Il “tocco della montagna”, al Muse il potere curativo di Arte e Natura

The Mountain Touch. Un viaggio nella natura che cura” è una mostra scaturita dal desiderio di educare al contatto con la natura attraverso il connubio di ricerche artistiche e scientifiche che focalizzano la loro attenzione sui benefici psicologici e fisiologici dell’interazione uomo-ambiente.

La montagna e, più in generale, i paesaggi abitati da esseri umani, animali e vegetazione sono osservati attraverso una lente multispecista per costruire un’occasione unica di confronto e riflettere sull’importanza della biodiversità. promuovendo un benessere olistico che trascende la dimensione antropocentrica. Servendosi di una commistione di arti visive, installazioni interattive e produzioni audiovisive, la mostra evidenzia come l’immersione in ambienti naturali possa fungere da catalizzatore per la riduzione dello stress, l’elevazione del tono dell’umore e l’incremento del benessere psicologico.

Il titolo evocativo intende trasportarci fin da subito in un percorso esperienziale ed immersivo che svela come la natura sappia curarci, non solo grazie alle sue proprietà nutritive, ma anche tramite il tocco del vento sulla pelle, i profumi e i suoni diffusi nell’aria e i colori che tingono la realtà circostante. Ogni opera è accompagnata da una narrazione tecnica capace di esplicare al visitatore i contenuti scientifici adottando un linguaggio comprensibile e divulgativo. Fino al 17 novembre, il Muse di Trento presenta al pubblico un’esposizione temporanea derivata da un precedente progetto espositivo firmato dal Museo Nazionale della Montagna di Torino, a cura di Andrea Lerda, nato nell’ambito del programma arte e sostenibilità del museo piemontese. Questa mostra include opere di 17 artisti, alcuni internazionali (Zheng Bo dalla Cina, Ruben Brulat dalla Francia, Lucas Foglia dagli USA, Inland / Fernando García-Dory dalla Spagna, Nona Inescu dalla Romania, Bianca Lee Vasquez da Cuba, George Steinmann dalla Svizzera, Peter Stridsberg dalla Svezia) e altri italiani come Alberto Di Fabio, Christian Fogarolli, Marzia Migliora, Caterina Morigi, Andrea Nacciarriti e Vera Portatadino. L’iniziativa è motivata dalla crescente consapevolezza dell’importanza dell’equilibrio tra la salute del pianeta e quella dell’uomo, evidenziata dalla crisi climatica e dalla pandemia. Difatti, i lavori esposti sono arricchiti da numerosi contributi scientifici.

In particolare, Federica Zabini e Francesco Meneguzzo, dell’Istituto per la BioEconomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche, hanno presentato risultati provenienti dalla più ampia campagna sperimentale mai condotta sugli effetti terapeutici dell’immersione nella natura, in collaborazione con il CAI e il Centro di Riferimento per la Fitoterapia dell’Aou Careggi di Firenze. Inoltre, gli studi di Francesco Becheri della Stazione di Terapia Forestale Pian dei Termini, della Commissione Centrale Medica del CAI/Comitato Scientifico Centrale, di Marina Boido e Alessandro Vercelli dell’Istituto di Neuroscienze Cavalieri Ottolenghi dell’Università degli Studi di Torino contribuiscono alla dimensione scientifica dell’evento.

Per rappresentare l’esposizione è stata scelta l’iconica performance “My private fog” (2017), dell’artista altoatesino Michael Fliri, che indossa una serie di maschere trasparenti, realizzate dal calco di pietra e minerali raccolti durante le sue camminate e tramutate in “montagne innevate” dal suo stesso respiro. Immagine poetica e paradossale capace di trasformare il calore corporeo nel candore della neve invernale.

Entrando veniamo accolti in uno spazio intimo, domestico, ricostruito dall’artista Peter Stridsberg, che lo spettatore è invitato ad abitare e dal quale può scorgere il paesaggio montano fuori dalla finestra. Quest’opera chiama in causa la condizione di isolamento forzato sperimentata dalla popolazione durante l’emergenza pandemica, introducendo il video “Pillole di salute per l’emergenza” ideato dallo psicologo e psicoterapeuta Francesco Becheri, referente della Commissione Centrale Medica del CAI, in collaborazione con il professore Quing Li, immunologo e fondatore della Japanese Society of Forest.

Filmato che mostra una serie di boschi e foreste scrupolosamente selezionati e dei suoni naturali registrati in loco, proposto ad un campione di persone durante il lockdown come parte di una ricerca volta a studiare gli effetti prodotti dalla visione di tali scenari naturali sui livelli di diminuzione dell’ansia e del senso di isolamento. Questo studio evidenzia un bisogno umano ignorato dalla modernità, ossia il contatto sensoriale con la natura, portando alla luce un dato allarmante: nei Paesi ad alto reddito le persone trascorrono circa l’80-90% del loro tempo confinati in spazi chiusi davanti agli schermi, privandosi dei benefici e della quiete offerta dagli ambienti naturali.

Come chiarifica Andrea Lerda, curatore dell’esposizione, “l’impatto positivo della montagna e della natura sulla sfera biologica e quella psicologica dell’essere umano, dev’essere un concetto evocato sul piano teorico dalla mostra, ma anche un’esperienza concreta, che ogni spettatore può vivere e percepire durante la visita», seppur «nella consapevolezza che il contesto espositivo non può in alcun modo essere comprato allo stare fisicamente in montagna e in natura, le opere costituiranno un link diretto con l’esterno e attiveranno degli stati di benessere in grado di agire sulla coscienza e conoscenza delle persone“.

Proseguendo nell’itinerario torniamo a rivolgere la nostra attenzione sulla respirazione e la sua regolazione attraverso l’opera “Deep Breathing” (2019) di Nona Inescu, costituita dalla riproduzione in metallo di una cassa toracica umana, sulla cui struttura possiamo notare una serie di piccole formazioni minerali. Elementi che fungono da ponte tra interno ed esterno, umano e non umano, tra l’Io e l’altro, sondando i confini del visibile. Successivamente, passiamo dal respiro al vento lasciandoci sfiorare da “Landscape” (2010-2024) di Andrea Nacciarriti, che dispone all’interno di una zolla di terra delle piante di Penissetum mosse dall’aria prodotta da una ventola ricostruendo una porzione di prato animata da una folata di vento artificiale.

Con quest’operazione simbolica l’artista riesce a spingersi oltre alla soglia del visibile, portando in un contesto chiuso ciò che avviene all’aperto per esortarci a riconsiderare il ruolo e le sensazioni suscitate dai dettagli in apparenza meno significativi, come il movimento di pochi fili d’erba.

A guidarci all’interno dello spazio è un profumo incantevole e familiare emanato dall’opera “La terra suona” (2022) di Paola Anziché, che mediante un lento processo immerge dei tessuti naturali nella cera liquida, i quali una volta asciugati e intrecciati andranno a comporre un’installazione ambientale dai colori sgargianti con cui evoca il ricordo di un prato fiorito in primavera. Immagine che si concretizza nella pittura di Vera Portatadino, che presenzia con “Anima Alzati Apriti” (2019), opera parte della collezione del Mart di Trento e Rovereto, composta da due piccole tele ricche di elementi reali, specie botaniche o animali appartenenti ai luoghi vissuti dall’artista, e particolari simbolici come esemplari in via di estinzione locale a causa del riscaldamento globale.

Sono dipinti dal chiaro riferimento ecologista arricchiti da una serie di riferimenti ai capolavori della storia dell’arte, come la “Primavera” di Sandro Botticelli o “Ophelia” di John Everett Millais, capaci di sollevare le questioni legate ai cambiamenti climatici ricordando all’osservatore la presenza silenziosa di una bellezza destinata presto a scomparire. Il profumo raggiunge corpo e mente di chi percorre le sale che si riscopre rilassato, pronto a nuove esperienze percettive.

“The Mountain Touch” è un esperimento sinestetico che passa dalla vista, all’olfatto, all’udito fino al tatto, protagonista di «Mountain Massage» (2024) di Zheng Bo concepita come una spa, dove i fruitori possono entrare a contatto con diversi materiali naturali provenienti dai territori montani trentini e vivere un’esperienza contemporaneamente di riattivazione e generazione. L’opera verrà attività più volte durante il periodo di apertura permettendo uno scambio reciproco.

Passato, presente e futuro entrano in dialogo anche attraverso il lavoro di Marzia Migliora, “La rivoluzione del tempo profondo” (2024), realizzato grazie alla partnership con il ricercatore Massimo Bernardi del Muse. Si tratta di un’esperienza immaginifica che ha il compito di aprire il nostro sguardo verso un futuro alternativo, nel quale il mondo civilizzato sviluppa una maggiore coscienza ambientale. L’artista racconta il percorso di un elemento non-umano, l’acido tartarico, presente nelle uve fin dalla fioritura, che si cristallizza nell’istante in cui si saldano i profumi e il colore del vino.

Il tartaro diventa così un punto di unione fra la dimensione corporea e il paesaggio rappresentato da un trittico di disegni e collage che raffigurano il panorama osservabile dalla tenuta San Leonardo, nel quale spiccano i profili del Monte Baldo e dei Monti Lessini.

Mentre Zora Kreuzer in “Right above: Energizer” (2023) si occupa degli aspetti visivi “basandosi sugli studi del Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi di Torino sul benefico impatto dei colori verde e azzurro, propone un ambiente circolare in cui si entra dentro queste tinte fosforescenti” (Andrea Lerda). Kreuzer stravolge i nostri pregiudizi sul colore, ponendoci al centro di un’installazione ambientale totalmente dipinta con un verde abitualmente associato alle immagini psichedeliche o ai visual dei festival di musica elettronica, che si rivela una tonalità piacevole dal forte potere rasserenante.

“The Mountain Touch. Un viaggio nella natura che cura” è un motore di stupore e meraviglia, riesce a trascinare il fruitore e renderlo partecipe di un’esperienza multisensoriale dall’incredibile impatto estetico ed informativo, che si spinge oltre al carattere puramente espositivo offrendo un denso programma di eventi collaterali che prevede: performance, letture, escursioni guidate, passeggiate con esperti di botanica per apprendere a riconoscere le specie vegetali montane, esercizi in natura e momenti di incontro dedicati alla prevenzione attraverso l’immersione nella foresta e pratiche di rilassamento, come lo Yoga e il Qi Gong.

Dietro alla progettazione di un’esposizione così variegata, ricca di contenuti e minuziosamente curata si cela un meccanismo complesso, che mette in relazione professioni, visioni, ricerche e studi potenziati dalla compenetrazione di linguaggi espressivi e metodologie di indagine differenti. Molte mostre hanno scelto di unire pratiche artistiche contemporanee e discipline scientifiche in un unico contenitore, ma poche sono riuscite a farlo con tale coerenza e raffinatezza.

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