Sono circa le 4:30 di notte in Italia (le 22:30 di sera a New York), quando il mondo scopre che Donald Trump è diventato, per la seconda volta consecutiva, presidente degli Stati Uniti d’America. Non accadeva da 131 anni, ossia dal lontano 1893, quando il democratico Stephen Grover Cleveland venne rieletto dopo il suo primo mandato del 1885.
“Abbiamo fatto la storia. È una magnifica vittoria che ci consentirà di rendere l’America di nuovo grande”, ha detto il tycoon sul palco di West Palm Beach, quando il risultato non era ancora stato ufficializzato. Non si è fermato qui: ha promesso al suo elettorato una “nuova età dell’oro” e che fermerà le guerre in corso in Medio Oriente e in Ucraina .
Stavolta a votare Trump non sono stati solo gli uomini bianchi poco alfabetizzati. Il candidato repubblicano sembra aver convinto un pubblico vasto ed eterogeneo, composto anche da latinos, arabi americani, donne e classe media del Mid West. Una vittoria schiacciante sull’avversaria Kamala Harris.
A nulla è servito lo schieramento di artisti, celebrities e vip progressisti a sostegno dell’ex vicepresidente USA. Come nel 2016, quando la corsa alla Casa Bianca ha visto scontrarsi Hilary Clinton sempre con Trump, il Partito Democratico ha cercato aiuto nelle dell’élite hollywoodiana e nel mondo degli artisti, da sempre più vicini ai valori di sinistra e alla causa progressista. Una scelta che si è rivelata però, di nuovo, fallimentare e controproducente.
Simbolo di questa alleanza tra artisti e democratici è stato il poster di OBEY (nome d’arte di Shepard Fairey), che ha ritratto Kamala Harris sorridente, in tonalità blu, in contrasto con il rossetto rosso, mentre sotto campeggia la scritta, in maiuscolo, FORWARD (“AVANTI”). Già nel 2008, per la campagna elettorale di Barack Obama, l’artista si era distinto per l’iconico manifesto HOPE (“SPERANZA”), che era finito per diventare il simbolo non ufficiale della campagna. Se però, in quell’occasione, l’omaggio aveva portato fortuna a Obama, la stessa cosa non è accaduta nel caso di Harris, che è stata, a sorpresa, sconfitta da Trump.
La decisione di riutilizzare la stessa struttura visiva e gli stessi colori già usati per Obama non ha premiato la nuova opera di OBEY, che molti statunitensi hanno ritenuto, più che un’opera d’arte, un mezzo propagandistico nelle mani dei dem. OBEY non è stato però l’unico artista visivo ad appoggiare la candidata dem. Diversi artisti affermati hanno infatti espresso sostegno per Harris e il Partito Democratico in occasione delle ultime elezioni presidenziali.
Tra questi troviamo Carrie Mae Weems, Beverly McIver, Richard Prince, Wangechi Mutu, Cindy Sherman, Hank Willis Thomas, Jeffrey Gibson, Ann Hamilton, Titus Kaphar, Simone Leigh e Judy Chicago. Alcuni di loro hanno creato opere specifiche per mobilitare gli elettori contro Trump e difendere la democrazia americana. In particolare Beverly McIver ha realizzato un’opera intitolata Vote Black Beauty (2024), che affronta temi di giustizia razziale e di genere. Judy Chicago, famosa per il suo impegno per i diritti riproduttivi, ha donato invece stampe oversize, mentre il celebre attore Leonardo DiCaprio ha sostenuto la raccolta fondi con opere provenienti dalla sua collezione personale.
In totale, più di 165 artisti hanno partecipato a un’asta di beneficenza organizzata dal comitato Artists for Kamala, contribuendo con opere i cui proventi erano destinati al Harris Victory Fund, che raccoglie fondi sia per la campagna di Harris sia per i gruppi democratici. Un’iniziativa che ha dimostrato l’impegno di una fetta del mondo dell’arte statunitense per valori come uguaglianza e diritti umani, sui quali Harris ha basato la sua campagna.
In termini di fondi raccolti per la campagna, i documenti depositati dalla FEC (Federal Election Commission) il 24 ottobre scorso, mostrano che la candidata dem è riuscita a staccare di netto l’avversario, incassando 1,2 miliardi di dollari in questa tornata elettorale. Una cifra decisamente più alta di quella raggiunta dal Trumps National Committee (JFC), che HA RACCOLTO fondi per la campagna di Trump e per il Republican National Committee, che ha incassato solo 375,3 milioni di dollari.
Tutti gli sforzi messi in campo dagli artisti e dal variegato mondo progressista non sono però bastati ad assicurare la vittoria a Harris.
Dall’altra parte, anche se il sostegno del mondo dell’arte a Donald Trump è stato pressoché inesistente, il nuovo presidente USA, ha saputo attirare consensi, anche inaspettati, provenienti da alcune figure del mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento. Endorsement che forse sono stati meno decisivi per la sua rielezione e che dimostrano però come il peso delle celebrities e della cultura pop rivesta un peso sempre minore nelle sorti delle elezioni statunitensi, che si giocano su altri temi e in altri contesti. Sempre più imprevedibili e difficilmente incasellabili.
Tra gli artisti e le personalità del mondo dello spettacolo che hanno espresso il loro appoggio a Trump figurano comunque Jim Caviezel e Mel Gibson, attori noti per il film La Passione di Cristo (2004), e Zachary Levi, attore di Shazam (2019), che ha partecipato a un comizio di Trump in Michigan, esprimendo preoccupazione per le possibili ripercussioni sulla loro carriera per il suo sostegno pubblico al tycoon.
Diverso è il discorso se ci spostiamo in campo musicale. Se anche in questo settore, la tendenza generale è stata quella di schierarsi a favore di Kamala Harris, tuttavia, stavolta diversi cantanti e rapper hanno usato la loro voce per sostenere Trump. Artisti come Kid Rock e Ted Nugent hanno dichiarato il loro sostegno pubblico al candidato rep negli ultimi comizi, così come Anuel AA e Justin Quiles, musicisti portoricani, Aaron Lewis, cantante dei Staind, la star del country rock, Jason Aldean, e Kanye West, famoso e controverso rapper e produttore musicale.
Dall’altro lato del campo, la lista di vip e cantanti che hanno fatto il loro endorsement a Harris è lunghissima. Emblematico è stato il caso della cantante inglese Charlie XCX, autrice dell’iconico album BRAT, uscito nel 2024, che ha riscosso un successo mondiale. Consapevole dell’importanza che la cultura pop e i meme rivestono nell’era social, lo staff del comitato elettorale di Harris ha deciso di sfruttare la viralità di quell’album e la riconoscibilità del colore verde acido della copertina, per piegarlo a favore della candidata dem. Così, già poche ore dopo la notizia del ritiro di Joe Biden dalla corsa presidenziale, il nuovo slogan della campagna dem era diventato: “Kamala Harris is brat” (espressione che sta per “monella” o, più in generale, “ragazza libera e anticonformista”, ndr), accolto con giubilo e ironia dal popolo social e convalidato dalla cantante stessa. Così come Trump aveva sfruttato a suo favore la cultura meme alle elezioni del 2016, diventandone il re incontrastato, allo stesso modo Kamala Harris ha cercato di emulare il tycoon adottando una tecnica simile, che però non si è rivelata ugualmente efficace.
Non solo il Brat factor. Ad appoggiare ufficialmente la corsa della candidata dem si sono aggiunte alcune delle star più note della musica a stelle e strisce: Bon Jovi, Lady Gaga, Taylor Swift, Katy Perry, Christina Aguilera, Bad Bunny, Beyoncé, ma anche rapper come GloRilla e MC Lyte, che hanno dichiarato l’appoggio a Harris, incoraggiando il voto soprattutto tra i giovani e le minoranze. La maggior parte di questi artisti ha partecipato a vari eventi e comizi elettorali, esprimendo il proprio sostegno attraverso esibizioni e discorsi a tema.
In generale, la campagna Artists For Democracy 2024 ha utilizzato vari mezzi di comunicazione, dai cartelloni pubblicitari ad altre piattaforme, per esortare le persone a votare e proteggere la democrazia americana. Una conferma del fatto che l’arte e la musica in queste elezioni, così come in quelle passate, sono state utilizzate come strumento di attivismo politico e di influenza culturale.
Una strategia non nuova al Partito Democratico che, infatti, è stato soprannominato dai Repubblicani e dai oppositori il “partito di Hollywood”, in riferimento al sostegno di cui gode da parte di molte celebrità e figure influenti dell’industria dell’intrattenimento, già a partire dagli anni ’60. Molti elettori ed elettrici, anziché giudicare positivamente gli endorsement degli artisti appartenenti all’area progressista per il Partito Democratico, hanno visto in questa strategia un tentativo di influenzare l’opinione pubblica, virando così verso Trump, che si è presentato come una figura anti-establishment, fortemente ostile all’élite di Hollywood e agli ambienti progressisti.
La vera sfida di queste elezioni si è combattuta però sui social network. Se lo staff di Harris ha saputo utilizzare in modo brillante i canali social della candidata, realizzando contenuti di successo e sfruttando l’appoggio di influencer e celebrità note al grande pubblico, la sfida a colpi di meme e di video virali su TikTok, è stata vinta a mani basse da Trump, che ha potuto contare sull’appoggio incondizionato di Elon Musk, patron di Tesla e di X, dove notizie sensazionaliste e spesso non verificate, circolavano indisturbate.
A contribuire alla costruzione dell’agiografia di Trump sono stati però soprattutto alcuni tentativi di attentati (tre in totale) che si sono verificati durante la campagna elettorale. Quello più eclatante, avvenuto il 13 luglio 2024, mentre il candidato repubblicano teneva un comizio elettorale in Pennsylvania, è quasi costato la vita al neo-presidente, che però ne è uscito illeso, tranne una lieve ferita all’orecchio, che lo ha costretto a portare una vistosa benda nei giorni successivi. Il fatto di essere scampato alla morte per un soffio e il suo ormai celebre grido Fight! (“Combattiamo!”) accompagnato dal pugno alzato al cielo, hanno reso Trump un’icona tra i suoi sostenitori. Una sorta di semi-dio da venerare, proteggere e sostenere.
La lezione per i dem sembra chiara: non bastano poster, quadri, canzoni e lustrini per vincere. L’arte è in grado trasmettere messaggi potenti e può trasformarsi in un mezzo di influenza, o di propaganda, nel caso dei regimi, in mano alla politica, ma in un mondo complesso e polarizzato come il nostro, la funzione, il ruolo e l’autorevolezza del mondo dell’arte possono mutare velocemente. Vince allora chi sa interpretare meglio questi umori, anche se di arte, magari, non ci capisce niente.