Inclusività e accessibilità: il futuro DEI musei americani

Il Museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, (…) aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità, operano e comunicano in modo etico e professionale e con la partecipazione delle comunità (…).  

Secondo la definizione approvata dall’ICOM (International Council of Museum) a Praga nel 2022, il museo si pone al servizio dei cittadini, favorendo l’inclusività, divenendo un luogo dove ognuno possa sentirsi accolto e partecipe di una collettività.  

In America, nelle ultime settimane, si sta assistendo ad un cambio di rotta. Con un ordine esecutivo promulgato il 20 gennaio 2025  dalla Casa Bianca, il presidente americano Donal Trump ha posto fine ai programmi DEI (diversità, equità e inclusione) promossi dal suo predecessore Biden, in cui si chiede alle agenzie e alle entità federali (i musei statali dunque) di chiudere i dipartimenti per le diversità, licenziandone il personale. Ma nella pratica cosa significa? Significa rivedere le politiche di inclusione tra gli obiettivi dei musei. Nella loro mission non figurano più concetti come “diversità e inclusività” ma i più neutri termini  “Welcoming and Accessible” (Accogliente e accessibile) come si legge sul sito della National Gallery of Art di Washington.

Si pensi che la NGA nel 2021 si era fortemente impegnata a portare avanti una politica di rinnovamento, che aveva condotto all’assunzione della prima curatrice di arte afroamericana (Kanitra Fletcher) promuovendo mostre che analizzavano il punto di vista delle “minoranze”: è il caso dell’esposizione Afro-Atlantic Histories del 2022. Come la NGA, anche altri  musei statali americani ricevono sovvenzioni federali che costituiscono la maggior parte dei propri fondi, e sono dunque “costretti” a rivedere la propria mission.

Ciò che ha spinto Trump ad adottare  questi provvedimenti è il desiderio di dare spazio maggiore alla meritocrazia, che a suo avviso non è assicurata dai programmi DEI. Qual è l’effetto dunque di queste scelte sulla vita dei musei e della cultura americana? Si è visto che nella mission della NGA ora si legge la parola “accessibile”, ma cosa significa essere accessibili?

Significa non solo abbattere barriere architettoniche, ma anche gli ostacoli sociali che portano disagio, imbarazzo e discriminazione. Il non sentirsi rappresentati da un’istituzione come il museo, significa non riconoscersi nella comunità di cui apparentemente, almeno sulla carta si fa parte. Il museo è lo specchio della società, dei suoi cambiamenti, delle trasformazioni che ogni giorno lo rendono attuale, non è un’istituzione statica ed immutabile, uguale a se stessa. Si assiste ad una contaminazione reciproca tra il museo e il contesto sociale, tra interno ed esterno, quindi questo non può essere impermeabile ai cambiamenti della società, ma ne subisce le “interferenze”.

Queste relazioni diventano ancora più  evidenti quando si ha una diretta dipendenza (anche economica) dal potere centrale, il cambio di rotta intrapreso dalla Casa Bianca si riversa così “naturalmente” anche sui musei che si “adeguano” più o  meno favorevolmente a questa trasformazione. Quali dunque le ripercussioni di questa politica? L’unica certezza è che alcuni musei (tra cui la NGA) hanno già smantellato il dipartimento DEI, ma non si conoscono le ulteriori conseguenze sui programmi delle mostre ed eventi. Questo articolo si  era aperto con la definizione di museo sostenuta fortemente dall’ICOM nella quale si invitano le istituzioni museali a promuovere la diversità e la partecipazione delle comunità. La domanda da u  milione di dollari adesso è, in America vale ancora tutto questo?  

Rispondiamo come Manzoni: Ai posteri l’ardua sentenza

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