Di origine mongola, Odonchimeg Davaadorj si confronta con la cultura occidentale partendo all’età di 17 anni per la Repubblica Ceca e poi per la Francia, dove attualmente vive e lavora. La sua identità multipla le consente di esprimere la percezione del mondo attraverso diversi mezzi artistici. Oltre alla pittura, il disegno e la scultura, Davaadorj pratica anche la performance, la danza, la poesia e lavora sugli abiti. Spiega: “Sento che deve uscire un’opera. Se è una poesia, devo scriverla. Se non posso scrivere, devo muovermi, ballare o disegnare”.
Durante i suoi 17 anni in Mongolia, Davaadorj ha sviluppato una profonda connessione con la natura, grazie al suo stile di vita autosufficiente in un villaggio isolato nel cuore della sua terra, e i suoi lavori riflettono inevitabilmente questo attaccamento al mondo animale e vegetale.
Ogni elemento delle sue opere richiama i ricordi malinconici della sua infanzia. Spesso le figure sono collegate da un filo rosso o verde che fuoriesce dai loro stessi corpi e che arricchisce la fragilità di legami malinconici, ma vitali come un’arteria primordiale.
Il filo rosso, associato al sangue, alla vita, rafforza l’aspetto onirico del suo lavoro, restituendo un senso di comunità e condivisione. L’artista sottolinea spesso l’aspetto comunitario della sua arte. Le conversazioni che emergono dalle sue opere mettono in luce l’armonia collettiva necessaria per le nostre società. Con una profonda sensibilità, Davaadorj spiega: “Voglio creare un legame che vada oltre il giorno dell’inaugurazione. Qual è il senso di presentare opere congelate e sacre e trasformare uno spazio espositivo in un santuario?”.
Una frase di Agnès Varda, “Se aprissimo le persone, troveremmo paesaggi”, restituisce la sensibile ricerca dell’artisa. Davaadorj si riconosce in questa idea poetica del paesaggio interiore, dell’intimità spirituale e della natura più profonda di ogni individuo. Offre una rappresentazione che non si limita alla mera descrizione, ma che evoca e trasmette la pluralità delle emozioni di un essere umano. Le opere infatti sono caratterizzate da volti anonimi che parlano di una società mista e cosmopolita, in cui gli umani sono intimamente collegati alla natura e agli altri esseri viventi.
Fin dall’inizio della sua carriera, Davaadorj ha seguito la strada del ritratto, esplorando la complessità dell’animo umano attraverso i suoi delicati disegni caratterizzati da una tavolozza distintiva. Le creature polimorfe che popolano il suo mondo sono definite da colori vibranti presi in prestito dalla natura, dal rosso al giallo, blu e nero, solo quattro per trasmettere l’essenzialità del suo mondo così profondamente delicato e diretto.
Ogni personaggio, seppur anonimo, è abitato. Davaadorj costruisce paesaggi interiori, dei piccoli mondi per raccontare nuove memorie, narrazioni e uniche poesie attraverso i loro corpi che si aprono in un racconto senza filtri.
E così i ricordi e la nostalgia della Mongolia riaffiorano in un’ibridazione tra natura, animali, case e persone, sospesi in uno spazio senza tempo per tessere racconti dell’anima.
Tutte le opere in mostra sono state realizzate appositamente per la galleria.
La mostra sarà visitabile fino al 23 marzo 2024.