un momento riassuntivo? Sarebbe utile, ad esempio, l’indagine che cattura il multispecismo tematico, gli ibridi più evoluti, i modi in cui i linguaggi entrano nei temi e viceversa. L’impossibilità delle ricognizioni ad ampio spettro si genera da un dato granitico: l’Italia vive dentro le sue suddivisioni regionali e locali, nei suoi piccoli ma significativi cluster provinciali, proprio come ha ben narrato Luca Beatrice nel suo ultimo libro, dove si rivela un valore che non è limitante ma fonte di riflessioni attualissime e significanti. Dopo anni di forzato e modaiolo globalismo, recuperiamo la densità culturale della Provincia Italia.

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