Dice il solito, antico proverbio cinese: “Un uomo senza denaro è come se fosse invisibile”. Ma è l’uomo un animale? Si chiede oggi Liu Bolin, artista cinese oramai cinquantenne, originario della provincia nordorientale dello Shandong, ma appartenente all’intero antropocene, in quanto dotato del superpotere dell’invisibilità. Egli è ovunque, e non è in nessun luogo.
In una riflessione continua sulla risposta possibile alla domanda che Liu Bolin pone a sé stesso e all’intero consesso umano, egli compare da anni su scene variatissime del globo e ivi scompare, lasciandosi inghiottire dagli sfondi che arredano il pianeta: cattedrali, pareti piastrellate a manifesti colorati e sovrapposti, canneti o banchine portuali, folle indistinte di copertine di rotocalchi, platee teatrali o pile di barili scrostati. Ovunque si manifesti la complessità dell’artificioso progresso della Specie, ma anche del rigoglioso sviluppo naturale, l’artista cinese resta incagliato e assorbito in un intricato gorgo dimensionale, fatto di colori e forme dettagliatissime, di cui egli diviene parte comune, osmosi organica, simbiotica integrazione. Insomma diviene, egli medesimo, sfondo. L’artista si esprime autoestinguendosi e andando a formare parte coerente della materia che circonda l’umanità.
Con la saggezza – pur disconoscendola nel commento teorico che Liu Bolin fa della sua stessa opera –, che tuttavia gli deriva dalla millenaria cultura che ha alle spalle, egli agisce nella realtà non in quanto parte distinta del reale, ma camuffandosi con esso fino a negarsi come corpo. Di lui resta solo un appena percettibile profilo di anima, dai contorni evanescenti, che lasciano intravedere una figura completamente fagocitata dall’ambiente circostante e retrostante. Finisce con il camuffarsi, in pratica, nello sfondo degli infiniti particolari che sono il repertorio di quella tradizione culturale, una delle più antiche dell’animale Uomo.
Come certi animali in natura, appunto: i camaleonti, i serpenti o i piccoli rettili dei muri, come certi insetti che si fanno ramoscello e foglie. E come i venerabili maestri delle arti marziali, con i loro insegnamenti sulla forza della debolezza, sui giunchi che si fanno corrente nella piena dei fiumi e sullo sfruttamento della stessa potenza del nemico per annullarne la carica. È la saggezza la sede della forza, come indicano le saghe dei supereroi. Quelli sono americano, ma forse hanno preso dai cinesi un poco di saggezza.
E proprio come un supereroe, come la graziosa Sue Storm dei Fantastici Quattro, vale la pena di affermare che Liu Bolin è l’artista cinese più in vista del momento, ogni volta che scompare.
Si è fatto notare, per esempio, da una accalcatissima folla di visitatori radunati, il 30 settembre scorso, per il vernissage di inaugurazione della mostra curata e promossa dalla galleria Deodato, che cura in esclusiva l’artista per il Belgio e la Svizzera, nell’occasione a Villa Ciani a Lugano, dove resteranno in esposizione le fotografie a tiratura limitata delle performance di Liu Bolin, fino al 15 ottobre.
Una apparizione-sparizione di spettacolare prodigio, è stato come assistere a un fenomeno soprannaturale. L’artista si pone ad altezza calibrata millimetricamente su una pedana davanti a una cortina di cover di rotocalchi disposte a file e colonne che compongono un patchwork densissimo, e una crew di assistenti addestrati alla bisogna lo rivestono degli esatti dettagli cromatici che egli sta nascondendo, fino a ottenere l’effetto opposto: è lui che si nasconde nello sfondo. Lo scatto immortala il prodigio, infine, e l’opera si compie.
Non vi è dubbio che Liu Bolin possegga e si destreggi con incommensurabile perizia nella varietà interdisciplinare di molte arti, dalla scultura alla fotografia, dalla body art al situazionismo, fino al rendering concettuale della dispersione dell’individuo moderno nella complessità tecnologico digitale che lui stesso ha generato, come mostri che lo divorano e lo annichiliscono in un ambiente post umano fagocitante, vampiresco, affamato della stessa identità e consistenza dell’umano.
Ma c’è dell’altro, forse. E l’artista lo riconosce, almeno in parte, quando interpellato sul punto se vi sia nel suo lavoro una sorta di rappresentazione, magari non del tutto conscia, dell’attuale stile di vita e di relazioni del popolo cinese nel mondo, che ha occupato in larga parte, ma sempre in una forma incredibilmente non percettibile per i popoli ospitanti, come una massa invisibile, una somma di individui che danno come risultato un quarto dell’umanità, che cammina, lavora e vive sul pianeta senza quasi lasciare tracce di sé, a domanda risponde: “Nella Cina moderna le relazioni con il resto del mondo appartengono alla condizione scelta, che riguarda anche una condizione di resistenza e di stili di vita fatti di basso profilo, che il popolo cinese deve mantenere se vuole sopravvivere in Europa e nelle Americhe. Vi è certamente un messaggio simile nel mio lavoro, ma io mi concentro di più sui concetti di resistenza e di intransigenza. Contro il caos del mondo e le differenze delle culture, io, come artista nato in Cina, scelgo di combattere questo mondo con una invisibilità attiva”.
Sagge parole, pregne di buon senso e moderazione, vibranti però, anche di tensione politica, sociale, civile. Liu Bolin può fare a meno della tradizione culturale che porta e dei suoi antichi proverbi: Un uomo invisibile cinese, forse è un uomo senza denaro, ma un artista invisibile cinese è un supereroe, nei territori dell’animale che ancora si fa chiamare Uomo.