Artista e performer di origini austriache e bolognese di adozione, Greta Schöld (Hollabrunn 1929) è stata testimone attiva di un periodo fondamentale per l’arte e la cultura nel capoluogo emiliano. Negli anni Settanta Bologna rappresentava un centro fondamentale per le arti performative e visive, nel 1974 nasce ArteFiera e nel 1977 si svolge la prima Settimana Internazionale della Performance che coinvolge artisti del calibro di: Hermann Nitsch, Marina Abramović, Ulay e Robert Kushner.
“Il tempo non esiste” è una mostra omaggio, la prima dedicata all’artista da un’istituzione della città (la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna), che intende approfondire la ricerca poetica di Greta Schödl caratterizzata da un’approfondita riflessione sul legame tra identità individuale e percezione del tempo. Il titolo della mostra, curata da Silvia Evangelisti e Valentina Rossi, evidenzia infatti lo spirito delle sue opere, che si oppongono all’idea convenzionale di tempo, focalizzandosi sulla processualità della pratica artistica e non sulla sua durata effettiva.
Il progetto espositivo, visibile dal 26 gennaio al 17 Marzo 2024 nella sale della Fondazione del Monte, presenta il variegato processo creativo di Schödl dal mosaico, alla scultura, al disegno, alla pittura, fino alla scrittura e alla performance, offrendo l’opportunità di conoscere l’archivio dell’artista che comprende materiali eterogenei e fotografie, tra cui una serie di scatti realizzati dal celebre fotografo bolognese Nino Migliori. Immagini che saranno destinate a nuova vita durante l’esposizione tramite l’inclusione di tre storiche performance eseguite dall’artista: “Tubo” (1978), “Bidone” (1978) e “Straßenpoesie” (1980). Queste performance saranno oggetto di un reenactment, alla presenza dell’artista e dello stesso Nino Migliori, coinvolgendo come performer gli studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Bologna, sabato 3 febbraio, alle ore 12.30 in Piazza Maggiore. Si tratta di un’operazione che si avvicina alla performance “per delega” teorizzata da Claire Bishop, ossia l’atto di arruolare non professionisti o specialisti in altri ambiti per svolgere il compito di essere presenti e performare in un momento e in un luogo specifico, seguendo le direzioni dell’artista.
Nell’operato artistico di Greta Schödl appare fondamentale la manualità, attraverso la scrittura e la reiterazione delle azioni e dei segni l’artista riscopre se stessa nel gesto che altro non è che una dichiarazione di vitalità e partecipazione al mondo. Sono proprio le mani ad imporre una forma, un contorno, uno stile alle opere, tramutandosi in volti senza occhi e senza parole ma in grado di vedere e parlare. La serie “Manomania”, tratta da un libro d’artista composto da 16 pagine decorate tramite l’uso di china, pigmenti, acrilici e oro a caldo, restituisce a pieno il significato simbolico attributo alla mani come strumenti di creazione artistica e non solo. Sulla superficie le mani di Schödl brulicano di vita, sensibili e camaleontiche, finiscono per diventare fitomorfiche raccogliendo un universo ricco di storia, desideri e sentimenti.
Essere nel tempo per l’artista significa immergersi nel flusso dell’esistenza che comprende il presente che a sua volte contiene il passato e si affaccia al futuro, in una spazio-temporalità continua che unisce uomo e natura. Per questo motivo, la mostra non addotta un taglio cronologico focalizzandosi su alcuni temi centrali nella sua storia di donna e di artista partendo dalla scelta dei materiali e dalla loro manipolazione. Seguendo un percorso che richiama il ready made, gli oggetti colti dal contesto della quotidianità vengono trasformati in qualcosa di diverso, complesso, che unisce il concettuale al concreto pretendo parte ad un poetico gioco di contaminazioni tra linguaggio verbale e visuale. Difatti, la continua reiterazione della parola sui manufatti ne esplicita la duplice esistenza nell’universo delle idee e in quello delle cose.
È il caso dell’opera “Asse da stiro” (1978), nella quale l’artista veste l’oggetto del proprio nome togliendolo dalla routine quotidiana per elevarlo a simbolo, capace di racchiudere una molteplicità di suggestioni e ricordi legati all’ambito domestico. Quella proposta dall’artista è una scrittura ideografica, nella quale i segni acquisiscono un altro significato, che appartiene solo al suo vocabolario visivo e artistico in una sorta di “nuova epifania della parola”. Analogamente a quanto avviene in “Rosenwalzer” (1980-90), dove un disco per pianoforte meccanico viene privato di alcune parti e sovrascritto, simulando una sorta di interazione tra le tracce perse e quelle acquisite attraverso l’intervento artistico.
In questo processo concettuale Schödl arriva a coinvolgere la sua stessa corporeità, imprimendo sulla tela l’impronta del suo tallone o del suo pollice e tracciando quindi con un lembo di pelle dettagli del corpo che assumono il ruolo di veicoli, testimonianze del proprio percorso unico e, al contrario delle singole parole, irripetibile. Per confrontarsi con il suo lavoro è necessario immergersi nella dimensione dell’anima, lasciarsi travolgere per perdersi nel suo immaginario visivo, frutto di un lungo percorso di ricerca e meditazione. Dietro all’elegante equilibrio cromatico delle sue opere e all’utilizzo della foglia d’oro non si celano solo i riferimenti alla cultura e formazione viennese, ma anche una paziente trascrizione di avvenimenti ed emozioni che hanno cambiato profondamente Greta Schödl e Bologna, divenute ormai complici inseparabili nella vita e nell’arte.