È in corso, fino al 1 settembre, al Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto, la mostra “Torino Anni 50’ – La grande stagione dell’informale”, a cura di Francesco Poli, che punta i riflettori su capolavori inediti della “nuova” scena artistica piemontese, che andò dal secondo dopoguerra ai primi anni ’60 del Novecento.
È l’epoca della consacrazione di “Torino: città quadrata e quadrettata” a centro nazionale di arte contemporanea, propulsore delle nuove tendenze post-belliche italiane e catalizzatore di modi artistici internazionali.
Spiccano, fra gli attori protagonisti dell’epoca, la galleria La Bussola, dove crebbero i giovani Piero Ruggeri, Sergio Saroni e Giacomo Soffiantino e raggiunsero notorietà maestri come Luigi Spazzapan, Umberto Mastroianni, Mario Lattes, Carol Rama e infine Mario Merz; e la Galleria Notizie, palcoscenico delle più importanti mostre dei ben più noti Lucio Fontana, Asger Jons, Alberto Burri e Antoni Tapiés.
L’irrequietezza sabauda iniziò a prendere forma quando i torinesi dimostrarono di voler prendere posizione rispetto ai loro autorevoli predecessori per diventare i primi discepoli del Movimento Arte Concreta nel capoluogo piemontese, grazie al capostipite Albino Galvano.
Da qui, il passo all’informale fu breve: dall’astrattismo geometrico si esplora sempre più il senso del gesto, del segno sulla materia pittorica, caricato di spontaneità e irrazionalità, influenzato dalla forte esigenza di espressione di sé, lungamente silenziata negli anni bellici. Le opere si liberano delle regole per “ritornare” alla primordialità e raccontare suggestioni incantate e “fiabesche”.
“Art autre” la definì il critico francese Michel Tapié (1952) riprendendo un’espressione di Dubuffet, perché si aprì la strada alle sperimentazioni al di là dei confini tradizionali dell’arte pittorica conosciuta fino a quel momento.
La stagione espositiva torinese non era mai stata più ricca prima di allora. Gli esponenti indiscussi della scena informale internazionale, addirittura americani e giapponesi, venivano riuniti tutti in città per farsi conoscere ai grandi collezionisti nostrani che, a partire dal 1959, avevano un nuovo luogo di ritrovo: la Galleria Civica d’Arte Moderna.
Questa mostra celebra e intende rendere nota una florida stagione dell’arte piemontese – tra i movimenti rappresentati anche l’esperienza del Laboratorio Sperimentale di Alba (1955) – e accorpa alcuni eccellenti esempi dell’arte informale, andando a ricostruire quell’habitat che in seguito vide lo sviluppo di templi dell’arte contemporanea, quali il Castello di Rivoli e Artissima.