Rodin e la danza, a Milano le opere che hanno segnato un’epoca

Dopo dieci anni esatti, torna a Milano una mostra dedicata ad Auguste Rodin, il genio francese che apre la strada alla contemporaneità. Anche questa volta si è deciso di indagare un aspetto fra i tanti che possono derivare dallo studio della sua opera, declinandolo alla missione della sede espositiva, il Mudec, orientato a integrare agli aspetti artistici quelli antropologici. 

Luigi Carluccio, uno di quei grandi della critica italiana incomprensibilmente dimenticati, descriveva lo scultore basco Ipoustegy con una frase fulminea: “Ecco un artista che ci prende al primo assalto, ma che è difficile da prendere”, che tanto più vale per Rodin. Perciò, non mi pare sbagliata l’idea di sviscerarne gli aspetti magari meno evidenti, tentando di assemblarli per restituirne la complessità. La danza è uno di questi, non soltanto per l’impatto che ha determinato sul lavoro di Rodin, ma perché nella Parigi a cavallo fra Ottocento e Novecento è la cartina di tornasole del passaggio fra vecchio secolo e una nuova “età”. 

La mostra milanese – che riprende la base di un progetto del 2018 del museo Rodin (“Rodin et la dance”) – espone cinquantatré opere prestate dall’istituzione parigina (fra sculture e disegni autografi e fotografie di altri autori), completati da una serie di rimandi a oggetti provenienti da collezioni museali etnoantropologiche italiane (stampe, sculture di piccole dimensioni, strumenti musicali, marionette e ombre – alcuni oggetti fra questi sono davvero belli) e da un percorso multimediale incentrato sulle coreografie ispirate ai capolavori del maestro. 

Auguste Rodin<br><em>Femme accroupie petit modèle<br><em>Plâtre<br>Dim 32 x 292 x 213 cm<br>Musée Rodin Paris<br>© musée Rodin photo Christian Baraja

Il fulcro della mostra dimostra la capacità di Rodin di intuire la novità portata da figure originali come Loïe Fuller e Hanako, Isadora Duncan (o Vaslav Nižinskij, però assente in mostra) all’interno dello sviluppo della danza europea classica, ma sottolinea la sua totale dedizione allo studio del corpo umano e alle sue infinite possibilità di dar vita a una forma. Così si spiega l’interesse per le danzatrici giavanesi, che incontra e ritrae durante l’Esposizione universale del 1889, mentre nel 1906 in pochi giorni realizza circa centocinquanta acquerelli dedicati a quelle cambogiane in tournée a Parigi. 

In quel periodo assembla anche una serie di nove Movimento di danza (1911 – valgono loro la visita della mostra) e una serie di altre piccole sculture di danzatrici che sembrano modellate in un pugno, impronte di un’istante. Qui Rodin riprende la ormai celebre Iris, messaggero degli dei (c. 1895 – in mostra lo splendido studio in gesso), e snoda questi corpi aprendoli, lacerandoli, fino allo spasmo di pose estreme (derivate dalla conoscenza con la ballerina acrobata spagnola Alda Moreno dell’Opéra Comique, cui dedica nel 1910 oltre una cinquantina di disegni). 

Fra queste danzatrici, è esposta la piccola terracotta del 1910 proveniente dalla collezione della Galleria nazionale d’arte moderna di Roma. È raro trovare questo tipo di opere al di fuori del Museo Rodin e testimonia la vivacità dell’ambiente culturale romano di inizio del Novecento, quello legato alla Società degli Amatori e Cultori e alla figura di Ugo Ojetti – al quale si deve l’acquisto de L’età del bronzo (1977, fusione del 1914 – in mostra c’è una variante tarda del Museo Rodin) direttamente dal maestro e sempre alla Gnam. 

Certo non avrebbe aggiunto molto alla mostra, però è un peccato non vedere il piccolo ritratto di Nižinskij (1912) che Rodin modella dopo la visita del giovane ballerino allo studio (probabilmente per ringraziarlo della benevola presa di posizione a difesa della sua prima coreografia parigina). Di quel momento l’étoile avrebbe annotato nel diario “[Rodin] ha trovato il mio corpo mal fatto”. Va pur detto che Duncan e Nižinskij sono i cardini del nuovo modello di danza assunto da Rodin, anticipando tutti nel riconoscerne il valore. 

Per lo scultore il movimento non è altro che “una transizione di un’attitudine a un’altra” e quest’attitudine matura nel San Giovanni Battista (1878 – 1879), ma diviene più esplicita nelle pose de Borghesi di Calais (1889) o nell’Uomo che cammina (1907), spesso considerato come il simbolo della creazione pura finalmente liberata dal peso del soggetto o più semplicemente l’immagine stessa del movimento (non a caso preso a modello da Umberto Boccioni per Forme uniche della continuità nello spazio del 1913). 

Nei disegni è ancora più evidente l’ampio studio sul movimento e sul corpo riletto attraverso la memoria, un metodo che il giovane Rodin impara frequentando le lezioni di Horace Lecoq e che fondamentalmente lo contrappone al metodo scientifico di Edgar Degas – l’altro grande artista impegnato nello studio della disciplina della danza. Lecoq sottolineava come abituare la propria mente a raccogliere a conservare in memoria le immagini, avrebbe permesso di catturare con maggior precisione fugaci effetti di luce, movimenti, cieli o gesti umani. Se Degas, dunque, è il patrono della danza moderna analizzata istante per istante, Rodin è quello che porta il corpo al suo punto critico, quello che infrange i confini ridisegnandoli nella memoria. 

Auguste Rodin<br><em>Danseuse cambodgienne de profil vers la gauche<br><em>Papier vélin crayon graphite aquarelle ok crayon gras rehaut<br>Dim cm 299 x 207<br>Musée Rodin Paris<br>© musée Rodin photo Jean de Calan

Toccherà però al suo allievo prediletto Antoine Bourdelle segnare definitivamente l’affermarsi di una nuova danza attraverso una nuova identità visiva, firmando i bassorilievi per la facciata del théâtre des Champs Elysées. L’opera di Bourdelle caratterizza il teatro dei Balletti russi, inaugurato nel 1913, e determina la fine del modello di Degas, emblema della danza sulle punte celebrata nel teatro-tempio dell’Opera Garnier, il munifico edificio voluto da Napoleone III e inaugurato nel 1875: architettura e arte sintetizzano il pensiero del tempo, lo rappresentano nel concreto e nel visibile. 

Una ultima sezione propone alcuni fra i pezzi più iconici di Rodin, oltre ai già citati L’Età del Bronzo e L’uomo che cammina, c’è il Pensatore (1880), nella sua versione di misura media, il ponte fra l’originale per la Porta dell’Inferno (1880 – 1917) e la versione d’inizio Novecento, di cui troneggia un esemplare nel giardino dell’hôtel Biron, sede del museo parigino. Quindi Donna accovacciata (1881 – 1882), Idolo eterno (s.d.), Jean de Fiennes (1895 – 1899, dei Borghesi), Il risveglio (1890) sono, con le altre, messe in corrispondenza a sei coreografie concepite tra il 1990 e il 2021: Jaillissements. Isadora Duncan et Auguste Rodin, coreografia di Elizabeth Schwartz (1990); Rodin, Her Eternal Idol, coreografia di Boris Eifman (2011); Viaggio nella sensualità. Anna Halprin incontra Rodin, coreografia di Anna Halprin (2014); Rodin, coreografia di Julien Lestel (2021); Dark Red – Beyeler, coreografia di Anne Teresa De Keersmaeker (2021); Naturans – su Auguste Rodin, coreografia di Alessandra Cristiani (2022). 

“Rodin e la danza”, curata da Aude Chevalier, conservatrice del dipartimento di sculture del Museo Rodin, dall’antropologa Cristiana Natali e dalla storica della danza Elena Cervellati, esplora una tematica su cui l’ente parigino ragiona da anni, mettendo in campo alcuni dei suoi oggetti più belli, come la delicatissima serie delle danzatrici in terracotta, completati dalla piccola statuaria orientale, sempre interessante. Rispetto al numero complessivo delle opere, quelle più largamente celebrate sono poche, e congeniali a risolvere l’ultima sezione, aperta alla coreografia moderna, con il risultato di una iniziativa che potrebbe incuriosire il grande pubblico, ma servire anche agli studiosi. Cosa non scontata. 

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