Alta e bassa definizione, messa a fuoco e autofocus, pixel su pixel, peso digitale tra mega e giga… materie fluide per questioni ottiche a presa rapida, cuore di un digitalismo epocale che attraversa la microingegneria per diventare essenza sociologica (con ricadute utili per gli antropologi). In realtà dietro cotanto perfezionismo si nasconde un processo oscuro che rende passivo il consumatore medio, tecnicamente inerme davanti ai software predefiniti che alimentano (e saturano) il narcisismo digitale, ultimo rito “sacro” che plasma l’Uomo a due dimensioni (traslando l’Uomo ad Una Dimensione di Marcuse, ripresa al cinema da Marco Ferreri con l’uomo predigitale di Dillinger e morto, oggi rappresentabile come Uomo Digitale che direbbe “Dillinger è morto ma anche la verità fotografica non se la passa tanto bene”).
Il mondo tecnologico sviluppa egregore a ciclo continuo, in particolare con circuiti chiusi di visione e ascolto, le due azioni socialmediali su cui si sta incuneando l’azione tattile, terzo senso di un triangolo chiamato Intelligenza Artificiale (occhio + orecchie + epidermide = AI). Ormai sono le grandi aziende a prendere il posto degli Stati, assumendosi la responsabilità pedagogica della risoluzione ottica, plasmando il nostro immaginario tra prodezze formali, nuove percezioni e un’infinita cosmetica dell’originale.
In quest’oceano fotodigitale chi può ancora detenere la biologia dell’immagine? L’artista visivo, ça va sans dire…
Davanti ai monopoli dell’estetica digitiale, possiamo aggiungere che è finito il tempo dell’oggettività fotografica. Stiamo ritrovando nel disegno e nella pittura l’essenza di una verità seminale e rigenerante; nel mentre crescono immagini digitali senzienti che somigliano sempre più alla pittura surreale e fantastica, accertando una verità che si trova solo dentro la nostra idea di mondo. Un grande merito degli artisti è proprio ricordarci che nel mondo esterno non esistono più verità univoche ma tutto richiede complessità e competenze, così da bilanciare a nostro favore neoumanesimo ed etica tecnologica.
Miaz Brothers (le cui opere sono esposte alla Galleria d’Arte Moderna di Roma fino al 26 maggio nella mostra “Reality Optional. Miaz Brothers con i maestri del XX secolo“) sembrano chirurghi oculistici che studiano la salute altalenante dell’immagine. Sono tante le patologie estetiche nel legame tra analogico e digitale, alcune risolvibili altre meno, tutte ascrivibili ad una techne che è nel circuito del nostro stesso guardare. Impossibile sottrarci alla centralità di immagini fisse o in movimento, sono il piano di realtà che fagocita l’esperienza dal vivo e che, spesso, trasforma la realtà in una sequenza di molteplici e plausibili verità.
Qui al museo la partita si gioca su uno degli effetti più misteriosi e alchemici, il cosiddetto Blurred Effect, quel metodo di sfocatura gassosa in cui l’immagine sembra vapore frizzato, con una perdita di consistenza fisionomica che potremmo leggere anche in modo inverso, come crescita generativa che dal vapore primordiale conduce alla messa a fuoco.
Blurry World è lo status del buffering reale ed esistenziale, il caricamento metafisico che fa girare senza tregua la rondella, con il desiderio del passaggio ottico in cui l’astrazione si astrae da se stessa e l’immagine passa da embrione a corpo adulto. Miaz ci pongono davanti al continuum del buffering retinico, chiedendo al nostro cervello di ricostruire la trama dei pixel, alimentando quel senso di verità interiore che oggi rimane l’unica via possibile nel marasma di voci sovrapposte.
Il duo è entrato in azione nella Galleria Comunale d’Arte Moderna di via Crispi, luogo un pochino angusto per il mio gusto ma dotato di una collezione meritevole e sorprendente, tra campioni noti e tanti nomi “minori” che meriterebbero riscoperte virtuose. Nei piani del museo scopriamo opere dei Miaz che sono il gemello sfocato dell’originale di Giacomo Balla e di altri artisti; altre volte il dialogo nasce per ispirazioni indirette che creano traslazioni semantiche; altre ancora vediamo corpi femminili che, dentro la stessa tela, dialogano con opere di Haring o Lichtenstein; e poi ci sono le riprese di opere famose, da Raffaello a Vermeer, sotto la lente gassosa del blurred effect. Diversi schemi d’azione per un viaggio nel ritratto durante i secoli, tra evidenze e nascondimenti, direzioni e false piste, nella fissità alchemica del buffering metafisico che supporta la crescita del nostro occhio digitale.