Mammina cara e le ossessioni di un’artista, Yayoi Kusama

Ora vi faccio un indovinello: chi è la bambina che viene regolarmente spedita dalla madre a spiare il marito fedifrago con lo scopo di farsi raccontare per filo e per segno tutto quello che lui fa con l’amante? Quella stessa bambina che si vede strappare dalla mamma i disegni e che diversi anni dopo, finalmente affrancata, riempirà stanze e barche di morbidi peni che sono diventati la sua ossessione? Quella che diventerà una ragazza bellissima – frangetta scura a nascondere lo sguardo, capelli lunghi e folti a farle da mantello – che si innamorerà di un artista, ma che non gli si concederà mai perché terrorizzata dal sesso?

Ebbene sì, oggi noi la vediamo vecchia, resa grottesca dalla parrucca color passata di pomodoro e trasformata in una pupazza nei vestiti crivellati dai suoi pois, ma Kusama è stata una ragazzina. Una ragazzina – e poi una ragazza – molto infelice.

C’è una foto di famiglia che già racconta tutto. Papà ­– baffetti alla Clark Gable, capelli impomatati e look occidentale – guarda in macchina con l’aria spavalda, mentre mammina – kimono tradizionale, spalle abbassate come da un peso invisibile, sguardo rassegnato e labbra strette in una smorfia sprezzante – sembra stia per scostarsi dal braccio della piccola Yayoi che la urta. Nessuno sorride.

Sarà un’infanzia pesantissima, con i primi sintomi del disturbo psichiatrico che la assaliranno sotto forma di allucinazioni fatte di forme invasive nello spazio (quelle che poi lei racconterà nella sua pittura) e che lei riuscirà a domare solo attraverso il disegno. Ma la madre le metterà per anni i bastoni tra le ruote, convinta che la figlia meriti il suo identico destino di matrimonio combinato, disamore, corna e solitudine.

Solo una convinzione caparbia e incrollabile porterà Kusama a ottenere il permesso di lasciare la sua città, Matsumoto, per la scuola d’arte di Kyoto. Ma la sua vera fata madrina sarà Georgia O’Keeffe. Dopo un calvario di richieste negate dall’ambasciata americana (pare che gli impiegati si siano poi commossi per l’insistenza della ragazzina) Yayoi riesce ad avere il suo indirizzo nel Nuovo Messico e le spedisce una lettera accorata insieme ad alcuni disegni. La O’Keeffe non solo le risponde, ma la incoraggia e le dice anche di partire appena può per New York, dove le aprirà qualche porta.

Comincia negli Usa la vera vita di Kusama: la scultura, la pittura, le performance. E anche l’amore per il collega Joseph Cornell, che però resterà un rapporto platonico, fatto di lunghissime telefonate e di casti abbracci. Saranno la morte di lui e il conseguente buttarsi senza tregua nel lavoro a portarla al collasso nervoso che la determinerà a tornare in Giappone. Non a casa, però. Preferirà chiudersi in un manicomio. Lì vive dal 1977. Cercando ancora, ogni giorno, di rimettere in ordine le cose attraverso la pittura.

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