Claudia De Luca, un libro d’arte che “infonde suggestioni, immagini e orizzonti”

Claudia De Luca è un’artista e docente di filosofia e storia che esplora, attraverso la sua pratica artistica, l’intersezione tra parola e immagine. Nel suo primo libro d’artista, La parola incarnata, pubblicato da My Monkey Edizioni sotto la guida dell’editore Andres David Carrara, De Luca crea un dialogo profondo tra i suoi testi e le sue opere visive, ispirandosi a una vasta gamma di pensatori, filosofi e artisti che hanno influenzato il suo percorso creativo. La parola incarnata non è un tradizionale catalogo d’arte, ma un’opera intima e personale che si sviluppa come un “percorso nomade”, lontano dalle rigide convenzioni narrative, e che invita il lettore a esplorare le infinite possibilità del dialogo tra linguaggio verbale e visivo.

Attraverso questa intervista, De Luca ci conduce in un viaggio nella sua visione artistica, esplorando temi come il concetto di incarnazione, il significato di confine e soglia, e il suo approccio nomade alla creazione artistica. Il libro intreccia le sue opere degli ultimi dieci anni con testi scritti da autori e filosofi come Gilles Deleuze, Nikos Kazantzakis, e Carmelo Bene, offrendo una visione poliedrica della sua poetica.

Claudia De Luca ph Eleonora Conti

Il tuo libro “La parola incarnata” rappresenta il tuo primo libro d’artista. Qual è stato il processo creativo che ha portato alla sua realizzazione e a quali artisti ti sei ispirata?

Il processo creativo che ha delineato il libro d’artista La parola incarnata è stato caratterizzato da una lunga e personale riflessione. Ho raccolto molte delle opere realizzate in questi ultimi dieci anni e ho cercato di dar loro un senso non solo estetico ma soprattutto poetico. Le opere presenti nel libro, infatti, hanno un’origine intimamente travagliata ma acquistano una forma ordinata grazie al supporto delle mie parole e degli autori a cui faccio riferimento. L’irruenza del gesto pittorico viene sedata dalla linearità della parola che, con cura, quieta e plasma la materia e il colore.

Gli artisti che hanno influenzato il mio lavoro artistico sono molteplici e a tutti sono grata e riconoscente. Non solo per la profondità della riflessione filosofica e artistica che mi hanno lasciato in eredità, ma soprattutto per la capacità di analisi attenta e meditata che hanno recato alla mia esistenza. Artisti come Antoni Tàpies, Alberto Burri o Mark Rothko, per citarne alcuni, hanno reso la mia personale dimensione umana più tollerabile e il mio procedere artistico più perdonabile.  

Nel volume, le tue opere dialogano con testi scritti da te negli ultimi anni. Come si è sviluppato questo dialogo tra parola e immagine?

La necessità di determinare uno scambio tra parola ed immagine è stato il fulcro di questo libro d’artista. Mi sono resa conto che in questi ultimi dieci anni avevo più scritto e dipinto che parlato. Dunque, era necessario dare luce a questo aspetto che ho definito primordiale e salvifico. Ho permesso che alcuni miei scritti potessero introdurre o concludere i miei lavori pittorici. Li ho usati come una cornice, un supporto che non vuole spiegare l’opera ma semplicemente accompagnarla nel suo procedere.

Ma insieme ai miei scritti ho voluto accanto a me anche riflessioni di autori che mi hanno accompagnato (e tutt’ora mi accompagnano) nella vita professionale e personale. Mi riferisco a filosofi come Gilles Delueze, scrittori come Nikos Kazantzakis, Peter Handke, poeti come Ghiannis Ritsos, Edmond Jabès, attori e registi come Carmelo Bene, letterati come Caio Fernando Abreu, per citarne solo alcuni. I loro testi hanno segnato una frattura nella mia poetica artistica, hanno aperto squarci inaspettati e affascinanti. Sono sempre stata una lettrice assidua e costante e non potevo non coinvolgere in questo libro d’artista alcuni frammenti di questi autori anche perché ritengo che siano stati fondamentali per comprendere che puro ed impuro vanno spesso di pari passo e non meno importante del nostro bene sia anche la consapevolezza delle nostre cadute, dei nostri fallimenti.

Le mie opere risentono di questa atmosfera, dove rinascita e inciampo dialogano tra loro. Ho sempre ammirato gli autori che ci raccontano la vita senza retorica, che ci fanno uscire alla comfort zone delle nostre esistenze dandoci la possibilità del rischio, della possibilità del cambiamento. Sono autori autentici, che non badano a pose o convenzioni, che vanno oltre al nostro tempo e al nostro linguaggio stereotipato e circense. 

Il concetto di “incarnazione” sembra essere centrale nel tuo libro. Puoi approfondire cosa intendi quando parli di parola che si fa corpo e immagine che si fa narrazione?

Ho intitolato il mio libro La parola incarnata proprio perché affido alla parola una parte centrale del mio lavoro. Partendo dal presupposto che sono una docente di filosofia e storia e che uso la parola come strumento di significazione del mondo, ritengo che la parola, il logos, siano le radici non solo comunicative, ma sociali e relazionali più importanti. La parola che si fa corpo è la parola che non si astrae dal mondo ma lo determina, che dispiega la realtà nelle sue sfumature più alte e più basse.

La parola-corpo è la parola senziente che conferisce un senso e una dignità a ciò che siamo. Parlare non è un meccanico automatismo, ma è incarnarsi in un tempo, in un luogo, in un passaggio di vita, è lasciare una traccia che diventa impronta per chi resta. A sua volta l’immagine può “dire” e narrare con una potenza a volte maggiore della parola stessa. E l’immagine-poesia che ci permette di capire un volto o un sentimento senza doverlo spiegare razionalmente, è un’intuizione non effimera ma eterna. 

Hai definito “La parola incarnata” come un percorso nomade, lontano dalle rigide regole di un catalogo d’arte. Cosa intendi per “percorso nomade” e come questo approccio ha influenzato la struttura del libro?

Con il mio editore, Andres David Carrara della My Monkey Edizioni di Bologna abbiamo riflettuto sul senso del libro e abbiamo entrambi compreso che non volevamo realizzare un tradizionale catalogo d’arte ma un libro d’artista che avesse una forma privata, intima, un viaggio solitario fatto di percorsi erratici e nomadi. Quando parlo di percorso nomade del libro, infatti, intendo un testo svincolato dalla tradizionale forma del catalogo d’arte, spesso rigido nelle sue didascalie e “neutrale” nella sua narrazione.

La parola incarnata prova a infondere suggestioni, immagini e orizzonti in cui alcuni potrebbero identificarsi. Invita ad una lettura a volte inquieta a volte lieve del procedere dell’uomo, sposta lo sguardo verso zone di luce e di ombra. Partendo da questa riflessione, il libro ha preso forma in modo molto naturale, intrecciando le opere di questi ultimi anni con gli scritti che hanno ispirato la mia pratica artistica. Io li ho semplicemente fatti danzare in un palcoscenico obliquo ed irregolare. Permettimi anche di dire che i contributi critici di Annalisa Amadio, Lucrezia Caliani ed Elisabetta Mero che sono presenti alla fine del libro rendono completo ed esaustivo tutto il mio lavoro. 

I temi di “confine” e della “soglia” sono degli elementi portanti della tua poetica. Come questi concetti si riflettono nelle opere presenti nel libro?

I concetti di confine e soglia sono centrali nel mio lavoro perché è il mio stesso gesto pittorico ad avere un andamento instabile ed incerto. Ritengo che il procedere dell’uomo sia sempre esposto ad un rischio non calcolato e questo influenza, inevitabilmente, il mio sguardo. Nelle mie opere traccio confini che necessariamente vengono superati o delineo soglie di materia che sfumano in un altrove non perfettamente comprensibile.

Lavorando sul concetto del sipario, per esempio, negli ultimi lavori è sempre presente una soglia altra da indagare, una quinta che spesso apre a fasci luminosi inaspettati. L’uso della tarlatana permette questa azione “teatrale” dove verità ed illusione si intrecciano inevitabilmente. 

La tua formazione accademica unisce la storia contemporanea, la comunicazione e la didattica dell’arte. In che modo questi ambiti di studio hanno contribuito a formare la tua identità artistica?

Il mio percorso di studi è coerente con la mia professione di docente e artista; insegnare al liceo filosofia e storia non esclude la dimensione prettamente artistica, anzi la presuppone. Credo che l’interdisciplinarietà dei saperi sia fondamentale per avere uno sguardo critico e civico sulla realtà. La storia contemporanea, così come la didattica dell’arte parlano di vita, esprimono un tu che diventa anche un noi. C’è sempre un senso di responsabilità in quello che facciamo e diciamo e posso dire che il mio percorso di studi ha tracciato una strada che cerco di seguire con onestà. 

Guardando al futuro, quali progetti artistici o editoriali hai in mente dopo “La parola incarnata”?

Attualmente sto provando a mettere le mani su un testo di Roberto Bolano, scrittore cileno, ma sono in una fase estremamente embrionale. Vorrei intrecciare un dialogo che metta in rapporto alcune mie opere pittoriche con il suo andamento narrativo così rizomatico e visionario. Vedremo cosa succederà…

E poi sto preparando una mostra sul concetto del corpo, ma anche in questo caso ricorrerò alla poesia e alla fotografia, strumenti fondamentali per indagarlo. Sarà una sorpresa, spero piacevole, per chi vorrà seguirmi. 

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