Se il mantra del campeggiatore consapevole è “Non lasciare traccia”, le stesse regole sembrano ora essere chiamate in causa dagli antropologi per la nostra esplorazione del sistema solare. Tuttavia, la questione non riguarda soltanto la pulizia dell’ambiente in cui ci muoviamo, ma anche la conservazione di ciò che potrebbe sembrare semplicemente “rifiuti spaziali”. Soprattutto quando ci troviamo a parlare del pianeta Mar – come suggerisce la recente ricerca pubblicata su Artnet – il discorso si complica.
Secondo gli studiosi di diverse università del mondo, tra cui la University of Kansas City, la New Mexico State, la Cornell, la North Carolina State e il Centro di Astrobiologia spagnolo, potrebbe essere di fondamentale importanza preservare i cosiddetti “rifiuti spaziali”. Questi, difatti, rappresenterebbero dei veri e propri tesori spaziali, da considerare come reliquie di un patrimonio che si lega alla storia evolutiva migratoria della nostra specie, dal nostro primo passo fuori dall’Africa fino alla Luna e oltre.
Ma quali sono questi “relitti in orbita” a cui gli studiosi fanno riferimento? Parliamo di sonde guidate da esseri umani, di lander (astronavi in grado di atterrare), rover, reti, paracadute, coperte termiche e perfino elicotteri, come l’Ingenuity che volò più di 70 volte su Marte durante la missione NASA del 2020. Insomma, oggetti che potremmo considerare come “rifiuti spaziali”, ma che contengono in sé una storia di esplorazioni e scoperte.
Questi oggetti, insieme ad altri non trasportabili come impronte umane o tracce lasciate da veicoli, costituiscono, secondo i ricercatori, il cosiddetto “patrimonio spaziale” della razza umana. Un patrimonio che si corre il rischio di perdere o danneggiare se non si mettono in atto adeguate strategie per documentarlo, mapparlo e conservarlo.
Divenuto teatro delle prime esplorazioni umane oltre la Terra, Marte ospita a oggi un ammontare stimato di 10 mila kg di oggetti di origine umana. L’attenzione rivolta verso questi “rifiuti spaziali”, non dovrebbe più focalizzarsi esclusivamente su come questi possano impattare con le missioni future o con l’ecosistema del pianeta rosso. Questi reperti dovrebbero, invece, essere considerati come oggetti di vera e propria eredità culturale.
D’un tratto, quello che inizialmente definivamo come “rifiuto spaziale” acquisisce un nuovo valore, che si traduce in un tesoro spaziale da preservare. Un cambio di prospettiva che parte proprio dal lavoro di rete e dal dialogo interdisciplinare tra scienziati planetari e archeologi.
In questo senso, Marte non è solo un pianeta da esplorare alla ricerca di nuove scoperte scientifiche, ma diventa un luogo da salvaguardare per il suo valore culturale e archeologico. La sua superficie, i suoi crateri, le tracce dei rover e delle missioni spaziali hanno un valore storico che dobbiamo imparare a rispettare e a conservare. Così come abbiamo imparato a valorizzare i siti archeologici e le opere d’arte sulla Terra, dobbiamo imparare a fare lo stesso con i ‘relitti in orbita’.
Per far ciò, sarà necessario mettere a punto strategie adeguate per documentare, mappare e tracciare tutto il patrimonio umano su Marte. Un compito che richiede la collaborazione tra diversi settori scientifici e che ci prefigura un futuro in cui l’esplorazione spaziale andrà sempre più a braccetto con l’archeologia.