In questa rubrica vi raccontiamo storie, aneddoti, gossip e segreti, veri, verosimili o fittizi riguardanti l’arte e gli artisti d’ogni tempo. S’intende che ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti sia puramente casuale…
Renoir non si impicciò mai di politica, al contrario del suo collega Courbet, ma pensò sempre e solo alla sua adorata pittura. Eppure, qualche volta con le vicende della politica ci si dovette immischiare per forza. A raccontarcelo è il figlio, il regista Jean Renoir, nella sua biografia Renoir mio padre, dove ricorda che, durante l’impero di quello che Victor Hugo chiamò “Napoleone il piccolo”, il pittore soleva andare a dipingere en plein air nella sua amata foresta di Fontainbleu. Un giorno avvertì uno strano rumore tra le frasche, intimò il “chi va là”, ed ecco far la sua apparizione un tipo poco rassicurante, dagli abiti malconci e sporchi di fango, gli occhi stralunati e i gesti febbrili. “Mio padre”, raccontò poi Renoir jr, “pensò che si trattasse di un pazzo fuggito dal manicomio e afferrò il bastone come un’arma, deciso a difendersi”.
Scoprì invece che altri non era che un giornalista repubblicano, tale Raoul Rigault, braccato dalla polizia dell’Impero, che da due giorni si aggirava nella foresta senza mangiare. Renoir, impietosito, si fece venire in mente un’idea: di farlo passare per uno dei pittori che abitualmente frequentavano, come lui, la foresta per dipingere en plein air. Corse così al villaggio più vicino, Marlotte, e tornò con una blusa da pittore e una scatola di colori. “Nessuno farà domande, vi prenderanno per uno dei nostri, i contadini ci vedono andare e venire e non se ne stupiscono più”.
Rigault passò così un paio di settimane a Marlotte mescolandosi ai pittori, passando inosservato alle guardie di Napoleone III, fino a che Pissarro, che aveva in odio la politica imperiale (e che più tardi si sarebbe anche avvicinato all’anarchismo), riuscì ad avvertire alcuni amici parigini del fuggitivo, che lo aiutarono a passare il confine e a rifugiarsi in Inghilterra, in attesa che cadesse l’Impero.
Questa, dunque (almeno fino a questo momento), è la nobile storia di un salvataggio, che dimostra come, a volte, travestirsi d’artista, senza punto esserlo, possa a volte salvarvi la vita.
Ma il seguito della storia rivelerà un altro aspetto dell’indole del pittore, che vedremo nella prossima puntata.
Le puntate precedenti degli aneddoti sulle vite degli artisti le potete trovare qua:
Picasso e quella strana passione per il bagno
Manet, Monet e quel giudizio velenoso su Renoir
Annibale Carracci, i tre ladroni e l’invenzione dell’identikit
Quando Delacroix inventò l’arte concettuale
Il senso di Schifano per la logica e per gli affari
Gentile Bellini, lo schiavo sgozzato e il mestiere della critica
Bacon e il giovane cameriere bello come il Perseo del Cellini
Filippo Lippi, quando l’arte lo salvò dai turchi
Turner: il mio segreto è disegnare solo ciò che vedo
Il prossimo aneddoto sulla vita degli artisti lo trovate qua: