Probabilmente la mostra antologica di Gianni Caravaggio esige una profonda conoscenza della storia, della filosofia, dell’arte contemporanea e, più in generale, delle scienze da irrigidire persino i più appassionati dell’arte. Ogni opera e particolare scelto dall’artista apre infinite possibilità interpretative, dove qualsiasi testo di sala e didascalia faticherebbe ad essere esaustivo. Probabilmente, dico, perché Per analogiam curata da Elena Volpato per la GAM di Torino e inaugurata lo scorso 31 ottobre, suggerisce un approccio differente.
Discendere al piano -1 della Galleria equivale ad essere inglobati dall’energia gravitazionale di un buco nero, sobbalzare su di un piano di pensiero non usuale e congiungere, per analogia precisamente, i punti di alcune tappe fondamentali dell’artista nel confronto impetuoso con l’universo scibile e non. All’interno di assi cartesiani di spazio e tempo intrisi di interrogativi, si sente forte il riverbero delle opere in mostra intorno alle domande: Cos’è l’uomo? Cosa ci definisce esseri umani? Qual è la nostra posizione nel mondo?
Se lo chiedeva Max Scheler nel lontano 1928, nel tentativo di costruire una vera e propria antropologia filosofica in contrapposizione alle frammentarie antropologie scientifiche, filosofiche, religiose incapaci di considerare l’unicità umana. Gianni Caravaggio parte proprio dalla sua unicità, dal suo vissuto, da quelle sfere strette nel palmo della mano scagliate sulle pareti (come nell’opera Principio) rappresentative di una storia umana globale. Egli si insinua tra le crepe del linguaggio convenzionale per completare il pensiero intorno al concetto di esistenza.
La prospettiva di Caravaggio è la stessa a cui viene invitato il visitatore ad assumere. Si legge nel testo che precede la mostra: “Nell’universo regolato dalla legge dell’analogia, nulla avviene per caso: tutto è cosmo, tutto costituisce significati. Sta allo sguardo di chi ne legge i simboli tracciare i fili di congiunzione tra i fenomeni, riconoscere le similitudini, scoprire la corresponsione tra ‘l’alto e il basso’, tra quanto ci sovrasta e le piccole cose di cui è composta la vita, tra l’universo attorno a noi e l’immagine del mondo che è in noi”.
Dal 1995 ad oggi, il lavoro dell’artista si spinge negli abissi della conoscenza, nella continua alternanza tra buio e luce di cui la mostra ne traduce le istanze più intime e poetiche in un percorso espositivo che costringe la fruizione delle opere sul piano orizzontale della pavimentazione.
Forma e contenuto, principio e fine, materiale e immateriale, danno inizio in medias res al dialogo dell’artista con il mondo attraverso Giovane Universo e L’ignoto. Da una parte, sfere di vetro richiamano alla memoria l’origine dei Pianeti secondo la lente d’ingrandimento della scienza, dall’altra, il blocco di marmo nero rende manifesto quanto ancora non sappiamo dello spazio che abitiamo.
Bisogna scendere qualche gradino più in basso per ricomporre quel dialogo con il mondo che, talvolta, torna ad essere interiore, tra sé e sé, generatore di pensiero. La coperta dell’eremita è emblematica della storia personale dell’artista e dell’uomo al cospetto dell’universo. Nella sua prima versione è stata realizzata per l’Eremo di San Giovanni all’Orfento a Caramanico Terme, in mostra Caravaggio aggiunge il ricamo della costellazione stellare di Torino nel giorno e nell’ora dell’inaugurazione in cui “L’eremita si apparta per accogliere la compagnia celeste che lo scalda”, come scrive l’artista nei brevi commenti che accompagnano le opere. Ed è sotto quella coperta che scalda l’uomo Caravaggio che l’artista restituisce in mostra lo sguardo della fascinazione – come in Un polpo e un calamaro si allontanano per incontrarsi dall’altra parte del globo o una Nuvola che mostra i propri sentimenti – di tensione nel senso di “tendere” verso un’energia superiore nell’Agire come la falce di Chronos nei Tessitori di albe, ne Il tempo mi scorre tra le dita, ma anche l’essere parte della stessa energia come in Starsystem o Attimo.
La conoscenza diventa lo spartiacque di un prima e un dopo nell’unica opera posizionata a parete in “modo canonico”, Orione prima di Giza, e della sua possibilità di vituperazione come con Via dalla luce mia (la verità), rievocando le parole di Diogene di Sinope proferite ad Alessandro Magno.
Se una fine esiste, almeno nel percorso espositivo, Caravaggio la porta a compimento con l’armonia dei contrari: Alla luce del sole e Quando nessuno mi vede, scegliendo un atteggiamento di sorpresa. Lo stupore è ogni nuovo inizio precede le due opere conclusive delineando la peculiare caratteristica di chi ricerca di trascendere il fisico per tornare bambino.
Max Scheler non ha mai compiuto la sua opera definitiva, ma le istanze contenute nella conferenza del 1927 a Darmstadt, confluiranno nel libro La posizione dell’uomo nel cosmo e, a voler rileggere il lungo lavoro svolto da Gianni Caravaggio, Per analogiam sembra procedere in una direzione comune verso un’antropologia filosofica che per l’artista si fa antropologia filosofica dell’arte.
_________________
Gianni Caravaggio
Per analogiam
A cura di Elena Volpato
GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino
1.11.2023 – 17.03.2024