Ha senso, oggi, parlare di arte sacra? In un’epoca in cui il sacro sembra sempre più distante dalla vita quotidiana, in un mondo sempre più instabile, violento, secolarizzato, la domanda su quanto abbia senso parlare di arte sacra oggi è particolarmente rilevante. Un esempio straordinariamente interessante, ricco e articolato su questi temi ce lo offre una mostra, “Per Grazia Ricevuta” alla Galleria Giovanni Bonelli, a cura di Alberto Mattia Martini (aperta fino al 27 luglio), imbastita a partire da un soggetto molto amato a livello popolare ma che oggi sembrerebbe appartenere un po’ un’altra epoca, quella di credenze popolari ataviche a un passo dalla superstizione, rimasto più che altro come oggetto di curiosità o d’arredamento da rintracciare nei mercatini o, se di qualche pregio, dagli antiquari: l’Ex Voto.
Una scoperta sensazionale
Eppure, ci spiega il curatore Alberto Mattia Martini, l’Ex voto ha avuto un grande appeal non solo tra gli artisti antichi (“ci sono ex voto straordinari nei musei di archeologia, in quelli egizi, etruschi, di area greca e romana”), ma anche nel contemporaneo: “Sono molti gli artisti contemporanei che sono rimasti affascinati da questa forma di devozione popolare. Io, che sono stato allievo di Pierre Restany”, racconta, “ricordo ad esempio che lui aveva una grande ammirazione per un ex voto realizzato da Yves Klein e dedicato a Santa Rita da Cascia”. La storia di questo ex voto è tutta da raccontare: siamo alla fine di dicembre del 1979, e, dopo il terremoto del 1979 che danneggiò la cupola della Basilica del monastero di Santa Rita da Cascia in Umbria, l’architetto Rosario Scrimieri incaricò il pittore Armando Marrocco di creare delle vetrate moderne per il presbiterio. Durante il lavoro, Marrocco richiese alla Badessa del monastero se avessero dell’oro in foglie. “Poco dopo ci venne portato un pacco contenente foglie di oro zecchino ed inoltre dei depliants con dentro una cassetta, apparentemente contenente polveri colorate per il restauro di affreschi”, raccontò il pittore. Non ci volle molto per scoprire che quella cassetta era in realtà una scoperta sensazionale, di cui nessuno immaginava l’esistenza: un ex-voto di Yves Klein dedicato a Santa Rita, a cui il pittore era devotissimo. Rientrato a Milano, Marrocco contattò Guido Le Noci, il gallerista che aveva presentato l’époque bleue di Klein nel 1957, il quale a sua volta si rivolse a Restany, che si recò a Cascia per autenticare l’ex-voto e fotografare l’opera. La devozione di Yves Klein a Santa Rita era nota: era stato introdotto al culto da sua zia, Rosa Raymond-Gasperini, e aveva visitato Cascia due volte prima del 1961 per chiedere aiuto alla Santa nei momenti cruciali della sua carriera. Ma a quando risaliva questo ex voto, e come era stato posizionato all’interno della Basilica?
L’ex voto di Yves Klein per Santa Rita da Cascia
Alla fine di febbraio 1961, dopo la retrospettiva al museo di Krefeld, l’artista visita il monastero di Santa Rita da Cascia in Umbria. Lì, Klein depone un ex-voto, un contenitore di plastica trasparente suddiviso in scomparti. La parte superiore del contenitore include pigmenti blu e rosa, oro in foglie, mentre la parte inferiore contiene tre lingotti d’oro di vari pesi. Questi lingotti rappresentano il prodotto delle prime vendite di spazi immateriali che Klein aveva effettuato a Parigi. L’ex-voto, quindi, è composto dall’oro rimasto dopo tali transazioni. Nel contenitore è anche presente un testo manoscritto di Klein, composto da sette fogli, che è una sorta di preghiera a Santa Rita. In questo testo, Klein esprime gratitudine per i favori ricevuti e chiede alla Santa di garantire successo, bellezza e immortalità alla sua arte (es: Santa Rita da Cascia, io ti chiedo di intercedere presso Dio Padre Onnipotente perché mi accordi sempre in nome del Figlio Gesù Cristo e in nome dello Spirito Santo e della Santa Vergine Maria, la grazia di animare le mie opere perché esse divengano sempre più belle e inoltre la grazia che io scopra continuamente e regolarmente sempre nuove cose nell’arte ogni volta più belle…).
Da Yves Klein a Dino Buzzati
Ma Yves Klein non è il solo artista o intellettuale contemporaneo che ha frequentato e amato non solo il concetto di Ex Voto, ma anche il culto di Santa Rita da Cascia. Ecco allora che entra in gioco Dino Buzzati, che di questa mostra, grazie a un prestito degli Eredi Buzzati, è un po’ il nume tutelare (diremo subito che questa mostra, per la ricchezza dei riferimenti e il rigore con cui è stata curata, meriterebbe senz’altro altre tappe successive, preferibilmente in musei o spazi pubblici). Bisogna infatti sapere che Dino Buzzati realizzò una serie di ex voto per una mostra che fu ospitata alla Galleria Cardazzo di Venezia nel settembre del 1970. Gli stessi ex voto furono poi raccolti nel volume I miracoli di Val Morel, pubblicato per la prima volta nel 1971 e ripubblicato da Mondadori nel 2002. Il volume, e la mostra furono descritti da Buzzati stesso come un “racconto in trentanove piccoli capitoli, risolto più con le immagini che con le parole”. Si compone di 39 racconti brevi, ciascuno corredato da splendide “tavole votive”, realizzate dallo stesso Buzzati, che, com’è noto, si considerava “un pittore prestato alla scrittura”, nelle quali si raccontavano brevi storie di salvezza da parte di Santa Rita dal sapore surreale, come una ragazza rapita, una bambina inseguita da un lupo, Santa Rita che scaccia uno spirito chiamato Il Vecchio della Montagna con una scopa o un uomo viene liberato dalle formiche che tormentano la sua mente. Buzzati stesso descrive come scoprì questi ex voto: trovò un libro nella biblioteca di suo padre, intitolato Prodigiosi miracoli di Santa Rita onorati nel santuario di Val Morel in quel di Belluno. Dopo alcune ricerche, trova la strada del santuario, vi si reca e vi trova un tabernacolo rovinato dal tempo e un uomo che dice di essere l’ultimo dei guardiani del santuario; costui lo invita a seguirlo a casa sua, dove ha messo al sicuro gli ex voto, che gli mostra. I due chiacchierano un po’, poi si salutano. Nel 1946, Buzzati vuol far conoscere alle nipoti quel luogo, ma sia del tabernacolo che dell’uomo non c’è più traccia. Storia vera, romanzata, fantasia di scrittore? Come in tutte le storie di Buzzati, non è dato saperlo. Rimangono le meravigliose tavole di Buzzati, di cui oggi il curatore della mostra ne mette in mostra una, De Scuderi Leontina infestata dai Vespilloni, come una sorta di idolo votivo principale, tra i tanti idoli votivi degli oltre cento artisti da cui è composta questa bellissima mostra.
Dal Paleolitico alla contemporaneità
Allievo di Restany, che autenticò l’ex voto di Klein per Santa Rita, e curatore della mostra con il suggello di Dino Buzzati, che di Santa Rita fu anch’egli seguace nonché amico di Klein, Mattia Martini non poteva che essere il curatore ideale per una mostra che ha come fil rouge una sacralità non stereotipata, che si annida nelle minute storie quotidiane, nei drammi consumati o scampati, nella tragedia e nella gioia delle piccole vicende che riguardano ognuno di noi, riportate dagli artisti come exempla del mistero delle cose e della vita stessa. “Parafrasando le parole di Didi-Huberman (storico dell’arte e filosofo francese, ndr), gli ex voto sono delle entità sfuggenti e simili a se stesse”, spiega il curatore, “che potrebbero essere associate a dei fantasmi. La storia dell’arte le ignora e l’etnologia le ha solo raramente studiate dal punto di vista formale. Tuttavia esse sono radicate nella nostra storia, non solo religiosa, ma di uomini: sono esistite, poi sembrano celarsi, ritornano, sopravvivono e vivono nel nostro tempo”. La storia dell’ex voto, sottolinea Martini, si potrebbe far risalire, secondo alcuni studiosi, addirittura al Paleolitico, con le impronte delle mani presenti all’interno della grotta du Peche-Merle in Francia, in quanto “supplica” messa in atto dagli uomini primitivi per ottenere un aiuto divino. “L’oggetto votivo”, spiega Martini, “da materia si fa emblema del rapporto con altre dimensioni e affronta questioni articolate e delicate come la vita, la malattia, la morte o la rinascita. È un simbolo che diviene mezzo per esprimere emozioni universali o narrazioni individuali”. Non è un caso allora, che, nella mostra, la tradizione antica si sia fusa con nuovi linguaggi e forme di riflessione ed espressione artistica contemporanea: “Le opere esposte”, dice il curatore, “non solo esplorano il concetto di devozione, ma affrontano tematiche più ampie come l’identità, la politica, la società e l’ambiente”. Anche l’allestimento, del resto, vuole dichiaratamente richiamare l’atmosfera delle chiese, con una composizione suggestiva che crea un accumulo apparentemente caotico, magmatico e debordante di opere le più disparate, come avviene appunto nelle chiese con l’accumulo di ex voto popolari.
Paladino, Pistoletto e gli altri, parti del corpo per grazie ricevute
Molti gli artisti presenti, oltre un centinaio, ognuno recante un’opera di piccole dimensioni, con linguaggi, metodologie e significati differenti. “Nella mia visione”, dice ancora il curatore, “volevo che gli artisti si riallacciassero a loro modo alla tradizione dell’ex voto come mezzo di riconoscenza per una “grazia ricevuta” o semplicemente per chiederne una, raccontando quindi nell’opera o una propria esperienza personale, o per chiedere qualcosa di più globale e collettivo, per esempio su fatti di attualità, o sull’arte, o sulle crisi che attraversano il mondo globalizzato, dalle guerre alle ondate migratorie”.
Ecco allora una carrellata di lavori di ogni genere, tipologia, linguaggio, materiale: da due giganti dell’arte contemporanea di oggi, come Mimmo Paladino e Michelangelo Pistoletto: il primo, presente in mostra con una forma di piede da calzolaio, dipinta d’oro (riallacciandosi così agli ex voto tradizionali, che presentavano spesso parti del corpo, come ringraziamento a Dio, a un santo o alla Vergine per averli salvati da qualche incidente), in questo caso come originale dedica a Totò, che in San Giovanni decollato recitava appunto la parte di un ciabattino; il secondo, riprodotto sulle sue classiche superfici specchianti, con una mano che tiene che tiene stretto un mazzo di chiavi, sul quale compare il suo simbolo del Terzo Paradiso.
Rimanendo sulle parti del corpo, ecco l’intenso cuore di marmo di Michelangelo Galliani, circondato da veri ex voto d’argento: “Ho lavorato sugli ex voto dal 2006/2007”, racconta. “In quegli anni ho ralizzato un ciclo di opere denominate P.G.R. (per grazie ricevuta). Credo di essere rimasto affascinato da un chiesa in particolare, il santuario de Le Grazie presso Mantova, dove le richieste magari inascoltate si moltiplicano raggiungendo esiti formali davvero surreali. Così ho iniziato a contaminare i miei marmi recuperando gli argenti vecchi o antichi che ornavano le cappele votive, lavorando sul dolore. Riflettevo sul rapporto inascoltato o a volte ascoltato tra l’uomo e la divinità”.
Molte, in ogni caso, le riproduzioni rituali di parti del corpo umano: ancora piedi, bocche, nasi (Luca Caccioni), lingue che si toccano (Luciano Massari) e occhi umani (Domenico Grenci), ma anche l’occhio e il cuore, simboli del divino, come in Gabriele Arruzzo…
Anche i denti possono essere oggetto di ringraziamento: come nel caso di Omar Galliani, col suo omaggio a Santa Apollonia, protettrice dei denti appunto, o di Ester Grossi, che rappresenta un proprio dente canino, naturalmente stilizzato alla sua maniera, per rappresentare un avvenimento personale, un cambiamento del suo stesso corpo: “È successo che un mese fa ho scoperto che, miracolosamente, sta uscendo fuori il mio dente canino da adulta. Stranamente ho ancora un canino da latte e non pensavo che sarebbe mai uscito quello da adulta, è raro che accada a questa età. Diciamo che per me si tratta un po’ di un miracolo inatteso, anche perché sono anni che sono terrorizzata dall’idea di perdere il mio ultimo dente da latte (forse l’ultima parte effettivamente e biologicamente infantile di me)”.
Molte le mani: come quelle, sovrapposte una all’altra, come nel gioco che si faceva da bambini ma che è anche un segno di forza collettiva, di fiducia e di amicizia (Marta Dell’Angelo), o solo un paio di mani strette l’una all’altra, come in Agnese Guido, come dono “per ringraziare di tutto l’amore che ho dato e ricevuto”; o anche una mano sola, recante però sul palmo, a mò di dono, una preziosissima perla (Alex Pinna).
Tra le parti del corpo non potevano però mancare gli orifizi più segreti, “dove non batte mail il sole”: come il ProfANO d’argento di Francesco De Molfetta, dal sapore quasi blasfemo, dove, circondata dalla classica raggiera sacra che si trova sui tabernacoli e sugli altari, compare l’inconfondibile immagine… di un orifizio; o la composizione di Mario Dellavedova, intitolata Baroc Taroc büs, dove il riferimento è sempre alla “salvezza” dei due buchi, la vagina e l’ano.
Volti, Vergini, Crocefissioni
Molti i volti, le figure, gli sguardi. Volti sacri (Massimo Pulini), volti rituali (Chiara Calore), volti come maschere tribali (Yuval Avital, Luigi Presicce), volti anonimizzati, tipicizzati, snaturati, rivisitati. O volti feriti, lacerati, sofferenti, come quello dipinto sulla pietra di Nicola Samorì: “C’è una forma di grazia che ricevo osservando i minerali”, ci spiega l’artista, “e si rende manifesta quando, dopo una lunga frequentazione con gli occhi sulla superficie di un minerale, riesco a trovare un punto di incontro fra la scrittura nelle pietre e la forma di un corpo, anche solo di un dettaglio. Reopen Shucking Native è apparso così, dalla sovrapposizione di una ferita minerale – un geode – alla curva di un volto generato nutrendo l’intelligenza artificiale”.
O dichiaratamente devozionali: come il volto della Vergine riprodotto in marmo e poi tatuato, come sua consuetudine, da Fabio Viale: “fa parte di una serie di lastre in marmo bianco rappresentanti icone sacre, realizzate per una mostra personale del 2023. Il volto della Madonna è il soggetto che accomuna tutte le opere della serie, ognuno riportante una frase di preghiera o penitenza. Trovo che queste Madonne siano una fotografia assolutamente coerente di una realtà dove il bene ed il male devono trovare un compromesso ed una ragione”, spiega l’artista.
Robert Gligorov rivisita invece in chiave contemporanea una classica crocefissione, quella di Antonello da Messina, in un melting pot che va dal “superuomo” Gesù ai supereroi dei cartoni: “L’opera”, ci dice l’artista, “è una specie di staffetta, da Antonello a Kirby (uno dei più prolifici autori di fumetti, papà anche di molti supereroi, ndr) a Gligorov. Varie epoche stili e tecnologie diverse si incontrano, tutti e tre gli autori attingono da un immaginario fantastico, Antonello descrive a modo suo una scena tragica di un superuomo con super poteri, il mondo di Kirby è simile, lui e Stan Lee inventano un nuovo concept di superuomo, Gligorov, come un dj, raccoglie qesti scenari e in un mash up visivo ricicla il tutto, dando nuova lettura della crocefissione, senza voler essere blasfemo”. L’arte, ci dice Gligorov, “astuta bugia”, spiega in metafora la vita.
Anche Aron Demetz si approccia a un’immagine sacra tradizionale, quella del Sacro Cuore di Gesù, ma con una chiave di lettura insolita. Il titolo del suo lavoro è Eredità rinunciata: “Il lavoro”, ci spiega, “era nato per una mostra in Messico dove avevo bruciato l’altare e attorno c’erano 5 lavori che avevano a che fare col Sacro Cuore e il sangue di Gesù. Questo bozzetto, poi fuso in bronzo, era fatto in argilla e lasciato seccare cosicché la creta ha cominciato a screpolarsi, la bacchetta da modellatura è rimasta infilzata nel lavoro, come se l’artista se ne fosse andato e avesse rinunciato a finirla. Ha a che fare con quello che sappiamo fare, che conosciamo, ma anche col dubbio se portarlo avanti, concluderlo o gettarlo via. Con la possibilità di visitare una decisione o rivedere i modelli usuali rispetto ai quali siamo diventati ciechi”.
Incidenti e tragedie (scampate?)
Molte le storie, i ricordi, le vicende segrete, personali, accennate e raccontate attraverso le immagini, per raccontare, seppure con la “voce” degli artisti, le grazie chieste o ricevute. Ecco, ad esempio, il racconto di Velasco Vitali, in memoria di una tragedia scampata nel corso di un uragano sul lago di Como, dove l’artista vive, uno di “quei venti temporaleschi e violenti che si scatenano in pochi minuti durante l’estate”, ricorda l’artista. “È stata la prima volta che mi sono trovato in mezzo a uno di quelle bufere durante una regata: avevo 13 anni, quindi completamente impreparato, soprattutto dopo essermi ritrovato in acqua con la barca rovesciata. Quella riga che si vede nel quadro era la cima dello spinnaker (corda), alla quale mi sono attaccato dopo il raddrizzamento per non perdere la barca e ritirarmi a bordo”.
“Anche il quadro di Alessandro Papetti, come quella di Velasco, è una storia di tempeste e uragani, come nei più classici tra gli ex voto: “Ho ritratto una sposa col suo abito nuziale bianco, in posa, ferma anche se, dietro di lei, c’è una gigantesca tromba d’aria. I pali della luce già volano e da lì a un istante tutto sarà spazzato via, ma lei resta immobile, perché comunque quello è un giorno speciale e va immortalato con le foto di rito”. Una grazia ricevuta? “Sì, altrimenti l’ex voto non ci sarebbe stato”.
Mentre invece, nell’ex voto di Alessandro Bergonzoni (intitolato Per disgrazia ricevuta), l’ex voto è il ricordo di una morte in mare come fatto di cronaca purtroppo quasi quotidiana: l’allusione è, evidentemente, alla tragedia dei migranti che attraversano il Mediterraneo, con conseguenti annegamenti, tragicamente spesso anche di ragazzi e di bambini. Un altro Ex Voto, invece, di nuovo riguardante l’attualità, con un paesaggio, attraversato da una “tempesta” di guerra, ricamato come un arazzo contemporeaneo, di Leonida De Filippi, con una squadra di soldati americani in Iraq per l’operazione Desert Storm (“cerco di fissare le immagini di guerra, le icone fluttuanti dei media, rimarcandone i contorni, i confini con il tratto della macchina da ricamo, rendendole immortali”).
Sempre, alla maniera classica, il ricordo di uno scampato incidente, questa volta in macchina, è invece quello di Thomas Berra, mentre Stefano Arienti, in maniera sintetica e con fredda ed efficacissima eleganza formale, riproduce fotograficamente uno di quegli altarini spontanei, che si trovano spesso lungo le statali, dove o i parenti di persone che hanno tragicamente perso la vita in incidenti stradali lasciano dei fiori, o mani devote han voluto dedicare un altare spontaneo alla Madonna.
Anche l’ex voto di Marta Sesana parla di uno scampato incidente: “Erano gli ultimi giorni alla residenza d’artista a Cosenza, ottobre 2015. In residenza c’era anche il boxer di un noto artista. Era seduto in macchina nei sedili posteriori. Tornava dalla gita al mare fatta in compagnia del noto artista e la sua fidanzata. Post-pranzo comunitario in residenza, io e i miei amici, andiamo a salutare il noto artista che era appena tornato dalla gita. Vedo il cane, lo abbraccio. Il boxer mi morde. La sua bocca afferra il mio naso e il labbro superiore. Non mi muovo, sento la fidanzata del noto artista urlare in inglese. Riesce a dividerci e poi la corsa al pronto soccorso. Per fortuna (o per grazia ricevuta), annota l’artista: “Non mi ha lasciato cicatrici evidenti”.
Allo stesso modo, anche l’ex voto-scultura di Pino Deodato racconta una storia intima e misteriosa. Si intitola Martedì 9 aprile ore 9, 2024. “È il momento in cui il mio protagonista chiede la grazia”, ci spiega l’artista. “Non è dato sapere se effettivamente la riceve, però. L’uomo è ‘piccolo’ – colui che chiede la grazia. La figura che invece dà la grazia è ‘grande’. Mi piaceva anche l’idea di giocare in questo senso con le dimensioni”.
Infine, altre tragedie, incidenti, battaglie: quelle che Vanni Cuoghi rappresenta nella sua serie The garden of the dragon. “Sono lavori realizzati utilizzando confezioni di psicofarmaci ad uso ospedaliero”, spiega l’artista. “La scatola, che ha visto svolgersi delle vere battaglie con i demoni della propria mente, viene aperta e rimontata al contrario, in modo che sul fondo si possa leggere il nome del farmaco. Realizzo poi un diorama che rappresenta lo scontro tra un uomo e un drago. Il mio ex voto è l’auspicio che, battaglie di questo tipo, vengano vinte dalla nostra mente”.
Riti d’iniziazione
Ci sono storie personali che sono veri e propri racconti e riti di iniziazione. Il più simbolico e suggestivo è probabimente quello di Nicola Verlato, che racconta la sua “visitazione” infantile da parte di nientemeno che Michelangelo Merisi: “Ho preso spunto dal tema dell’ex voto per far riferimento ad un piccolo episodio della mia vita che ho vissuto proprio in quei termini, una specie di “miracolo” che ritengo mi abbia determinato nel modo in cui sono per il resto della mia vita”, ci racconta l’artista. “Avendo cominciato a disegnare molto presto, sui 5 anni, ero ossessionato dal riuscire a trovare il colore della pelle che non trovavo nei pastelli o pennarelli che avevo a disposizione. A un certo punto, nella libreria di casa molto fornita di libri d’arte, mi imbatto nella Flagellazione di Capodimonte del Caravaggio. Credo che, di fronte alla riproduzione di quel quadro, il tempo si sia fermato… mia madre mi dice sempre che sono andato da lei con il libro in mano aperto su quell’immagine e che non riuscivo nemmeno a parlare. Nel dipinto ho quindi rappresentato la scena come la predella di una pala d’altare del 15esimo secolo, togliendo una parete alla stanza, il pittore-bambino che trasecola con il libro in mano, e due ‘demoni’ che portano al bambino colori, pennelli, tavolozza e tela e che lo consacrano pittore per il resto della sua vita. Fuori, all’aperto, a benedire la scena di questa iniziazione, la Madonna col bambino di Bruges di Michelangelo”.
Anche l’ex voto di Giovanni Frangi è una sorta di rito d’iniziazione: “Il mio lavoro”, ci spiega l’artista, “è dipinto su uno specchio e rappresenta Heliconia Paradise, una pianta tropicale che è stata la mia personale e infinita grazia ricevuta. La mia ispirazione e la mia fortuna di poter dipingere, quindi in sostanza non lavorare tutta la vita”.
Tra le storie di iniziazioni, quella di Nicola Di Caprio, artista ma anche musicista, è una storia che ruota tutta attorno alla musica: “Nel mio quadro è ben visibile una cassetta audio cui sono debitore, perché negli anni importanti della mia formazione artistica e musicale è stato il veicolo economico e sociale che mi ha fatto appassionare e conoscere tanta musica con una spesa economica sostenibile”. La cassetta è coperta di pittura (un riferimento al suo mestiere d’artista) e il nastro “si dipana in maniera caotica e disordinata, un po’ come vedi la mia via tra arte visiva e musica suonata”.
Ancora legata alla pittura, invece, quella di Francesco Lauretta, che riproduce pittoricamente, su 3 tele sovrapposte, le foto di una delle sue prime mostre, intitolata Reliquia, del 1994, che era formata da 200 piccole tavole dipinte, unte, bistrattate e bruciate, che formavano altrettanti altarini sospesi tra sacro e profano, e che consisteva, ricorda il pittore, “in una riflessione sulla pittura, perchè allora la pittura sembrava lettera morta, quindi una specie di reliquia”. Oggi l’artista riproduce le immagini di quella mostra, come sorta di rito scaramantico sul mestiere stesso del pittore, aggiungendovi un escamotage che rende la reliquia ancora più esoterica: due delle tre tele sono infatti “legate” dietro alla prima con un nastro giallo, cosiocché l’eventuale collezionista possa, nel caso, decidere di tagliare il nastro, e scoprirne le iconografie nascoste (rovinando però l’installazione), oppure lasciarle così, mantenendo il “segreto” della rappresentazione.
Ma la “sacralità” del mestiere di pittore può essere anche evocato in altro modo, per esempio attraverso un omaggio: come nel caso di Aldo Damioli, che nel suo ex voto rappresenta l’amico Salvo nell’atto del dipingere nel proprio studio. O come in quello di Marco Cingolani, che dedica sempre un omaggio, questa volta all’amico pittore Davide Nido: “Al posto della colla”, racconta, “ho usato i detriti delle mie tavolozze che raccolgo negli anni. È un accumulo di colori simile ad alcune sculture che lui faceva con la colla colorata avanzata. È un omaggio ad un amico prezioso al quale chiedo di intercedere per l’arte e per la vita”.
Anche il gesto stesso del dipingere può essere una sorta di amuleto-simbolo del mestiere del pittore: come in Daniele Galliano, che presenta un lavoro quasi da automatismo psichico dadaista o surrealista, poiché appartiene a una serie, ci spiega l’artista, “dove mi pongo davanti alla tela cercando di muovere le mani impugnando un pennello, inzuppato di colore, cercando di spegnere il cervello, mettendomi a disposizione dell’apparizione… In questo caso è apparso un bambino che rifiuta una tetta che gronda latte”. E non è forse un amuleto misterioso, quella sorta di strano essere ovoidale che campeggia al centro di una tavolozza da pittore, di Enrico Minguzzi, che sembra rappresentare l’anima o il cuore stesso del fare pittorico?
Altari, dolcetti, amuleti
A proposito di altari ed altarini, legati, come molti altri in questa mostra, dal fil rouge del recupero delle tradizioni dialettali, il quadro di Nicola Caredda intitolato Bobboettusu for Cicciolina: “i Bobboettusu“, spiega l’artista, “in sardo sono dei dolcetti all’apparenza molto carini e decorati quasi baroccheggianti, si fanno per le grandi occasioni religiose (ricordano i classici ex voto, solo che si mangiano). L’invocazione segue la personale richiesta di una società egoista che offre i suoi vizi per poterne ottenere ancora di più e in misura maggiore sino alla morte”.
Ancora dolcetti e folklore locale con la curiosa scultura, fatta di farina e uova, a forma di teste e di mani, con al centro un seno femminile, di Anna Capolupo, ispirata a certi “mostriciattoli” di pane e farina anatomorfi (formati da braccia, seni, gambe, ecc.), usati come ex-voto nei santuari calabresi o donati alla sposa come segno di fertilità?
Spazi sacri e simbolici
Sono molti anche i paesaggi intesi come spazi sacri, rituali. A cominciare da quello di Giuseppe Stampone, “un lavoro”, racconta l’artista, “che nasce in omaggio alla mia terra, l’Abruzzo che ormai fa parte del mio immaginario creativo… la mia terra e la natura, la mia terra e l’ambiente, la mia amata terra chiamata il polmone verde d’Europa, e il rapporto fra uomo e natura in questo difficile periodo storico dove preservare l’ambiente significa preservare l’uomo… cosa di meglio che farlo attraverso l’azione che Joseph Beuys ha realizzato in Abruzzo, a Bolognano, la celebre Difesa della Natura?”. Difesa della Natura, dunque, come atto rituale tramite Beuys, l’artista-sciamano per eccellenza.
E ancora, i paesaggi simbolici di Marco Demis, nei quali “il soggetto centrale dell’opera è una visione ideale che ondeggia sulla soglia tra finito e indefinito, non vive nessuna dimensione spaziale o temporale…”, e dove “la vittima e il carnefice sono inconsapevoli del motivo, se non del ruolo condiviso dal rituale, messo in scena con figure e oggetti singolari che, nel loro immolarsi, diventano avulsi da ogni contesto o vissuto. Il mio lavoro serve ad esorcizzare una condizione di incompiutezza; la seduzione di questi soggetti nasce dalla tensione che scaturisce dalla loro intima fissità, dalla loro fragile monumentalità”.
E poi i paesaggi liquidi, rarefatti e quasi lunari, di Pierluigi Pusole (titolo, L’infinito possibile), quelli di Matteo Bergamasco, con la sua scala elicoidale che sale verso il cielo, simbolo di un’ascesa al divino ma anche metafora della spirale umana del DNA. Paesaggi che possono esssere anche campi di energia, luoghi magici e fantastici: come quello di Paolo Pibi, “pensato”, dice l’artista, “come se fosse un oggetto magico, un amuleto che incanala le energie negative di chi si approccia all’opera restituendogli la calma e il benessere che tutti ricerchiamo. È una preghiera, un’invocazione di guarigione per una persona a me molto cara. Questa preghiera si è avverata e l’opera si è trasformata davvero in un ex voto”.
O come il paesaggio-simbolo di Enzo Fiore, una sezione di terreno: “In questo modo si vede in contemporanea quello che succede al di sotto e al di sopra del suolo”, ci dice l’artista. “Gli elementi che si distaccano dalla terra, foglie o insetti sono congelati nel momento in cui iniziano la loro ascesa, una sorta di “distacco”… è come se facessi tornare in vita forme che non lo sono più”. Ancora un’azione apotropaica e non meramente rappresentativa.
Amuleti, cuori, campi di forza
E che dire allora del paesaggio-amuleto di Fulvio Di Piazza, con una nuvola a forma di cuore? Di cuori, del resto, questa mostra non poteva essere scevra. Come il “cuore da viaggio” di Andrea Bianconi, o il cuore-amuleto di Bertozzi e Casoni, raccolto all’interno di uno scrigno misterioso che ha la forma di una custodia di violino, o ancora il cuore disegnato sul terreno da un uomo chinato sulla sabbia nell’ex voto di Wainer Vaccari, che nel titolo diventa In terra Santa, o il cuore che sgorga dal pertto delle donne-icone di Matteo Basilé.
Nel lavoro di Dany Vescovi, il cuore-ex voto è rappresentato in maniera simbolico-numerica, come una sciarada o un misterioso rebus, leggibile solo agli iniziati: “il lavoro”, ci dice l’artista, “nasce prendendo in considerazione in macro i tipici cuori d’argento ricamati a filo argento o sbalzati… i 7 punti in fucsia sono i 7 dolori della Madonna… generalmente sono rappresentati con le 7 spade che trafiggono il cuore (3 su un lato e 4 dall’altra); il quadro è in rilievo e coperto con foglia argento, e Ag – 47 è la sigla che identifica l’argento nella tavola periodica degli elementi”.
Con Felipe Cardeña, il classico ex voto d’argento, settecentesco, si staglia al centro di un complesso patchwork di stoffe cucite e ricamate: il lavoro si intitola God Save the Art perché nell’atto certosino del cucire tra loro, a mano, le stoffe, si nasconde una sorta di rito, lento e meticoloso, come un mantra o una preghiera. Un atto apotropaico che invita una imprecisata divinità a salvare non una singola persona ma il senso stesso del fare arte. I gioielli che la decorano ricordano le offerte votive dei fedeli alle divinità che in tutte le religioni accompagnano le statue degli dèi o le immagini sacre.
Paola Pezzi, invece, sostituisce il classico cuore, simbolo dell’ex voto della tradizione, con uno dei suoi agglomerati, simboli di un “passaggio di stato” della materia, da semplice materiale da passamaneria a oggetto-simbolo, feticcio, oggetto transizionale nel rapporto dell’uomo col divino, attraverso il movimento e l’energia impressi dall’artista, che fanno di queste opere, ci spiega l’artista, “dei campi di forza…”. Se si aggiunge il colore, Blu Klein, come recita il titolo dell’opera, ogni cosa torna davvero al suo posto.
Animali fantastici e dove trovarli
Anche gli animali, però, possono essere catalizzatori di energie. Come le misteriose presenze, tra l’umano e l’animalesco, di Gherardo Quadrio Curzio, che in mostra ci propone due scene differenti, con la loro dicotomia tra luce e ombra; o quelli di Marco Mazzoni, immersi in paesaggi fantastici e fatati; e a quale animale, o angelo, o essere ultraterreno apparterrà invece l’ala dell’ex voto di Aldo Sergio?
Nel lavoro di Tomoko Nagao, ecco comparire invece un cavallino in ceramica: cosa c’entra, vien da chiedersi, con gli ex voto? Presto detto. Si rifanno alle statuette giapponesi haniwa, figure in terracotta utilizzate a scopo rituale, realizzate per essere seppellite con gli altri oggetti funerari insieme ai morti. Molte di esse avevano forma di cavallo, come ricordo dell’epoca in cui venivano portati al tempio shintoista i cavalli veri.
Per finire, forse l’ultimo ex voto possibile, il più sentito, il più struggente, è quello del Laboratorio Saccardi. Un’invocazione a colei che a noi tutti, siamo maschi, femmine, uomini, animali, santi, dèi, banditi, eroi, criminali, trapper o monaci, ci ha messo al mondo: la mamma. Miglior ex voto, per grazia ricevuta, in fondo non poteva darsi.