Emilio Prini. Toccare l’impossibile. Senza possibiltà di eredi

Emilio Prini è da sempre uno di quei culti silenziosi che attraversano l’arte contemporanea, per alcuni una specie di semidio che ha formalizzato l’ultimo passo prima del vuoto metafisico. Artista che sfugge a qualsiasi logica estetica e tematica, ascrivibile al fenomeno generativo di Arte Povera benché il suo fosse un percorso di radicale solitudine introspettiva. Un monaco francescano che ha asciugato il linguaggio fino alla sua essenza interiore, più estremo di Ugo Mulas quando ragionava sugli elementi che costituiscono la fotografia meccanica.

Prini ha pensato per paradossi e parossismi, riducendo il mondo ad un bianconero su carta come linfa del suo radicalismo ideativo e visuale. L’immagine su foglio bianco di una macchina reflex; la scritta EMILIO PRINI, 1970 al centro di un foglio bianco; tutti gli standard anonimi che stampava su carta, senza la minima enfasi, dentro un minimalismo analitico che rasentava la scomparsa nell’istante della sua apparizione.

Manifesto per la mostra Emilio Prini 26 aprile 25 maggio 1979 presso Galleria Pio Monti Roma 1979 Courtesy Pio Monti Roma

Prini ha annullato la figura stessa del narciso creatore, varcando soglie in cui la provocazione diventava concetto originario, in sintonia con le sperimentazioni attorno alle forme del linguaggio scritto e stampato. Fogli come telegrammi dadaisti, frasi come narrazioni aliene, pensieri come tautologie dell’assurdo: tutti motivi che rendono l’artista ligure il più inimitabile dei “cattivi” maestri, un gigante senza eredi, il più incosciente dei miti concettuali che hanno dilatato la forma oltre ogni convenzione visiva. Emilio Prini ha tecnicamente annullato il visivo dall’arte visiva, facendo la mossa che altri non avevano il coraggio di praticare; ha intrapreso un cammino che ricorda gli asceti nel cuore del misticismo, sorta di poeta visivo che riduceva all’osso la stessa poesia, ormai priva di pathos ma ricca di un’etica eroica che sostituiva ogni tensione estetica.

Consideriamolo un apostolo nomade del pensiero artistico radicale, uno scarno scrittore di statement detonanti e minerali, un’anomalia resiliente che ha toccato l’impossibile, praticando angolazioni e ombre, oscurità e interrogativi sul “senso” ultimo delle cose terrestri. 

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