In una delle 34 opere video di Vertigo, la magnifica mostra ospitata dal MAST di Bologna sino al prossimo 30 giugno, una rider si agita come un automa frenetico elencando cosa ogni giorno consegna ai clienti. Non elenca beni di consumo materiali bensì concetti e stati dell’animo: sogni, desideri, algoritmi, precarietà, metaverso e tanto altro.
“Anima Overdrive”, questo il titolo del video, di Stefan Panhans & Andrea Winkler (2023, 4’18’’), esprime benissimo il senso di questa retrospettiva sul presente e sul prossimo futuro. La mostra è correlata all’arte come la saggistica è correlata alla narrativa: sono opere d’arte in cui non va cercato l’elemento estetico (anche se, comunque, ce ne sono) bensì occorre immergervisi per poi riflettere sulla dimensione verso cui stiamo procedendo a velocità vertiginosa.
“Vertigo” è divisa in sette sezioni, tutte ombreggiate dal nesso tra quotidianità e lavoro (o tempo libero e relazioni sociali che ne è l’altra faccia).
“Lavori e processi produttivi” include opere d’arte che indagano l’archeologia industriale, i disumani ritmi di lavoro delle fabbriche cinesi che producono componenti per i grandi brand internazionali, la cadenza martellante delle linee di produzione automatizzate, il rapporto tra etica del lavoro e calvinismo e l’impatto del grande convitato di pietra, l’Intelligenza Artificiale (AI), sul processo produttivo e quello distributivo. Impressiona “15 hours” di Wang Bing (15h50’ del 2017) che racconta una giornata di lavoro in presa diretta all’interno di una fabbrica cinese di 300mila operai e ci invita, con la sua gigantesca espressione dello sfruttamento, a riflettere sulle odierne condizioni di lavoro.
“Commercio e traffici” ci catapulta dentro i centri senz’anima della logistica, nei porti globali e la delivery economy. Fa parte di questa sezione il già citato “Anima Overdrive” e colpisce per la quantità sterminata di container (come già avvenuto, in una mostra precedente sempre del MAST, nelle fittissime fotografie di Andreas Gursky) “Intermodal” del duo Kaya & Blank (2023, 24’40’’), girato nell’infinito geometrico del porto di Los Angeles.
“Nuovi comportamenti” è la parte della mostra che si interrioga come, in un’epoca come quella attuale dominata da questi ritmi e dai tanti algoritmi, possono cambiare le relazioni personali e sociali. Le opere di questa sezione ci rimandano all’arrivismo sociale, al perfezionismo formale dei manager persuasori delle buone opportunità di lavoro contemporanee, alle app di incontro e ai cosiddetti motivatori. Magnifico è “The Long Way Home” di Sven Johne (2016, 10’19’’), in cui un uomo – classicamente occidentale – guida di notte la sua auto e canta, in una sorta di girotondo tragico, mentre la radio trasmette le notizie di guerre e catastrofi che si succedono nel resto del globo. Molto interessante è anche “Kapitalism” di Paulien Oltheten (2016, 6’25’’), in cui una panchina su cui campeggia la scritta del titolo funge da grottesco e paradossale sostegno a chi in qualche modo è diventato marginale.
“Comunicazione” è la parte che illumina il visitatore sull’altro grande convitato di pietra: l’algoritmo. Una infinita catena di zero e uno che ci perseguitano e dietro ai quali, come ci illustra con efficacia “Praying for the Haters” di Lauren Huret (2019, 17’) sopravvive lo schiavismo umano, personificato nei tantissimi e anonimi moderatori dei contenuti social che, per pochi spiccioli, sono sottoposti al trauma di filtrare testi e immagini che vengono caricate sulle piattaforme.
L’impatto di questa colossale vertigine non poteva risparmiare la natura e l’ambiente che, nella sezione “Ambiente naturale”, sconvolge per ciò che sta succedendo: sia a piccoli numeri con le mucche intersessuali che a livello più globale con le accanite deforestazioni dei polmoni verdi e l’inquinamento planetario.
Altro impatto devastante del tecno-capitalismo è quello sul contratto di coesione sociale. Tra i video si questa sezione, bellissimo, seppur dolorosissimo, è “The Only Reason…” di Julika Rudelius (8’49’’ del 2019), un car video che ci mostra le innumerevoli tende (o anche meno) che fungono da giacigli sui marciapiedi per i tantissimo senzatetto creati dall’espulsione dal mondo del lavoro.
Infine, la parte didattica: “Intermezzi” è la parte della mostra che prova a spiegare le problematiche odierne, ricondurre le dinamiche su una informazione puntuale e reale, la necessità di cambiare il comportamento, ridurre i consumi in eccesso, redistribuire le risorse.