Mi trovo di fronte a un nucleo di reperti etruschi composto da urne, sarcofagi, specchi, vasi in bronzo e tanto altro, e non riesco a distogliere l’attenzione da una singola ciocca di capelli, quella disegnata sulla guancia di una delle figure femminili che adornano, nella canonica posizione semirecumbente, i coperchi delle urne cinerarie.
Perché – a mio avviso – sono i piccoli grandi dettagli come questo a rendere questo gruppo di oggetti così straordinario.
Quello effettuato dalla sezione Archeologia del Reparto Operativo del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dell’Arma dei Carabinieri, e presentato ieri ufficialmente a Roma, alla Caserma La Marmora in via Anicia, è un recupero che è senza dubbio destinato a scrivere una pagina importante della storia della tutela del patrimonio culturale in Italia.
L’indagine, condotta nel territorio di Città della Pieve (PG), al confine tra Umbria e Toscana, ha portato al recupero di un consistente nucleo di reperti, provenienti da una necropoli violata in modo illecito. Nel 2015, nello stesso territorio, un agricoltore, arando il terreno, si era imbattuto nei resti di un ipogeo etrusco, riconducibile alla famiglia dei Pulfna, che le attestazioni epigrafiche indicano come una delle più rilevanti del territorio di Clevsin, la Chiusi etrusca, a cui l’area di Città della Pieve era probabilmente associata.
Proprio il patronimico Pulfna, presente nelle fotografie di alcune urne cinerarie circolanti nel mercato illecito di opere d’arte, ha catturato l’attenzione degli inquirenti, in cui è sorto il sospetto che un’altra necropoli limitrofa fosse stata intercettata e violata. Da lì è partita una lunga indagine, che ha portato all’individuazione dei responsabili del saccheggio, dell’area di provenienza dei reperti, ma – soprattutto – al recupero di quest’ultimi, prima che scomparissero nei meandri del mercato nero.
Ma di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando del contenuto di una tomba ipogea a doppia camera, databile all’ultimo quarto del III secolo a.C., nel cosiddetto periodo ellenistico. Nello specifico, sono stati recuperati: una cinquantina di elementi di corredo composto da oggetti in metallo – per lo più vasellame ma anche e soprattutto quattro specchi con decorazione figurata a incisione – , oggetti in terracotta, e in altro materiale, come l’osso; due sarcofagi, uno contenente lo scheletro di un individuo di sesso femminile, sormontato da un coperchio con formula onomastica (VELIA LEFNI PULFNASA), l’altro conservato nel solo coperchio, poiché la cassa è stata distrutta e abbandonata in frammenti fuori dalla tomba; otto urne in travertino umbro, con casse decorate ad altorilievo e coperchio in guisa della figura del defunto nella classica posizione triclinare, di cui balzano immediatamente all’occhio i resti di policromia e di rivestimento in foglia d’oro che adornavano proprio le figure.
Solo queste tracce di colore, le labbra ancora rosse, i ricchi gioielli ancora dorati, e quella ciocca di capelli neri che citavo all’inizio, basterebbero per rendere questi oggetti memorabili. Ma non basta. E allora potremmo citare proprio gli altorilievi figurati delle urne, che richiamano episodi desunti dal patrimonio mitico greco – come la caccia di Meleagro e Atalanta al cinghiale calidonio o il mortale duello tra i tebani Eteocle e Polinice – e dal ciclo troiano, come l’uccisione del figlio di Priamo Troilo, per mano di Achille, la cui truculenta rielaborazione tutta italica (corredano la scena due vanth, due demoni inferi etruschi) inserisce la scena nella più ampia ideologia dello scontro etrusco-romano, che infiamma questo periodo.
Oppure potremmo citare uno degli specchi in bronzo, e non solo per la scena rappresentata, una lupa che allatta un infante tra due figure, una maschile e una femminile, una sorta di peculiare rielaborazione del mito di fondazione di Roma “monogemellare” (ammesso sia così), ma anche per la sua “antichità” anche rispetto alla deposizione stessa, che precede di almeno un secolo, figurandosi come una sorta di eredità familiare da deporre assieme al defunto. E ancora le iscrizioni, le decorazioni a sfinge o in guisa di testa di gorgone, la probabile presenza dell’eroe di Maratona Echetlo…
Insomma: un tesoro. E ogni pezzo di questo “tesoro” avrà bisogno di anni e anni di studi e ricerche per poter sperare di essere correttamente contestualizzato e capito. Ma già oggi, a poca distanza dal suo recupero, è chiaro che siamo di fronte a qualcosa che si vede raramente, e per il momento ci limitiamo a fissare quella ciocca di capelli, grati di poterne avere la possibilità.