8 Artiste che Hanno Usato il Cibo per fare Arte Femminista

Dagli anni ’60 ad oggi ecco i lavori di 8 artiste che hanno usato il cibo per porre l’attenzione sulle questioni di genere.

Le associazioni erotiche tra il cibo (la natura morta) e il corpo femminile (il nudo) sono state ricorrenti in tutta la storia dell’arte. I nudi femminili nella Venere di Urbino di Tiziano (1536-38) o La grande odalisca di Ingres (1814), ad esempio, si adagiano passivamente e provocatoriamente sui lettini da giorno, come semplici oggetti dello sguardo maschile.

Ma a partire dal XX secolo molte artiste donne, come la surrealista Meret Oppenheim, hanno iniziato a mettere in discussione questo rapporto.  In My Nurse (1936), l’artista ha legato un paio di scarpe col tacco con dello spago, e le ha servite su un vassoio d’argento. Il rimando estetico è chiaramente ad un pollo arrosto appena sfornato ma, guardando da un’altra angolatura, si vede una donna sdraiata gambe aperte. Il risultato è disturbante, ed è un chiaro riferimento alla condizione della donna nella società dell’epoca.

A partire degli anni ’70 , con l’avanzare del movimento femminista, la produzione di opere provocatorie aumenta e si adatta ai diversi medium, dalla perfomance al video. Nonostante la rivoluzione, il cibo e la cucina, intesa come il luogo che la donna abita, rimangono il simbolo semiotico che rappresenta la femminilità e che si presta quindi ad essere soggetto di opere arte. Abbiamo scavato indietro negli ultimi decenni, e abbiamo selezionato i lavori di 8 donne che hanno trasformato il cibo, in un’opera d’arte femminista.

Carolee Schneemann, Meat Joy, 1964

L’opera più famosa dell’artista femminista Carolee Schneemann, è sicuramente Meat Joy del 1964. Nella performance, 8 performer in mutande ( 4 donne e 4 uomini) si contorcono sul pavimento tra polli morti, pesci crudi, salsicce e altri oggetti, in un rituale che ricorda una pseudo-orgia.La performance aveva lo scopo di scatenare l’animo più carnale degli esecutori (e del pubblico), smantellando le norme sociali e liberando la sessualità. Sebbene la performance non sia riuscita a liberare tutti i partecipanti dalle convenzioni di genere (ci sono state volte in cui durante l’esecuzione le dinamiche di genere sono state amplificate), ha portato l’attenzione su queste relazioni e sul modo in cui gli uomini si conformano alle restrizioni sociali e tabù.

Linda Nochlin, Buy My Bananas, 1972

Nel 1972, la famosa storica dell’arte femminista Linda Nochlin (nota per il suo articolo del 1971 “Perché non ci sono state grandi artiste donne?”) ha scattato una fotografia diventata iconica, Buy My Bananas. L’immagine riprende e ironizza l’opera del XIX secolo Achetez des Pommes, in cui una donna nuda in stile ottocentesco regge un vassoio di mele sotto il seno. Nochlin ha rimpiazzato la donna con un uomo nudo che tiene un vassoio di banane giusto sotto i genitali. Buy My Bananas ha attirato l’attenzione sulla mercificazione del corpo femminile e sull’assenza di questo fenomeno nel trattare la sessualità maschile.

Linda Nochlin, Buy My Bananas, 1972 | foodasartisticmedium.com

Natalia LL, Consumer Art, 1972-5

Le fotografie e le installazioni di Natalia LL (Lach-Lachowicz), artista sempre attiva sul fronte delle lotte di genere, sono riflessioni sul modo in cui il consumismo modella la costruzione dell’identità femminile all’interno della società. Tra tutte le sue opere la serie “Consumer Art” (1972-5), parodia di un film pornografico, ha più criticato la mercificazione dei corpi delle donne. LL ha ritratto giovani modelle intente a mangiare provocatoriamente una selezione di cibi sessualmente suggestivi o fallici, come banane, salsicce, gelati e gelatina. Durante la performance il corpo maschile veniva ridotto a semplice prodotto di consumo, mentre le donne assumevano una parte attiva,  le “mangiatrici di uomini”.

The consumer art Natalia LL| artsy

Cindy Sherman“Disasters” Series, 1986-9

Verso la fine degli anni ’80, Cindy Sherman ha prodotto “Disasters”, una serie di scatti che raffigurano scene grottesche e inquietanti che esplorano la relazione tra la forma femminile e l’espulsione della materia corporea. Sebbene il corpo femminile sia assente dalla maggior parte delle immagini, è implicito attraverso l’uso di materiale simbolico, come bambole o appunto cibo. Il tableau in Untitled # 175 (1987), ad esempio, raffigura cibo, rifiuti e vomito mischiati e confusi. Secondo l’artista a causa delle idealizzazioni maschili della bellezza femminile, le donne sono costrette a “identificarsi con una repulsione misogina” e a negare i loro fluidi corporei e le funzioni fondamentali, come il muco e la defecazione.

Disaster Untitled 1 Cindy Sherman | artsy

Marilyn Minter, 100 Food Porn, 1989–90

Nel 1989 Marilyn Minter si è dedicata alla realizzazione di una serie di opere che raffigurano immagini viscerali e sessualmente suggestive riguardo preparazione del cibo.Lo stile close-up e iperrealista di Minter fa un’ amara ironia sul modo feticistico con cui i media raffigurano i corpi e gli oggetti delle donne. 100 Food Porn costringe gli spettatori a confrontarsi con il proprio voyeurismo, facendoli ragionare sulla costante presenza del sesso nella loro quotidianità.

Marilyn Minter 100 Food Porn | pinterest

Sarah Lucas, Two Fried Eggs and a Kebab, 1992

Nel suo lavoro degli anni ’90, la Lucas ha utilizzato prodotti alimentari di base per sottolineare il modo in cui gli uomini britannici mercificano il corpo femminile attraverso l’uso del linguaggio e dello slang. In Two Fried Eggs and a Kebab (1992), si fa allusione al corpo femminile con un linguaggio misogino: le uova alludono al seno e il kebab alla vagina. Nel momento in cui gli spettatori riconoscono che due uova fritte e un kebab assomigliano al corpo di una donna, sono costretti a riconoscere la presenza di questa percezione dispregiativa delle donne.

Sarah Lucas Two Fried Eggs and a Kebab | pinterest

Nao Bustamante and Coco Fusco, STUFF!, 1996-8

La performance collaborativa di Nao Bustamante e Coco Fusco ha esplorato il rapporto tra le donne latine, il cibo e l’erotismo.Per realizzare l’opera Fusco si è recato e con Coco hanno viaggiato in Messico, dove hanno intervistato donne i cui mezzi di sostentamento erano legati al turismo o all’industria del sesso. Nella performance il pubblico è stato poi invitato a godere di una sontuosa festa della fertilità, a partecipare a una lezione di ballo e ad imparare le traduzioni spagnole per la “lingua dell’amore” attraverso una serie di vignette.  STUFF! ha esaminato i modi in cui la globalizzazione e l’imperialismo hanno creato un mercato in cui le donne di colore erano viste come beni piuttosto che come consumatori autonomi.

Nao Bustamante and Coco Fusco

Mika Rottenberg, Cheese, 2008

Il lavoro di Rottenberg guarda al corpo femminile come a un microcosmo, terreno su cui prendono vita le questioni sociali più ampie relative alla classe, al genere e al lavoro.L’ installazione cinematografica Cheese (2008) è liberamente basata sulla storie dell sorelle Sutherland, che nel 1880 producevano e vendevano a New York prodotti contro la calvizie. Le sorelle erano famose per i loro capelli straordinariamente lunghi, che erano la prova dell’efficacia dei prodotti che vendevano. Nella versione di Rottenberg, le sorelle vivono insieme in un granaio sgangherato dove producono formaggio, non solo dal latte delle capre che possediono, ma anche attraverso riti soprannaturali che coinvolgono i loro capelli. Le esistenze delle donne ruotano attorno al lavoro, collettivo e costante, necessario a produrre un singolo oggetto che sarà presto destinato al consumo.

Mika Rottenberg Cheese

Stephanie Sarley, Fruit Art Videos, 2015- presente

L’anno scorso, i “Fruit Art Videos” di Sarley sono diventati virali su Instagram. I video raffigurano frutta che viene accarezzata, massaggiata, spinta, praticamente violentata. Sarley utilizza una gamma di frutti molto rappresentativi tra cui arance sanguigne, lime, limoni, fragole, albicocche, pompelmi, kiwi e papaia. “Il video è dedicato alla personificazione e al potenziamento delle vagine attraverso l’umorismo e l’assurdità “, ha commentato in un’intervista. Instagram ha disattivato l’account in tre diverse occasioni appellandosi al divieto di postare “contenuti sessualmente allusivi”.

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