Siamo tutti Emily: il progetto FRIDAS guida i giovani verso la parità di genere

L’inverno è freddo e umido nella cittadina di Enniskillen, in Irlanda del Nord. L’erba è bagnata e il fango macchia i vestiti. I ragazzi si placcano a vicenda e la palla ovale vola in aria. Ad afferrarla sono due mani gentili ma salde. L’odore del cuoio raggiunge le narici e le dita stringono forte la pelle ruvida. Il corpo si muove di scatto, le gambe vanno da sole nonostante le ginocchia tremanti. L’ampia gonna si fa leggera, accarezzata dal vento. Il battito accelera mentre schiva un avversario.

La meta è davanti a lei: un ultimo scatto e schiaccia il pallone a terra, proprio sulla linea. Sdraiata sul prato a faccia in giù, per un attimo il tempo si ferma e tutto diventa nero. Poco dopo si alza in piedi, pulendo un po’ le ginocchia. Sguardi sorpresi e attenti la osservano e l’iniziale silenzio viene rotto dalle grida e gli applausi del pubblico. Un largo sorriso spunta sul suo volto, subito ricambiato dai due fratelli maggiori: era tutto quello che aveva sperato.

È così che nel 1887, a soli dieci anni, la giovanissima Emily Valentine apre la porta del rugby anche alle donne. Sfidando ogni pregiudizio e convenzione di genere, Emily dà inizio a un lungo processo che ha visto l’infrangersi di quei preconcetti, da sempre veicolo di discriminazione e disparità tra uomo e donna. Oggi la strada da fare è ancora molta, eppure qualcosa si sta muovendo.

FRIDAS Courtesy Latitudo Art Projects © Paola Farfaglio

A evidenziarlo è FRIDAS – Freedom in Rights Identities Driven through Art and Sport, un progetto presentato da Latitudo Art Projects e curato da Benedetta Carpi De Resmini e Paola Farfaglio. Raccogliendo l’eredità dell’animo libero e rivoluzionario di Frida Kahlo, FRIDAS stringe un’alleanza tra l’arte e lo sport, impegnandosi a educare i giovani alla parità e all’uguaglianza. 

Protagonisti del progetto sono i giocatori di due squadre miste di rugby: U.S. Primavera Rugby (Italia) e Ragbi Klub Nada (Croazia). Con la collaborazione dell’artista John Cascone e di varie figure cruciali, i ragazzi sono stati guidati attraverso workshop, laboratori, webinar e visite di scambio, realizzando poi l’opera video Emily.

FRIDAS Courtesy Latitudo Art Projects © Paola Farfaglio

Nella storia dello sport il rugby è sempre stato associato al conflitto, alla violenza e alla mascolinità, stereotipi che ancora oggi si fatica a superare. Emily dimostra invece che nel rugby non c’è nulla di precostituito e che, attraverso il contatto fisico, le distanze sociali si annullano. I confini tra sport e performance artistica si fondono e si confondono, generando una metamorfosi: il movimento comune si fa quindi spazio di discussione per ridefinire le categorie di genere.

All’interno della video performance i giocatori cadono a terra come addormentati. Una delle poche ragazze presenti rimane in piedi e lentamente si fa avanti. Cammina in mezzo agli altri, seguendo il ritmo delle parole tratte dal diario di Emily Valentine: “amavo il rugby e ho mentito a mamma per giocare” sono le prime frasi che si ascoltano. Il desiderio è troppo forte, incontenibile. Le mani tremanti si avvicinano alla palla, esitando un istante. Poi l’afferrano, dando inizio a quello che assomiglia a un rito, una sorta di catarsi. La palla passa di mano in mano, girando in circolo insieme ai giocatori. Al grido “Tutti siamo Emily” i ragazzi sembrano svegliarsi da un lungo sonno: inizia la partita.

FRIDAS Courtesy Latitudo Art Projects © MAMOSA TV PRODUKCIJA

Il rugby è performance, è movimento, ce lo insegnano le danze di guerra che i giocatori mettono in scena prima di giocare; ma è anche comunità, rispetto e inclusione. Tutto ciò lo rende il terreno più fertile su cui piantare le radici del cambiamento. E se oggi, quando si chiede a un adolescente di provare a correre come una ragazza, la domanda gli risulta assurda e priva di senso, allora lo spirito di Emily Valentine può riposare in pace, certo che il suo grido di rivolta è stato ascoltato e recepito, forte e chiaro.

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