Coltro, o dello spirituale nell’arte. Con il quadro mediale

La prima volta che ho incontrato Davide Maria Coltro, ormai più di vent’anni fa, ho avuto subito l’impressione di trovarmi di fronte a una specie di guru, di santone contemporaneo. Non piacerà, all’artista, questa mia definizione: perché se del “santone” ha indubbiamente il physique du rôle, poco ha della furbizia, dell’astuzia, della capacità manipolatoria che contraddistinguono di solito tali personaggi. Davide Maria Coltro (la cui ultima mostra, Pittura in divenire, è tutt’ora in corso alla Fondazione Calderara, a Vacciago, sul Lago d’Orta, fino al 15 settembre), è invece un concentrato di gentilezza e di passione, di intelligenza analitica e di continua tensione spirituale, di attenzione al modo in cui la tecnologia può interpretare il reale e di come essa possa invece captare l’invisibile. Ecco, l’invisibile: forse, della tensione insieme artistica e spirituale di Davide Maria Coltro – giacché le due cose, nel suo lavoro e nella sua vita, procedono di pari passo e perennemente appaiate –, si può dire che essa ricerchi sempre il modo di sfondare il velo di maya del reale per capire, e per carpire, ciò che a noi, nel nostro quotidiano, risulta solitamente non-visibile, nella nostra sempre maggiore aderenza alle cose del mondo materiale e nel nostro essere presi tra le mille macchinazioni che la vita quotidiana ci ordisce, quasi volesse impedirci, appunto, di guardare oltre, di volare alto al di là del visibile, del materiale, del cosiddetto “mondo reale”.

E forse, in questa ricerca continua di allontanamento, a volte di congelamento dei meri dati sensibili offertici dalla realtà – le rigorose e insieme così struggenti linee dell’orizzonte nel paesaggio, le molteplici e discordanti forme della natura, i segni sui nostri volti e sui nostri corpi, che anno dopo cambiano, rispecchiando così il mutamento interiore delle nostre coscienze –, in questo progressivo allontanamento del lavoro dell’artista dal puro dato fenomenico, in un processo di progressiva e crescente rarefazione dell’immagine fino alla sua completa sparizione, risiede il fulcro, il senso profondo del lavoro di questo artista così apparentemente semplice da amare, per la bellezza, l’armonia e la sensibilità della sua ricerca, e in fondo così difficile da capire nel suo nucleo più recondito e segreto.

La nascita del quadro mediale

Davide Coltro ha iniziato, agli albori degli anni Duemila, un processo radicalmente nuovo. Ha, potremmo dire, letteralmente inventato una nuova concezione di opera d’arte. Non è un modo di dire, o un’iperbole: è un fatto. Quando l’ho conosciuto, nei primissimi anni Duemila, la sbornia digitale non aveva ancora messo a frutto le sue scoperte più recenti e più innovative, e gli artisti che utilizzavano nell’arte le tecnologie digitali erano, bene o male, ancora a uno stadio pionieristico. Si parlava, allora, di pittura digitale, Gianluca Marziani aveva pubblicato già con Castelvecchi quello che sarebbe rimasto un libro-caposaldo della nuova scena digitale, Nuovo Quadro Contemporaneo, mentre Nicholas Negroponte, docente all’MIT e guru della prima, epica fase della rivoluzione tecnologica, aveva dato alle stampe solo da una manciata d’anni il suo Essere digitali, nel quale profetizzava ciò che allora era per la maggior parte delle persone difficile non solo ammettere, ma anche solo intuire: “Esiste una dicotomia percepibile, anche se artificiosa”, scriveva Negroponte, “tra mondo tecnologico e cultura umanistica, tra scienza e arte, tra l’emisfero destro del cervello e quello sinistro. È probabile che il crescente settore dei multimedia sia destinato ad essere uno di quelli che, come l’architettura, fanno da ponte sul fossato tra le due culture”.

Davide Maria Coltro si introdusse nel mondo dell’arte contemporanea a passi felpati, ma con un approccio all’opera d’arte che non era soltanto un prodotto innovativo, ma un diverso e rivoluzionario modo di concepire l’opera. Allora lo aveva battezzato System, poi divenuto, nel tempo, un più comprensibile Quadro mediale. Che cos’è, in sostanza, il Quadro mediale?

Un flusso continuo di stimoli

Il quadro mediale è, per usare le parole dello stesso Coltro, “un nuovo media artistico complesso”, che “non appartiene né al mondo dell’immagine statica come pittura, fotografia o disegno, né all’universo dell’immagine in movimento come il cinema o la videoarte”. Nel quadro mediale, infatti, “ogni immagine o processo vive di vita propria ed entra in relazione con gli altri in modalità che si rinnovano secondo una casualità programmata. Non ci sono cicli chiusi, nulla si ripete se non dopo milioni di combinazioni”. È, dunque, un sistema di stimoli sensoriali (“in qualche modo ho realizzato in pittura”, ha detto l’artista, “la rivoluzione che Nicolas Negroponte ha perfettamente inquadrato come uno dei paradigmi della nostra epoca digitale e digitalizzata: il passaggio dall’atomo al bit”), di immagini, di forme, o, nei lavori più recenti, di organismi articolati di forme astratte, che si alternano secondo una scansione temporale e secondo incroci di combinazioni sempre diversi. “Nel flusso che viene generato”, ha detto ancora Coltro in un’intervista, “ogni combinazione che si forma viene a manifestarsi per poi scomparire, dissolversi, diluirsi nuovamente nel campo delle probabilità. Nessuno, però, potrebbe percepire questo continuo cambiamento senza la possibilità che la percezione catturi e ricordi dei momenti di fissità, delle memorie percettive rapidissime, ma fondamentali. Si tratta di fotogrammi che si creano per le funzionalità della mente nei meccanismi percettivi. Tale apertura di possibilità consegna un’attesa che non si può consumare”. Un flusso continuo di stimoli, dunque, che possono caratterizzarsi come immagine ma anche come forma astratta, in grado di attivare nel fruitore un senso di sorpresa, di meraviglia, di attesa mai interamente soddisfatta.

La dimensione del tempo

Cosa significa, in sostanza? Che il quadro mediale non è mai un “luogo finito”, un quadro stabilizzato per sempre, ma un luogo fisico – quella che un tempo l’artista chiamava “tela elettronica” – dove l’artista fa fluire forme o immagini in movimento, quasi si trovasse in relazione, sebbene a distanza, col fruitore. Non un semplice schermo, per intenderci, su cui scorrono immagini, ma un luogo di raccolta di stimoli, tensioni poetiche e schemi mentali in continuo movimento. Per usare sempre le parole dell’artista, il quadro mediale appare dunque come “il pensiero di una superficie”, ovvero “una specie di membrana che diventa area di un colloquio e di relazione”. Il fruitore, il collezionista, colui al quale è destinato il lavoro, diviene infatti un attore del processo, in quanto ricettore di dati, di immagini e di flussi poetico-visivi che provengono direttamente dall’antro magico-elettronico dell’artista, che ne programma l’avvicendarsi in modo che a lui giungano, diluiti nel tempo e con una precisa scansione temporale, come se anch’egli potesse essere partecipe della percezione del tempo vissuta dall’artista. Quello di Coltro è dunque, per usare ancora una volta le parole dell’artista, “un tentativo — non il primo, nella storia dell’arte — di integrare nell’immagine la dimensione del tempo: nel mio caso, attraverso la trasformazione dell’artista in una sorta di broadcaster che emette un flusso continuo di bit informativi da ricomporre dall’altro capo della rete attraverso Terminali Artistici Remoti che ne restituiscano il potenziale artistico e poetico”.

Il luogo della spiritualità

Se nei primi anni Duemila Coltro si era concentrato soprattutto sulle “forme del mondo”, intese come forme del paesaggio – con straordinarie, poeticissime sequenze di pianure, di paesaggi e di filari d’alberi che si alternavano uno sull’altro con calcolata lentezza, come un luogo mentale nel quale si fossero annodate, a scatti, a spezzoni, a lenti flash che ci fossero rimasti attaccati alla retina, le immagini delle nostre memorie pregresse –, e come forme del corpo e della nostra identità, agttraverso lo studio dei volti e degli oggetti del nostro quotidiano, negli ultimi anni il suo lavoro ha preso strade insieme più lineari e al contempo più impervie. Dalle immagini di porzioni differenti di cieli presenti alla Biennale del 2011 o alla Casa del Mantegna, alle croci degli anni successivi, sempre avendo come orizzonte le immagini di porzioni di cielo, l’avventura dell’artista negli antri della tecnologia ha virato in maniera sempre più esplicita sul versante di una ricerca che è essenzialmente, e profondamente, spirituale.

Il Sublime tecnologico

Una ricerca che a tratti, anche nella declinazione attuale, sembra togliere il fiato per l’alternarsi di seduzione formale e fatale inquietudine sotterranea, arrivando alla definizione di un percorso che potrebbe tranquillamente innestarsi in un ambito che può essere definito del “sublime tecnologico”. L’esperienza di quella “crisi del simbolico” indotta da qualcosa “che non può essere detta e non può essere messa-in-forma” (Hoffmannsthal), tanto cara ai pittori e agli scrittori pre-romantici e romantici, è infatti oggi, con l’avvento delle tecnologie e col loro utilizzo nella creazione dell’opera d’arte, un nuovo sentimento di indicibilità, di terrore misto a stupore, che ci fa sentire l’immensità, non tanto della natura, quale la sentivano appunto gli uomini di fronte alla sua messa in discussione con l’avvento della tecnica, ma delle nostre stesse coordinate esistenziali e identitarie, con l’avvento delle nuove tecnologie, in grado di sostituirsi a noi non solo nella gran parte dei lavori manuali e meccanici, ma ora anche, con l’avvento della AI, di quelli intellettuali e teorici.

“In questo luogo a infinite dimensioni”, ha scritto ancora Davide Maria Coltro parlando del quadro mediale, “si materializzano le icone pittoriche che l’artista crea proprio perché si possa fruirne attraverso le tre viste dell’uomo suggerite dalla Scrittura: quella degli occhi, quella della mente e quella del cuore”: una metafora non molto diversa, in fondo, da quella a cui il gigante insuperato del romanticismo, Kaspar David Friedrich, dava il nome di “occhio dello spirito”, in fondo assimilabile al famoso “terzo occhio” di tanta tradizione ermetica. Guardiamoli allora con questo “terzo occhio”, quello dello spirito, i quadri mediali di Davide Maria Coltro, e forse riusciremo ancora a tornare a stupirci, a emozionarci, a lasciarci andare oltre la mera superficie scaturita dal movimento, dai colori e dalle forme che vediamo unicamente con l’occhio fisico.

Artuu Newsletter

Scelti per te

Seguici su Instagram ogni giorno