Nel 1967, l’artista tedesco Hans Haacke espose al Massachusetts Institute of Technology (MIT) un cumulo di terra fertile, successivamente noto come Grass Grows, destinato a germogliare nel tempo e a trasformarsi nella versione ridotta di una collina verde appuntita. La crescita, favorita dal regolare annaffiamento da parte dei dipendenti dell’Istituto, che per un periodo si improvvisarono giardinieri, avvenne però in modo casuale, senza alcuna volontà di disciplinamento della materia vegetale. La fioritura ribelle dell’erba sembrava contrastare con la meticolosità e la cura associate ai tradizionali prati all’inglese, o ai giardini in generale, luoghi pensati per il ristoro dei sensi e lo svago. Eppure, si trattava pur sempre di un’opera d’arte che, a quell’altezza cronologica, riconduceva a sé una rete di significati precisa e, ovviamente, ancora non del tutto comprensibile ai visitatori. In quel contesto, l’obiettivo non era tanto “decorare”, quanto comprendere innanzitutto il processo di crescita della Natura.
Oggi le cose sono cambiate, e il tradizionale spazio espositivo è stato riconosciuto come luogo ideale per presentare opere d’arte “naturali”, attorno alle quali avviare determinate riflessioni. Nella tripersonale degli artisti Loris Cecchini, Richard Deacon e Daniele Franzella, dal titolo Garden, in corso presso la RizzutoGallery di Palermo fino al 1 febbraio 2025, il punto di vista è stato, però, parzialmente ribaltato. L’attenzione rivolta alla Natura non sottende in modo immediato impliciti riferimenti alla questione ecologica contemporanea, sebbene, logicamente, la sfiori, ma si concentra sul valore estetico dell’ambiente naturale manipolato dall’Uomo.
Rita Colantonio Venturelli, nell’importante volume dal titolo La cultura del paesaggio in Europa tra storia, arte e natura, scriveva che “il paesaggio è l’espressione fisica della cultura dell’uomo che vi abita”. Le opere esposte in Garden sembrano tradurre in modo efficace questo concetto, proponendo diverse prospettive complementari sull’argomento. Richard Deacon intraprende ad esempio un’analisi piuttosto lucida dell’idea di giardino, presentando un corpus di opere che possono essere interpretate come la materializzazione di concetti. Nella lineare disposizione a muro delle piccole stampe della serie BED – che in inglese può essere anche tradotto come “terreno entro cui coltivare piante” – si crea idealmente una recinzione attorno alla grande scultura posta al centro (Fall), una sorta di cornice rettangolare dalle linee contorte.
Qui ritorna, in senso figurato, la radice tedesca della parola “giardino”, Gart, che significa “circondare”. Si genera così un riverbero spaziale che, partendo dal vuoto centrale della stanza e contenuto all’interno della cornice lignea, si espande fino a raggiungere il perimetro delineato dalle stampe. La ripetizione mentale della struttura del recinto diventa una costante, richiamando, in qualche modo, anche il ruolo dell’Uomo come artefice di una nuova identità attribuita alla natura, trasformata in uno spazio delimitato, privatizzato e collettivizzato.
Questa componente sociale del giardino emerge ulteriormente nella mostra attraverso i lavori di Daniele Franzella (che abbiamo intervistato qui), che, a differenza degli altri due artisti, integra la figura umana facendola diventare protagonista di un’esibizione teatrale. La narrazione che ne scaturisce presenta sfumature oniriche, probabilmente generate dalla commistione di citazioni letterarie tratte dai romanzi Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani e Locus Solus di Raymond Roussel. Il Giardino acquista qui il significato di topos, inteso come luogo fisico in cui l’individuo si isola dal resto del mondo per vivere una dimensione sospesa nel tempo. Nel digital fresco Locus Solus, esplicito riferimento a Roussel, l’ambiente assume l’aspetto di una realtà artificiale, in cui le azioni rappresentate non seguono una linea narrativa coerente. Individui enigmatici, talvolta grotteschi, agiscono indisturbati nelle loro azioni, trasmettendo a chi osserva un sentimento di inquietudine attraente inoltre alimentata da due misteriosi personaggi in ceramica, posti di spalle, che sembrano avvicinarsi all’enigmatico giardino.
Nella sala attigua, Loris Cecchini attenua un po’ questo senso di smarrimento, intraprendendo uno studio più ravvicinato degli elementi vegetali. Se Deacon propone infatti una visione esterna del giardino, Cecchini si concentra su ciò che ne costituisce l’interno. Il concetto di modulo, di sistema in relazione alle piante, che emerge nelle sue opere, non solo si collega al principio teorico del lavoro di Hans Haacke, ma richiama anche la teoria goethiana secondo cui la varietà vegetale deriva da un’unica “pianta tipo”. I suoi lavori descrivono questo meccanismo di reiterazione della crescita organica in modo molto preciso, proponendo delle versioni ingegneristiche della trama vegetale di una foglia, oppure dello sviluppo rizomatico di un fiore come in Airbone.
Infine, una wunderkammer appositamente costruita riassume l’esperienza espositiva, presentando piccole riproduzioni o varianti delle opere già menzionate, accompagnate da proiezioni che mostrano la realtà della Fondazione Radicepura e del collettivo Graund Action.
Garden. 16 soste, prodotto editoriale redatto dalla docente e curatrice Daniela Bigi, e inserito in questo delizioso allestimento, si propone un po’ come guida narrativa che accompagna il visitatore nel suo personale percorso attraverso la mostra. La RizzutoGallery offre così una prospettiva che esplora da diversi punti di vista il significato della Natura e il suo rapporto con l’essere umano. Il giardino, infatti, non è da intendere semplicemente come un prodotto culturale, ma può essere visto come un luogo privilegiato attraverso cui coltivare una relazione empatica con l’ambiente naturale, lasciandosi sorprendere dalla sua vita vibrante e in continuo mutamento.