Fabio Viola, Videogame Curator presso il Museo Nazionale del Cinema di Torino, ripercorre per noi la storia dell’arte videoludica in termini estetici, comparando la nascita di grandi classici come Space Invader e Tetris alle correnti artistiche alle quali si sono ispirati.
Su una tipologia di tela completamente digitale, i creatori di videogiochi elaborano forme d’arte consolidate come pittura, scultura, letteratura, architettura, musica, fotografia, cinema restituendo un’espressione artistica che ha aperto la stagione dell’immagine interattiva.
Dall’immagine statica, a cui per millenni l’essere umano era stato abituato dalle arti visive come pittura, scultura ma anche scrittura ed architettura, si passò sul finire del XIX sec. all’immagine in movimento con la creazione del cinema destinato a plasmare gli immaginari del ‘900 ed a contro-generare la video-arte. A partire dagli anni ‘70 inizia un lento spostamento dell’asse creativo dall’immagine in movimento all’immagine interattiva. Per la prima volta nella storia dell’uomo, diventa possibile imprimere un comando (input) all’immagine/opera per ottenere un cambiamento (output) in tempo reale.
Un viaggio iniziato, simbolicamente, nel 1971 con Computer Space di Nolan Bushnell e Ted Dabney che segna l’arrivo sul mercato del primo videogioco moderno anticipando quella che sarebbe diventata la principale forma di consumo culturale nel XXI secolo e, al contempo, tra le meno comprese e riconosciute istituzionalmente.
L’obiettivo dei primi creatori di videogiochi fu stupire l’astante offrendogli qualcosa che non si era mai visto prima. Nessuna pretesa di restituzione di proprie visioni del mondo, nessuna urgenza artistica o espressiva e finanche la ricerca tematica quasi del tutto assente. Una mera innovazione tecnologica secondo uno schema già visto agli albori della fotografia e del cinema: iniziale disinteresse verso qualcosa considerato tutt’al più come divertissement tecnologico, successivo rifiuto da parte dei frequentatori delle arti precedenti (la pittura verso la poesia a metà dell’800, il teatro con il cinema a inizi ‘900 ed il cinema coi videogiochi nelle prime decadi), progressiva emancipazione di nicchia con la ricerca di un proprio linguaggio espressivo, successo di mercato, consacrazione come forma d’arte generando un profondo mutamento nelle altre.
Se oggi i videogiochi rappresentano la decima forma d’arte come suggerito nel saggio “PLAY – Videogame, Arte e Oltre” (Sagep 2021) collegato all’omonima mostra prodotta dalla Reggia di Venaria Reale è frutto di una cinquantennale stratificazione artistica che parte da un minimalismo geometrico in bianco e nero di inizi anni ‘70, scopre la ricerca del disegno attraverso la grammatica dei pixel a colori negli anni ‘80 per poi abbracciare il progressivo realismo tridimensionale dalla fine degli anni ‘90 con una contro-riposta di nuove espressività artistiche da parte di team indipendenti che riaprono una stagione di sperimentazioni estetiche nel XXI secolo.
Pong (1972) rappresenta uno dei primi grandi successi videoludici e un punto di svolta nell’evoluzione dell’estetica videoludica. Creato da Nolan Bushnell e il team di Atari, “Pong” è un gioco minimalista in cui due barre verticali rappresentano le racchette di ping pong, mentre un quadrato funge da pallina. Il gameplay è semplice: ogni giocatore controlla una barra che si muove su e giù per colpire la pallina e farla rimbalzare verso l’avversario.
La semplicità visiva di “Pong” non era solo una necessità tecnologica dovuta ai limitati hardware allora a disposizione, ma una scelta che rifletteva un’estetica digitale ridotta all’essenziale simile alle composizioni astratte della pittura geometrica del XX secolo. Proprio il Suprematismo nasce come una risposta ai limiti dell’arte figurativa ed il suo fondatore Malevich credeva che l’arte dovesse liberarsi dalla rappresentazione della realtà visibile per raggiungere una dimensione spirituale e universale. Nell’opera del 1915 “Black and White Suprematist Composition”, Malevich utilizza il bianco e nero per conferire un valenza simbolica con il primo a rappresentare la purezza e potenzialità infinita mentre il secondo ad incarnare il vuoto cosmico che dà risalto all forma. In Pong la scelta dei colori è innatamente dettata da motivi tecnologici ma creano un effetto simile con il nero che funge da spazio vuoto mentre le forme bianche (racchette e pallina) sono gli elementi attivi immediatamente riconoscibili.
Questa ricerca forzata del minimalismo influenzerà tutta la prima stagione del nascente linguaggio del videogioco. Sebbene ci siano stati esperimenti precedenti, Space Invaders (1978) può essere considerato il primo gioco di ampia diffusione basato su pixel art. La creazione di Nishikado definisce un’estetica che non è solo tecnica/geometrica, ma anche funzionale alla costruzione di un’identità visiva e di gioco.
A differenza di molti suoi predecessori, Space Invaders attinge alle ansie della Guerra Fredda ed alla corsa verso lo spazio entrata negli immaginari mondiali grazie alla missione Apollo con il suo carico di aspettative verso possibili forme alternative di vita nello spazio. L’invasione della terra da parte di creature aliene era un tema già presente negli immaginari cinematografici grazie ai film di fantascienza degli anni ’50 e ’60, come La guerra dei mondi (1953) e Ultimatum alla Terra (1951). Gli alieni stilizzati di Space Invaders sono costruiti utilizzando pixel grandi e visibili, il che richiama l’estetica del Minimalismo degli anni ’60 e ’70, con la sua enfasi su forme semplici e ridotte all’essenziale. La disposizione e dinamica degli alieni a schermo richiama l’arte ottica (Op Art) degli anni ‘60 con i suoi schemi geometrici volti a creare illusioni ottiche in movimento. Il movimento e dinamismo creato dal progressivo avvicinamento degli alieni al fondo dello schermo richiama l’estetica del Futurismo, che celebra il movimento e la velocità. Opere come “Forme uniche della continuità nello spazio” (1913) di Boccioni o alcuni dipinti di Giacomo Balla incarnano il movimento con ripetizioni ritmiche.
Se molte sono le influenze, dirette e indirette, delle arti tradizionali sulla nascita della pixel art, altrettante sono i richiami all’arte videoludica della prima decade da parte di artisti contemporanei. Gli sprite di Space Invaders, ad esempio, hanno dato vita a opere d’arte contemporanea, graffiti, e design grafici attraverso artisti come Invader, noto per i suoi mosaici di alieni ispirati al gioco le cui opere sono state bandite all’asta per valori fino a un milione di dollari.
Asteroids (1979), sviluppato da Atari, rompe l’egemonia della pixel art per sperimentare la grafica vettoriale. Una tecnologia che permette la creazione di immagini attraverso linee e punti calcolati matematicamente, anziché pixel. Questo si traduce in linee estremamente nitide, perfette per rappresentare elementi come astronavi, asteroidi e proiettili su sfondi neri. Lo spazio si amplia, la prospettiva anticipa il 3D e le forme si ammorbidiscono. Sono ancora composizioni statiche in cui tutto accade, quasi sempre, in una cornice ben perimetrata. Come già visto per Pong, è forte il richiamo all’approccio minimalista americano di artisti come Frank Stella o all’arte geometrica del Costruttivismo russo con artisti come El Lissitzky.
La serie avviata dall’artista tedesca Gertrud Goldschmidt, in arte Gego, negli anni ‘70 “Reticulareas” presenta forte assonanze con l’opera di Atari. Gego realizza strutture tridimensionali di fili metallici intrecciati dando vita a forme geometriche complesse ed ariose in grado di giocare sul rapporto tra vuoto e pieno. Queste estetiche creano una spazialità simile a quella “fluttuante” di Asteroids. La grafica vettoriale, pur ascrivibile al novero delle due dimensioni, suggerisce una profondità grazie al moto degli oggetti ed alle traiettorie degli asteroidi così come l’arte di Gego porta il visitatore verso una tridimensionalità interattiva in cui è possibile, talvolta, addirittura entrare dentro lo spazio dell’opera percependone il cambiamento in base al punto di osservazione.
Il passaggio tecnico dal bianco e nero a palette cromatiche estende la grammatica visiva basata sui pixel consentendo ai videogiochi di stratificare il messaggio estetico e lavorare maggiormente sul trasferimento emotivo. Capolavori come Tetris di Alexej Pajitnov (1984) utilizzano tetramini colorati che richiamano non solo il suprematismo e costruttivismo russo ma anche la corrente olandese De Srijl (Neoplasticismo) fondata da Piet Mondrian e Theo Van Doesburg.