Abbiamo scelto di proporvi due punti di vista, uno femminile e uno maschile, su uno dei film che stanno facendo molto discutere: l’ultima pellicola di Ferzan Özpetek, Diamanti, una storia girata da un regista uomo, ma caratterizzata da un cast prevalentemente al femminile. In quest’altro articolo, vi abbiamo proposto l’opinione di Stefania Malerba. Qui di seguito, invece, vi proponiamo il punto di vista di Marco Mottolese.
La ricetta di Özpetek, alla maniera del maestro Artusi
Ingredienti: 10 kg di attrici; 700 gr di telenovelas; 160 gr di Rai; 70 gr di Mediaset; 1 kg di “serie”; 1 spicchio di cipolla (così per piangere meglio); 1 spruzzata di polvere “almodovariana”; Ego, q.b.; 10 fettine di violenza di genere; “Riferimenti e Citazioni” q.b.
Se siete stufi delle consuete commediuole all’italiana, e vi piacesse sostituirle con una commedia di tipo nuovo e un po’ sperimentale, ecco una bella ricetta che può fare agevolmente per voi per rendere più appetibile questo periodo festivo. Prendete dunque un folto e ben scelto battutino d’attrici, di quelle brave e ben conosciute al grande pubblico, mescolatelo al meglio, in modo da farle interagire il più possibile tra loro, e in maniera il più caotica, a tratti gioiosa e a tratti drammatica, in modo da sviluppare al meglio le emozioni che vi ribolliscono dentro. Aggiungete i grammi necessari di un poco di spirito da telenovela, mescolate tra loro un pizzico di umor di Mamma Rai, tutti gli odori, ben calibrati tra di loro, provenienti dalle coltivazioni di casa Mediaset, un bel po’ del classico sapor melenso di serie TV, che oggi si usa assai. Aggiungete un poco di cipolla, per far piangere chi ama tanto emozionarsi davanti ai bei filmoni. Non dimenticate una bella spruzzata di polvere “almodovariana”, che dà freschezza e un poco di eccitazione alla pietanza. Qualche piccolo frammento di violenza di genere la renderà più abbordabile per il pubblico sensibile e impegnato, senza dimenticare qualche goccio di Ego e una spruzzata qua e là di Riferimenti e citazioni, come in codeste pietanze s’usa assai da alcune diecine d’anni. Mescolate il tutto e servite bello caldo. Riescirà una minestra gustosa, assai saporita, tuttavia non troppo facile da digerire, come spiegheremo testè.
La spiegazione: del perché alla fine rimane un po’ indigesta
Con questa ricetta complessa nasce Diamanti, l’ultimo film di Fernan Ozptek. È la storia, sostanzialmente, di un’imprenditrice molto tosta – interpretata da una notevole e apparentemente cattivissima Luisa Ranieri – forse provata dalla vita (si sa che imprenditori e top manager riversano le loro tristezze e frustrazioni sui poveri dipendenti) la quale manda avanti, con una sorella debole, che ha le sue ragioni per esserlo (una triste e un po’ imbalsamata Jasmine Trinca che, in sostanza, replica se stessa) una sartoria artigianale – con chiaro riferimento ad una storia vera – devota al mondo del cinema. Del film questa è la traccia principale, perché di imprenditrici negli anni Settanta ce n’erano meno che oggi e lo sforzo, la devozione e anche il coraggio che tutte le addette, dunque le protagoniste, infondono nel loro lavoro, è un omaggio non indifferente alla tenacia delle donne che mandano avanti con amore i business complessi. Fin qui ci siamo; la trama è interessante – gli anni Settanta solitamente sono ricordati per altre ragioni e invece, riesumare il mondo del lavoro dell’epoca, che ovviamente si intreccia con le miserie private della vita di tutti i giorni, la trovo un’idea importante.
Ozpetek negli anni Settanta era adolescente dunque non possiamo dire che filma cose di cui non sa nulla. Ma, osservando la pellicola con la lente di ingrandimento, appare chiaro che la sceneggiatura era più forte della realizzazione finale. Un po’ come quando in Diamanti il fantomatico regista del filmone sul Settecento al centro della storia – per il quale la sartoria si svena pur di realizzare tutti gli abiti di scena – ( uno Stefano Accorsi disorientato nella parte, anche perché, se si dovevano citare Visconti o Zeffirelli non era il suo e poi, in questo caso, la vera costumista del film ha trascurato il look di quegli anni e così Accorsi sembra un personaggio di “ritorno al futuro”) e dunque il “regista” Accorsi, adirato e non contento, pretende che gli abiti siano realizzati conformemente ai bozzetti e a me è parsa citazione involontaria dei difetti del film in cui non tutto, evidentemente, segue pedissequamente la sceneggiatura che invece verrebbe voglia di leggere come un racconto.
Riferimenti e citazioni
I riferimenti ci sono tutti: Cinecittà era ancora forte negli anni Settanta e Roma pullulava di sartorie artigianali per il cinema; i nostri costumisti si sono sempre fatti notare ad Hollywood e dunque, che l’imperscrutabile e nevrotica costumista del film del Settecentio, una Vanessa Scalera perplessa – nella finzione vincitrice di un Oscar – sia accolta nella sartoria Canova come una dea, ha un senso. Ma il problema del film sono gli ingredienti della ricetta iniziale.
Se l’originale idea di aprire la pellicola filmando una riunione all’aperto intorno ad un tavolo da pranzo in cui il cast si applica al copione può essere accettata come buona e innovativa introduzione, il fatto che poi si ripeta – con un salto mortale tra film in corso e preparazione dello stesso – depotenzia l’idea medesima perché – se è “buona la prima” – è inutile farne una seconda. Ma veniamo alla ricetta, che va spiegata.
Mara, Geppi e le altre, tra serie Tv e programmi d’intrattenimento
Tante le attrici brave e note, non solo nel cinema, ma anche in televisione. Una celebrazione di artiste dello schermo forse sovrabbondante. Ma, se lo spettatore in sala, vede Mara Venier o Geppi Cucciari può sentirsi trasportato de iure dalla sala al divano di casa propria e così, nel mélange generale di un cast così denso, i salti mentali di chi guarda possono essere eccessivi. Siamo forse finiti nella prima stagione di una serie? O stiamo guardando un biopic che racconta la storia di una famosa sartoria? Su quale rete siamo finiti? Su che canale? Ipotesi di silenziose riflessioni dello spettatore.
All’inizio della televisione, quando passavano sia i film che gli sceneggiati mi chiedevo come mai, già dai primi minuti di visione, fosse facile indovinare quale fosse il film e quale la sceneggiato TV. Un mistero mai risolto per me, che forse aveva a che fare con la profondità dei set oppure su una diversa semiologia. È questa sottile, eppur individuabile differenza, ciò che irrompe nel film di Ozptek. Il confine tra televisione e cinema esiste e il mescolare volti noti del grande schermo con quelli del piccolo non aiuta Diamanti ad essere, né l’una né l’altra visione. In Italia un personaggio televisivo è dotato di un’aureola pubblica impossibile da smontare. Vedere la bravissima Mara Venier (una sorpresa) alle prese con un personaggio delicato e sensibile non è sufficiente; sembrerà, a chi guarda, sempre la Mara della domenica così come Geppi Cucciari disorienta quando fa sorridere con battute da talk show. E Luca Barbarossa rimane il cantante romano che, per quanto bravo a recitare, distanzia ulteriormente il film dalla magia della settima arte. Non è colpa loro, ovviamente. È che non pare riuscita la contaminazione con questi “prestiti” da uno schermo all’altro.
Ho percepito una distonia che rende difficile immergersi al cento per cento nella storia scelta da Ozpetek. Se fosse stato un film per la televisione probabilmente questi inciampi mentali non sarebbero esistiti e così – pur non potendo certo incolpare il regista di aver voluto raccogliere attorno a sé attrici e attori presenti nella sua carriera, professionisti dei quali si fida per precedenti esperienze – rimane un senso di spaesamento perché la ricetta era troppo complicata e la pietanza non esattamente quella attesa.
Una buona trama, un po’ troppo sfrangiata e diluita
Rimango purtuttavia convinto che la trama sia notevole e ordita con i trend e i sentiment del momento ma, come al solito, ai registi – in generale – hanno proibito da piccoli l’uso delle forbici e quindi non ne conoscono l’utilità. Perché di queste avrebbe avuto bisogno la scena finale in cui Fernan si aggira imbambolato nel set ormai vuoto riascoltando come in trance le voci delle sue attrici. E appare Elena Sofia Ricci (altro personaggio che rimanda alla televisione…) la quale, non avendo potuto partecipare al film, rende omaggio al regista come una specie di Belfagor che appare all’ultimo senza un necessario significato. Mi piacerebbe leggere una riduzione della sceneggiatura con le caratteristiche di un racconto breve, una novella, sono certo che leggendo apparirebbe chiaro che, non sempre, dalla cucina del cinema escono piatti riusciti fino in fondo.