Se dovessimo paragonare la storia del pianeta Terra ad una composizione musicale, sarebbe una sinfonia di Beethoven. L’ultimo meraviglioso minuto di Pietro Ruffo è un vero e proprio opus che racconta la vita del nostro mondo, una musica diffusa negli spazi del Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Quattro sono i movimenti che si alternano, uno per ogni sala, per ripercorrere, strato per strato, le vite passate del pianeta e l’impatto dell’essere umano su di esso. Come ogni sinfonia, è un’opera complessa e maestosa, ricca di contrasti, di crescendo e cali, di tensioni e risoluzioni, sempre in evoluzione, sempre in mutamento.
Nel primo movimento il tempo scorre lento ma solenne, al passo con lo sviluppo della vita sulla Terra. Le monde avant la création de l’homme è il titolo della sala, una giungla tropicale senza fine, ricca di piante e minerali preistorici in parte sconosciuti all’uomo. Una foresta primordiale nasconde le pareti della sala, una fitta cornice dove lo sguardo si perde, si muove fra gli alberi, scostando le foglie lungo il cammino.
Il pavimento di travertino è la tela bianca su cui spuntano alcune macchie di colore, tracce di fossili vegetali che hanno accompagnato la Terra negli ultimi cinquanta milioni di anni. Con un taglio alla Lucio Fontana il paesaggio viene squarciato da un’immagine color terra di Siena bruciata, dipinta su una grande struttura autoportante: un tratto del Grand Canyon è ricoperto di fossili di conchiglie, oggetti che rievocano le fasi passate del nostro pianeta, quando l’acqua ricopriva ogni cosa.
Nel secondo movimento, più vivace e dinamico, si entra nell’Antropocene, epoca in cui l’impronta pesante dell’uomo appare sul pianeta. Dai teschi dei Neanderthal alle statuette votive, la figura umana condiziona radicalmente l’ambiente terrestre e si distingue fin dall’inizio per il suo pensiero astratto, capace di costruire intere società. Ecco che la sala si converte in un piccolo museo antico, dove i vari reperti sono ordinati sulle tele, evocando siti archeologici e teche trasparenti.
È un’epoca geologica ancora in corso, tempo di grande cambiamento e responsabilità, pieno di contraddizioni. Nonostante l’egoistica visione dell’uomo, la natura trova sempre il suo posto, si fa spazio con i gomiti, facendo sentire la sua presenza costante. Ce lo ricordano le lunghe liane verdi che attraversano le opere, una forza vitale più grande di noi che reclama un luogo che le appartiene di diritto.
The Planetary Garden è il terzo movimento, adagio e riflessivo: una video installazione in cui il tempo e lo spazio si sovrappongono, evidenziando il complesso gioco di influenze e responsabilità tra l’essere umano e il pianeta. Il continuo cambiamento del paesaggio è la risposta della natura alla presenza dell’uomo, che tenta di addomesticarla come si fa con un bel giardino, per renderla meno selvaggia e più simile a noi.
Non si tratta, però, di una semplice relazione di dominio e sfruttamento: la Terra è un organismo vivo in costante evoluzione, un sistema di stratificazioni, trasformazioni e mutamenti di cui siamo parte integrante. È un invito a ripensare la nostra presenza nel tempo geologico, con la consapevolezza di esserne solo un breve istante.
Il quarto movimento è allegro, ma con dei toni drammatici: è l’ultima sala a cui è affidato il compito di mostrare il potenziale futuro dell’umanità e del mondo, un crescendo che non esclude lo sviluppo e il rinnovamento, ma neanche il disastro e l’autodistruzione. A fungere da esempio è la città di Roma, emblema di stratificazioni architettoniche e geologiche che ne raccontano la straordinaria storia. Il paesaggio urbano, una volta selvaggio, emerge dalla superficie con ritagli di illustrazioni d’epoca, mappe storiche e ambienti immaginari, offrendo uno sguardo su un futuro possibile e sulle sue eterne metamorfosi.
Con L’ultimo meraviglioso minuto Pietro Ruffo ci ricorda quanto è sottile la presenza dell’uomo nella storia della Terra, fioca come la luce di un fiammifero in una giornata di sole. “Restituire la meraviglia di questo passato remoto – afferma l’artista – significa sottolineare quanto la nostra esistenza sia il risultato di un equilibrio precario e irripetibile”.
La diretta conseguenza di tutto ciò è un invito a riflettere sul nostro comportamento nei confronti del pianeta e a interrogarci su come possiamo cambiarlo, per continuare a vivere in armonia con la natura. Come scrive l’astronomo francese Camille Flammarion nel testo Le monde avant la création de l’homme (1886): “Verrà giorno in cui l’umanità, più volte trasformata, discenderà la parabola del suo progresso, si stringerà cogli ultimi elementi vitali del pianeta, e s’addormenterà nell’ultimo sonno”.