Questo mese Profondo Rosso, il capolavoro più celebre di Dario Argento, festeggia il suo 50° anniversario. Uscito il 7 marzo 1975, il film sconvolse il pubblico e ridefinì le regole del thriller all’italiana, fondendolo con l’horror in quello che sarebbe diventato il marchio di fabbrica definitivo di registi come Lucio Fulci e lo stesso Argento.
Ma cosa rende questo film un vero e proprio cult? E quali segreti e curiosità si celano dietro quest’opera che ha conquistato il mondo intero?
Profondo Rosso rappresentò una svolta, sia per la carriera del regista che per il cinema di genere, grazie a un utilizzo innovativo della macchina da presa e a una gestione del colore assolutamente distintiva. Argento trasformò ogni scena in un’opera visiva, dove la dominante cromatica giocava un ruolo fondamentale nella narrazione. In particolare, il rosso, che divenne il motivo prevalente del film, assunse una centralità tale che il regista decise di dedicarvi il titolo.

Il nome originale, La tigre dai denti a sciabola, si sarebbe inserito nella logica dei suoi lavori precedenti noti come la “trilogia degli animali” (L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio).
L’aspetto più rivoluzionario del film è un’idea audace: Argento sfida lo spettatore, mostrando l’assassino fin dall’inizio, in un’inquadratura apparentemente casuale. L’incredibile e precoce rivelazione è inserita come un dettaglio camuffato, che solo alla fine si svela chiaramente. Un gioco di specchi ed immagini in cui lo spettatore inevitabilmente finisce col distrarsi. Il messaggio implicito suggerisce che la verità è spesso sotto i nostri occhi, ma non siamo in grado di vederla finché non siamo davvero pronti a riconoscerla.
La trama è volutamente onirica e si sviluppa attorno all’omicidio di Helga Ulmann, una medium uccisa da un enigmatico individuo mascherato, il cui modus operandi è accompagnato da una sinistra ninna nanna. Marcus Daly, pianista jazz e testimone del delitto, si lancia in un’indagine con l’aiuto della giornalista Gianna Brezzi. Ma presto si accorge che ogni possibile testimone viene sistematicamente eliminato.

Tra i personaggi più misteriosi emerge Marta, la madre di Carlo, interpretata da Clara Calamai, grande attrice degli anni Quaranta che si era ritirata dalle scene.
Calamai fu scelta per un motivo preciso: il regista desiderava un volto capace di trasmettere un senso di decadenza e nostalgia. In una scena del film, Marcus visita la casa della madre di Carlo, dove osserva delle fotografie: si tratta di immagini autentiche dell’ex diva sui set dei suoi film degli anni Trenta e Quaranta. Questo dettaglio arricchisce il racconto con una dimensione metanarrativa, creando un sottile legame tra realtà e finzione. Marta, che inizialmente appare come una donna premurosa, si trasformerà lentamente in una figura temibile, come accade spesso con i personaggi femminili nei film di Argento.
Nell’autobiografia “Paura” (Torino, Einaudi, 2014), Dario Argento ricorda l’ infanzia trascorsa al seguito della madre Elda, nello studio Luxardo. Le sessioni fotografiche con le modelle, in particolare i giochi di luce e di ombre sui corpi delle donne influenzarono sia il suo gusto estetico che, metaforicamente, la visione del mondo femminile.

A intensificare l’atmosfera inquietante di Profondo Rosso contribuisce l’iconica colonna sonora, affidata ai Goblin su consiglio di Daria Nicolodi, dopo che i Pink Floyd rifiutarono l’offerta. Il bassista del gruppo appare anche in un cameo nel film.
La pellicola è ricca di dettagli curiosi e aneddoti legati al set. Daria Nicolodi, che interpreta la giornalista Gianna Brezzi, sarebbe poi diventata la compagna di Argento. Si racconta che, per impressionare il regista, la Nicolodi si presentò al provino con i capelli cosparsi di zucchero e ottenne solo un rimprovero. Mentre per il ruolo del protagonista maschile, Argento selezionò David Hemmings dopo essere rimasto impressionato dalla sua interpretazione in Blow Up di Antonioni.
La curiosità più stupefacente riguarda le mani dell’assassino che in realtà, sono quelle dello stesso Argento. Il regista volle girare personalmente queste scene, ritenendo che fossero troppo cruciali per poter essere affidate a un attore.

Protagonista silenziosa della pellicola è Torino, definita da Argento “il luogo dove gli incubi stanno meglio” e dunque, inevitabilmente, scenario per questo ed altri film della sua carriera. La città, nota come capitale della magia sia bianca che nera, aveva segnato il regista durante una gita da bambino che lo aveva lasciato pieno di turbamento e fascinazione. Parte delle riprese si svolse a Villa Scott, un tempo centro di recupero gestito da suore, scelta per l’architettura caratteristica. Per girare in tranquillità, il regista fece in modo che suore e pazienti andassero in vacanza a Rimini, a spese della produzione, garantendosi così il completo controllo sulla location. Durante le riprese, fu allestito anche un locale immaginario, il Blue Bar, situato in Piazza C.L.N. a Torino. Lo stile del locale si ispira al celebre quadro di Edward Hopper, I nottambuli, con la sua atmosfera solitaria e inquietante che si integrava perfettamente con la tensione del film. Il bar attirò numerosi passanti che, convinti, vi entravano credendo fosse un vero locale.
Il nome Profondo Rosso è diventato talmente iconico che Dario Argento ha scelto di registrarlo come marchio nel 2001, per tutelare l’immagine e il legame con il film. E a Roma, in Via dei Gracchi, ha aperto un negozio-museo omonimo che è diventato un punto di riferimento imperdibile per gli appassionati dell’orrore provenienti da tutto il mondo.