Alzi la mano chi di noi ragazze non avrebbe perso la testa per un giovane Mick Jagger, con quei pantaloni dipinti addosso e quella bocca da mordere. Eppure, anche questo sex symbol planetario – forse eroticamente il più longevo – si è visto soffiare la ragazza. Da chi? Un artista, of course. Perché se si vanno a spulciare le cronache rosa, si scopre che alcune delle coppie più dirompenti di sempre hanno visto affiancarsi arte e rock.
L’artista che con un solo sguardo sfila la fragile e bamboleggiante Marianne Faithfull dalle spire di Hot Mick è – chi altri? – Mario Schifano, che con i suoi golfini improbabili, la stempiatura selvaggia e l’aria malaticcia non sbagliava un colpo (volete un elenco? Anita Pallenberg, Anna Carini, Isabella Rossellini, Nancy Ruspoli, solo per tirare fuori quattro nomi a caso: la più scarsa sfilerebbe per Victoria’s Secret). La leggenda racconta che Marianne salutò Mick, con cui conviveva, dicendogli che sarebbe uscita un momento. E poi per un bel po’ di giorni non si fece vedere.
Meno bollente e più cervellotica la liaison tra l’algida Nico (all’anagrafe Christa Päffgen) e il nevrotico Andy che, lo sappiamo, ancorché omosessuale impenitente per le donne faceva una vera e propria malattia. Quando lui e Nico si conoscono, la superstar del suo cuore è Edie Sedgwick, che tra anoressia, residui di una famiglia disfunzionale, droga e psicofarmaci, brilla di un fascino intrigante ma piuttosto isterico. Nico, la lunga frangia a sfiorare gli occhi, è l’opposto: silenziosa, enigmatica. Macabra, la definisce qualcuno. Quando Andy la vede per la prima volta, lei sta cercando di artigliare con le unghie fette di arancia imbevute di alcol da un bicchiere di sangria. Lui resta a bocca aperta. “È la creatura più bella esistita sulla terra”, dice estasiato (e il fatto che fosse stata fidanzata con Alain Delon, sbaragliando una fila chilometrica di pretendenti, depone a favore di quel giudizio). Niente minigonne, per Nico, ma un look androgino fatto di pantaloni e blazer che manda il re della Factory in visibilio e cancella dal suo cuore, con un colpo di spugna, tutte le altre ragazze. Ma soprattutto una voce di velluto e una presenza scenica che convincono Warhol a spingerla verso la musica e a infilarla a forza tra quei Velvet Underground che da principio non la vogliono nemmeno vedere. (Lou Reed però, quasi subito, decide che gli va di vederla, anche molto da vicino). L’album che creeranno insieme, con la banana di Andy in copertina, diventerà una pietra miliare del rock.
E poi ci sono Patty Smith e Robert Mapplethorpe, così belli, nelle foto scattate da lui, da sembrare gemelli: gli occhi enormi, il fisico filiforme, l’espressione allarmata di cuccioli selvaggi sorpresi nel bosco. E gemelli lo sono, in un certo senso. Non solo perché sono nati a poche settimane di distanza alla fine del 1946, ma perché sono entrambi in fuga da famiglie che li volevano altro. Lui a nascondere la sua omosessualità, lei alla ricerca di uno spazio dove far sentire la propria voce. Un’amicizia che nasce da un incontro fortuito, in un negozio, e sboccia subito in lunghe passeggiate mano nella mano per Central Park. E in una convivenza, anche, in una specie di amore più metafisico che sessuale che, come tutti i sentimenti al di sopra dei comuni mortali, non finirà mai. È lui a trovarle la possibilità di fare il suo primo reading di poesie. Lei pallida, secca come un giunco, una t-shirt bianca sui seni inesistenti, più ragazzino che donna, e con quella voce che graffia i muri. E poi sarà Lou Reed – ancora lui – a vedere prima di tutti gli altri quello che lei sarebbe diventata. Non si lasceranno mai, Robert e Patty, nemmeno quando lui incontrerà il grande amore della sua vita: Sam Wagstaff e comincerà la sua scandalosa e fulminante carriera. E sarà Patty a stargli accanto e a tenergli la mano quando si ammalerà della malattia che se lo porterà via insieme ad alcuni dei più grandi della sua generazione.
Yoko Ono, invece, non ha niente della tenerezza di Patty. Quando entra nella vita di John Lennon ha la grazia di una palla da bowling (i birilli che saltano in aria sono i Beatles). Artista concettuale già affermata nell’ambito di Fluxus (Cut piece, performance nel corso della quale si fa tagliare dal pubblico gli abiti che indossa, anticipa gli esiti più hard di Marina Abramovic), carismatica, impenetrabile, più grande di lui di sette anni, Yoko diventa per John una specie di guru, dal cui giudizio è impossibile prescindere (difficile non comprendere il fastidio degli altri tre ragazzi di Liverpool). Sarà addirittura lei, nel 1973 – quando la coppia, sposata da quattro anni, comincia a fare acqua – a trovargli l’amante giusta che lei possa controllare, tale May Pang, la sua segretaria. La quale, come evidentemente era nei piani, si leva dalle scatole non appena lui si è tolto qualche capriccio e la riconciliazione ha come effetto il piccolo Sean. Se nessuno può dimenticare il “bed-in” della luna di miele, quando nel marzo del 1969, ad Amsterdam, i due si fanno fotografare a letto, per una settimana, per protestare contro la guerra in Vietnam, l’immagine più iconica che ci resta di loro è quella scattata da Annie Liebovitz la mattina stessa di quell’8 dicembre 1980 in cui il cantante sarà assassinato. Completamente nudo, in posizione fetale, Lennon è abbarbicato a una Yoko ieratica, con i capelli sparsi sul cuscino, vestita di nero come una vedova affranta.
Bellissimi, entrambi dotati di un’immaginazione visionaria fuori dagli schemi, capaci di eccellere nelle loro carriere ma anche di collaborare in progetti immaginifici (come Drawing Restraint 9, del 2006), Bjork e Mattew Barney ci hanno fatto sognare per una decina d’anni, così bravi a tenersi in equilibrio tra famiglia e glamour, per poi precipitare nella solita storia dei panni sporchi. Vulnicura, infatti, l’album con cui Bjork esce nel gennaio 2015 (con lei, in copertina, come una santa con tanto di aureola, giusto per scansare gli equivoci su chi fosse il cattivo e chi il buono) è il racconto della fine di una relazione, dei sentimenti provati, delle frasi dette e di quelle pensate in una coppia che sta scoppiando. Lei pare abbia lottato come una tigre per ritrovare l’armonia. Lui, invece, che si sia chiuso nel silenzio. Forse, a pensarci bene, il cocktail tra il folletto islandese che ha reinventato la musica techno pop, ibridandola e sfuggendo a qualsiasi classificazione (e che è riuscito anche a vincere una Palma d’oro a Cannes per la sua interpretazione in Dancer in the dark di Lars Von Trier) e il folle trasformista della serie Cremaster era davvero, come si dice, “un po’ too much”.
E se pensate che il connubio musica e arte sia cosa relativamente recente, sappiate che vi sbagliate. La buona Alma Schindler (più conosciuta come Alma Mahler), sarebbe diventata una pianista di successo se il suo primo marito Gustav non l’avesse schiacciata (per paura che lo superasse? No, dai, così forse è troppo). E lei, musicista nell’anima, gli artisti li amava davvero tanto tanto: Gustav Klimt, che la iniziò ai piaceri dell’arte, Walter Gropius, che la consolò quando il marito andava a curare l’impotenza da Freud, e anche Oskar Kokoschka, che, quando lei lo lasciò, disperato si fece confezionare una bambola identica alla donna per portarsela a teatro e al caffè.
Insomma, ragazze, l’avete capito: se volete conquistare un artista vi conviene cominciare a cantare.