È morto un enfant terrible. E quando muore un bambino, benché terribilmente discolo, il cordoglio è più grande e più sincero. Perché un bambino dice sempre la verità, e la verità è quasi sempre terribile. Oliviero Toscani se ne è andato oggi, 13 gennaio 2025, a poche settimane dal compimento dell’ottantatreesimo compleanno. Una vita media contemporanea, per l’anagrafe e la biologia umana, ben sopra la media per come e quanto è stata vissuta.
Oliviero Toscani, nato nel 1942 a Milano, aveva pubblicato sul Corriere della Sera (dove lavorava il padre, come fotoreporter) a 14 anni. Era il volto di donna Rachele Mussolini, ripresa nell’attimo in cui venne tumulato il Duce a Predappio. Fu il debutto di una vocazione ereditaria, certamente, ma sicuramente rinvigorita da un potente spirito naturale e originale per la comunicazione visiva, interpretata negli anni a venire attraverso l’impiego intensivo e istintivamente spregiudicato, e cioè autenticamente vero, del mezzo fotografico. Un istinto messo a punto tecnicamente nelle scuole d’arte svizzere, e poi coltivato, mai disatteso né inascoltato, negli anni successivi, gli anni a cavallo tra due millenni che hanno costellato la carriera di un fotoreporter appassionatamente disincantato (un contraddittorio prodigio che si manifesta negli enfant terrible che sono anche enfant prodige). Anni raccontati per immagini crude e belle che ormai sono la testimonianza di un’epoca.
A torto, precisò lo stesso Toscani – con la consueta vis polemica – in un’intervista resa a chi scrive alcuni anni fa, si ritiene che il codice di comunicazione suo prediletto sia stato quello della pubblicità, e addirittura quello della moda. “Io non ho mai fatto pubblicità – dichiarò –. A me interessa descrivere e raccontare alcuni temi sociali e per farlo mi sono detto: come posso essere visto nello stesso giorno su tutti i giornali del mondo? La pubblicità di moda era l’unico modo”.
Ed ecco, come in un gioco di parole dalla soluzione azzeccata, che le copertine del mondo cominciarono all’unisono a riprodurre modelle e modelli di tutti i colori, tutti uniti in abbracci inclusivi e gioiosi. Ma, con lo stesso spirito, nudo e crudo, vero e sincero, ecco apparire nel mezzo cielo di tutte le città il corpo avvilito dall’anoressia di una fashion victim esemplare, monito cubitale e denuncia globale sui danni epocali di un business spietato.
Toscani ha, soprattutto, rappresentato nella comunicazione fotografica aspetti e profezie della post modernità che filosofi, sociologi ed esegeti tutti del mondo contemporaneo hanno trattato sui loro specifici canali: pensiero debole, società fluida, laicizzazione dello spirito, relativismo religioso, e altri simboli correnti del codice di pensiero attuale si sono manifestati icasticamente, all’improvviso come epifanie millenariste, nei baci profondi tra preti e suore, e prima ancora – celeberrima icona – nel “chi mi ama mi segua” ammiccato dalle terga di un sensualissimo culetto di adolescente inguainato in attillatissimi jeans Jesus versione hot pants. Per non dire delle esilaranti copule tra puledre e stalloni black & white.
Oliviero Toscani è stato, indubbiamente, l’outsider della fotografia di cronaca, che prendendo a pretesto la comunicazione pubblicitaria, cavalcando acrobaticamente l’immagine di moda come uno dei suoi mustang, in piedi sulla sella, e castigando i costumi con frustate di ironia e di satira feroce e genuina, ha interpretato lo spettacolo universale del mondo, veridicamente offensivo, immorale, spietato e diabolicamente ingiusto, catalogandolo in milioni di scatti di otturatore.
Probo, e titanico, lo sforzo degli ultimi anni del fotografo: ritrarre l’intera razza umana. Il lavoro era cominciato e conta già centinaia di migliaia di volti. Una sorta di testamento incompiuto, ma anche una eredità da raccogliere e dividere. Realismo e verità non sono mai stati più coincidenti, nel progetto creativo di Oliviero Toscani, il fotografo che voleva raccontare la realtà del mondo e della vita in un flash.
L’impresa è solo cominciata. L’ultimo regalo di un enfant terrible che ci ha lasciato, di un enfant prodige che non può stupire più. Insomma, di un artista che ha inventato una nuova forma d’arte.