Capita molto spesso che, parlando di archeologia con chi è riuscito a sfuggirne alla presa ipnotica, mi venga rivolta la seguente domanda: “ma cosa c’è rimasto ancora da scoprire?”
Ora, la domanda in sé per sé ha una sua logica, dopo secoli di “sforacchiamenti” qualcuno potrebbe pure pensare che “le cose da scoprire” siano finite, o stiano per finire. Se per un attimo ci dimenticassimo che fare archeologia significa, tra le tante cose, ricostruire la storia dell’uomo, e che questo abita il nostro pianeta da talmente tanto tempo che è anche difficile pensare a una fine di questa ricerca, e volessimo dare una risposta a bruciapelo a questa domanda, penso che una valida potrebbe essere: “Basta andare in Egitto per scoprirlo!”
Il paese dei faraoni può vantare una delle storie archeologiche più lunghe e straordinarie, eppure non smette mai di regalare nuove sorprese e nuove emozioni. Ci sono siti il cui nome è divenuto ormai leggendario, e tra essi spicca senza dubbio Saqqara, la grande necropoli di Menfi, Ineb Hedj (“Le Bianche Mura”), capitale delle prime Dinastie e sito dei primi edifici piramidali. Qui, la Mission archéologique franco-suisse de Saqqara, guidata dall’egittologo dell’Università di Ginevra Philippe Collombert e dall’archeologo dell’Institut national de recherches archéologiques préventives Xavier Hénaff, ormai da più di sessant’anni porta avanti indagini di scavo e ricerca, e lo scorso dicembre ha riportato alla luce l’ennesima piccola grande perla.
Nell’area meridionale della necropoli, lì dove trovavano riposo i più alti funzionari delle corti di Antico Regno (2700-2200 a.C.), è riemersa una cosiddetta màstaba (la struttura funeraria monumentale più antica utilizzata in Egitto, caratterizzata da una struttura in elevato tronco-piramidale in mattoni di fango e camere sepolcrali ipogee), fatta edificare per ospitare la vita dopo la morte di un certo Teti-Neb-Fu, medico reale alla corte del faraone Pepi II (VI Dinastia). In realtà, a definirlo “medico reale” rischieremmo di fare un bel torto al povero Teti-Neb-Fu, in quanto le iscrizioni rinvenute all’interno della sua tomba elencano una lunga serie di titolature e incarichi, di cui, vista l’iterazione, Teti-Neb-Fu doveva andare piuttosto fiero: capo medico di palazzo, capo dentista (titolo molto raro da riscontrare in ambito egizio), sovrintendente delle piante medicinali, sacerdote e mago della dea-scorpione Serqet, incaricato di far fronte alle punture e ai morsi velenosi.
Quello che, però, rende spettacolare questa nuova scoperta non è tanto il rango (seppur molto elevato) del defunto, quanto le straordinarie decorazioni della tomba. Infatti, nonostante quest’ultima sia stata verosimilmente saccheggiata già in antico, si conservano ancora delle decorazioni, sia dipinte che in incisione, dallo stato di conservazione pressoché immutato. La policromia lascia veramente di stucco, a partire dal soffitto, dipinto di rosso e nero a simulare il prezioso granito, con un realismo davvero impressionante, e proseguendo con le pareti, che, invece, lasciano una testimonianza molto importante legata alla raffigurazione di mobilio e offerte legati al mondo funerario (assolutamente notevoli sono le raffigurazioni dei pettorali).
Altrettanto degna di nota, oltre alla lunga iscrizione già citata col nome e i titoli del funzionario, è la decorazione policroma della falsa porta, un elemento architettonico di primaria importanza in ambito funerario egizio, poiché consentiva il transito del Ka del defunto dal mondo dei vivi a quello dei morti, e viceversa. Infine, è ancora conservato il sarcofago del medico, in pietra e anch’esso riccamente decorato, sebbene alcun resto umano sia stato rinvenuto.
Quindi, per rispondere alla domanda iniziale, sì, di cose da scoprire ce ne sono ancora molte, e possono essere anche incredibilmente belle. Un ottimo modo per cominciare un nuovo anno di archeologia.
Buon anno a tutt*.