Parthenope di Paolo Sorrentino, l’ultimo atto di una ipotetica trilogia del ritorno

“Roma mi ha molto deluso”.  

Una bellezza disarmante, un irrangiungibile vortice di maestosità e veemenza, una promessa probabilmente non mantenuta. Innumerevoli sono i modi in cui è possibile leggere questa fondamentale fissativa frase de “La Grande Bellezza”. Molte sono forse le aspettative che si celavano in quel treno finale in “E’ stata la mano di Dio”. Proviamo quindi a visualizzare il prossimo film del Maestro Sorrentino, “Parthenope”, l’ultimo atto di una ipotetica trilogia del ritorno

La grande bellezza Jep Gambardella

Sorrentino inizialmente ci gira intorno, “va piano”, crea un primo titolo fuorviante che ci proietta l’idea di un’apoteosi, ci aspettiamo più di un superlativo, ci aspettiamo una grande bellezza. Ma la bellezza sta nella sofferenza, nel privato, nei ricordi e nei dettagli, nelle cose che abbiamo accumulato nel più profondo scompartimento della nostra anima, spesso per paura. Pensiamo alla grande bellezza dell’arte, della grande città e delle grandi opportunità, ma alla fine riusciamo a capire che senza una chiave di lettura la bellezza possiamo coglierla, ma mai farla nostra. Ed è solo abbracciando il dolore ed il rimorso che tornano alla mente i ricordi più vividi che ci permettono di andare avanti.  

Il regista napoletano compie quindi un primo passo a ritroso, scava nella vita di Jep Gambardella e con metaforica probabilità nella sua stessa esistenza. L’illuminazione di una diversa purezza a cui arrivare e da cui attingere gli vale la gloria, ciò non toglie che è proprio dalla falsa opulenza e dalla realtà effimera che arriva comunque una delle più profonde ispirazioni di sempre, che gli valgono il Premio Oscar come miglior film straniero. 

“E’ stata la mano di Dio” diventa quindi un secondo capitolo che in modo delicato e discreto si oppone al primo: è un racconto fatto di intimità, di significativa vita quotidiana, del vissuto di tutti e di nessuno, di un eroe adolescenziale e di una crescita travagliata. Il protagonista è ora un Paolo Sorrentino edulcorato dalla narrazione cinematografica: ritroviamo Fabietto nella sua fragilità e al contempo nella sua predestinazione, la sua strada si prospetta improntata ad un diverso tipo di realtà, una verità meno deludente di quella che viviamo tutti i giorni, e che lui ha dovuto fronteggiare. Ritroviamo Roma, una meta da compiere per gli amanti del cinema, per gli studiosi, per gli addetti ai lavori. Una tappa quindi obbligata nel Grand Tour del cinema, che gli viene però sconsigliata dal personaggio del regista Capuano, a cui chiede le prime dritte e i primi consigli: perché “sul’ ‘e strunz vanno a Roma”.

Perché quello che serve davvero non è una verità fittizia a cui aggrapparci, non è un posto dove fuggire, ma è il nostro stesso dolore, la nostra sofferenza, la stessa che aveva ritrovato Jep Gambardella. E allora gli dice di rimanere a Napoli, perché non è possibile che la sua città, la sua Napoli, non gli faccia venire in mente nulla da raccontare. Ma Fabietto Schisa parte per Roma, compie un rito. E dopo la laica rivelazione di Jep Gambardella, Paolo Sorrentino torna a Napoli, a raccontare la sua realtà. 

Presentato a Cannes lo scorso Maggio, “Parthenope” non sembra aver convinto tutti: poco acclamato, la critica non ha sempre trovato parole gentili per descrivere l’ultimo lavoro di Sorrentino, definendolo talvolta non solo una sorta di parodia del suo stesso stile quanto anche un’analisi superficialmente estetica di una protagonista femminile che inizia a fare i conti dapprima con la consapevolezza della sua bellezza, poi con la traumaticità della vita, su quello che appare essere semplicemente uno sfondo bello come quello delle cartoline

Che possa convincere o meno, è innegabile il legame di quest’ultimo lavoro con l’antropologia: Parthenope è la Sirena che ha tentato di incantare Ulisse, è la Sirena morta per il rifiuto, è la madre di Napoli, e i Partenopei sono figli di una cantilena che ti lascia sì andare, ma alla quale si torna sempre, come ad una fonte che ti nutre. Lo stesso regista ha dichiarato che, come molti napoletani, anche lui è tra quelli che da Napoli tende costantemente ad allontanarsi, per poi farvi ritorno.  

Che Sorrentino sia rimasto vittima della sirena, “intrappolato” nel suo stile, o che come Ulisse ne abbia percepito il canto, riuscendo ad sopravvivere alle sue lusinghe incolume, non si sa ancora. Ma proviamo ad immaginare che il regista sia tornato a quella fonte, che abbia fatto un viaggio a ritroso da una visionaria illusione ad un’autentica rivelazione; che la grande bellezza e “La Grande Bellezza” siano stati un imprescindibile punto di partenza e che sia “Parthenope” che Partenope, siano un ulteriore tassello, forse l’ultimo, di un viaggio che ci ha portato alla scoperta di ciò che più smuove il nostro animo: l’incommensurabile spavento della vera vita vissuta.

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