Francesca Alinovi, cronaca di un omicidio al Dams pt.3

Diversi podcast, negli ultimi tempi, hanno puntato la propria attenzione sul caso dell’omicidio, avvenuto esattamente 40 anni fa, di Francesca Alinovi, critica d’arte geniale ed eclettica, docente di Estetica al Dams di Bologna, studiosa della storia delle performance e sostenitrice ante-litteram del linguaggio dei graffiti, oltre che amica di artisti come Andy Warhol, Jean Michel Basquiat e Keith Haring (che dopo la sua morte le dedicherà anche una tela). Il nostro collaboratore Luca Steffenoni, scrittore e criminologo, ha ripercorso per noi la storia delle indagini seguite a questo orrendo omicidio, attraverso la chiave del racconto-verità, riletto attraverso gli occhi del commissario che per primo seguì le indagini. Un racconto diviso in 3 puntate, esclusivamente per i nostri lettori di Artuu

Leggi qui le altre parti:
Francesca Alinovi, cronaca di un omicidio al Dams pt.1

Le aveva provate tutte Francesca per liberarlo dalla schiavitù della droga, per dargli un futuro da pittore talentuoso come lei riteneva che fosse. Di lui e di questa storia tormentata sappiamo tutto, grazie al diario che teneva l’Alinovi.

Francesco Ciancabilla, bello e sfuggente, dolce e violento.

4 marzo 1982. Scrive Francesca Alinovi: “Sono innamorata di Francesco. Sono incredibilmente innamorata del sosia di me stessa. Gemelli. Lui è la versione di me al maschile”. 

Francesco lui, Francesca lei, ma non basta un nome per trovare il proprio alter ego. Si sbagliava la donna. Un errore che forse le è costato la vita.

12 settembre 1982. “Dire che sono infelice è anche poco per esprimere la mia infelicità. Continuare ad amare Francesco quando lui non può amarmi. Sola, sola, sola, io da sola, io che amo e non posso essere riamata”. 

Un rapporto segnato dalla violenza di Ciancabilla, da folli litigi. Da mutamenti umorali psicotici e pericolosi. Come quando si si era lanciato in macchina verso il ciglio di un burrone con lei a fianco, frenando solo all’ultimo metro.

Francesca che perdona, Francesca che confonde la vita con l’arte.

Forse ha ragione il commissario Bozzi della Criminalpol, le prove scientifiche ci sono. Inutile perdere tempo con queste cazzate psicologiche.

Forse ha ragione il sostituto procuratore Pasquale Sibilia che ha già firmato il mandato d’ arresto. Si sta perdendo troppo tempo dietro a questa inchiesta. 

Quel Rolex al polso di Francesca che ha protratto la vitalità delle lancette per altre 35 ore dopo l’ultimo battito cardiaco, è la prova che sia stato lui. Che beffa del destino, la vita di due artisti legata alla tirannia del ticchettio di un orologio. 

Già, l’orologio tanto prezioso quanto preciso, è in fondo l’unica vera arma dell’accusa. Perché secondo la perizia l’ultimo movimento sarebbe avvenuto alle 17.12 di domenica 12 giugno 1983.  Ora per la quale Ciancabilla non ha un alibi.

Con Francesca, ha ammesso il ragazzo, ha passato quasi tutto il pomeriggio di domenica, fino alle 19.30, quando è andato alla stazione a prendere il treno delle 20 per Pescara e dove ha incontrato un’amica che può testimoniare.

Alle 19.30, quando ha lasciato via del Riccio, Francesca era viva, dice Ciancabilla. Alle 19.30 quando Ciancabilla chiude la porta di casa, Francesca era morta da almeno due ore, dice il tecnico della Rolex.

“Commissario, purtroppo ora dobbiamo chiudere. Se vuole può portare le tesi a casa”.

“Lasci stare, grazie, non servono”.

“Posso darle un consiglio? Se è interessato alla dottoressa Alinovi legga questo libro. È scritto da un ex studente di Estetica, amico della dottoressa, non le servirà a trovare l’assassino, ma le sarà utile lo stesso”.

“Pier Vittorio Tondelli. Altri libertini”. Il commissario infila il libro nella tasca posteriore dei jeans.

I corridoi del Dams sono ormai bui. Il portone si chiude pesantemente alle sue spalle. 

Bologna si avvia verso una di quelle sere che saranno ricordate negli anni a venire da tanti studenti persi tra discussioni d’osteria, sogni, musica, canne fumate abbaiando alla luna.

Dei giovani stanno incollando dei manifesti sotto i portici. È l’invito a un happening.  C’è l’immagine di un coltello insanguinato e una scritta: “Omicidiincittà. Trallallerotrallallà”. Così, tutto attaccato.

Che caso di merda.

L’arresto di Francesco Ciancabilla, eseguito dopo due giorni di intensi interrogatori diretti dal commissario Chiusolo nei quali lo studente-pittore si è sempre proclamato innocente, diede il via a una delle vicende giudiziarie più controverse degli anni Ottanta.

Una volta ricostruiti grazie al diario tenuto dalla vittima, i contorni della relazione tra i due, giocarono a sfavore del presunto omicida una serie di fattori circostanziali più che probatori in senso stretto. Molta importanza venne data nella costruzione dell’accusa a elementi di natura psicologica con un’attenta analisi della personalità del giovane.

Ciancabilla, secondo molto testimoni amici e colleghi della vittima, aveva più volte manifestato comportamenti violenti aggredendo l’Alinovi e in sede d’indagine era emerso un episodio particolarmente significativo nel quale il pittore avrebbe inseguito Francesca armato di forbici.

Dalle analisi tossicologiche venne rilevata l’assunzione di cocaina la sera prima del delitto e dunque venne ritenuto plausibile che domenica 12 giugno, giorno dell’omicidio, l’arrestato fosse ancora sotto l’effetto di stupefacenti.

La parte fondamentale dei capi d’accusa riguardava l’ammissione da parte di Ciancabilla di aver passato gran parte della giornata in compagnia di Francesca, accertando che, data la distanza tra via del Riccio e la Stazione di Bologna, l’imputato avesse un alibi unicamente dalle 19.30 in poi.

Il processo di primo grado fu giocato prevalentemente sulle perizie anatomo-patologiche e su quelle tecniche riguardanti lo spegnimento dell’orologio automatico al polso di Francesca, tese a verificare se dall’ora esatta dell’omicidio l’imputato avesse avuto il tempo di pulirsi del sangue della vittima e uscire indisturbato in direzione della stazione.

Troppo poco, secondo la Corte d’assise di primo grado che, tra le proteste di una parte della società civile bolognese e del mondo dell’arte, pronunciò un verdetto di assoluzione per insufficienza di prove. 

Il 3 dicembre 1986 il Presidente della Corte d’Appello, davanti a un banco degli imputati vuoto, diede una lettura opposta della vicenda: Francesco Ciancabilla è colpevole di omicidio volontario punito con la reclusione di 15 anni e 3 anni di casa di cura e custodia.

L’assassino di Francesca Alinovi, secondo quanto stabilito dai giudici e ribadito più tardi dalla Cassazione, è però già latitante.

Brasile, Argentina, Spagna una lunga fuga passata dipingendo con lo pseudonimo Frisco, sostenuta economicamente da varie attività, grafico, fotografo, manager di gruppi musicali, barman, insegnante d’italiano.

Il 22 gennaio 1997, arrestato dall’Interpol a Madrid, sarà estradato in Italia per scontare la pena.

Oggi, Frisco, come si firma nelle sue opere, è un uomo libero, ha ripreso l’attività di pittore esponendo in varie gallerie nazionali.

Nel 2015 suscitò molte polemiche la sua presenza al Pratello di Bologna con un ritratto di Francesca Alinovi esposto nella mostra “One Hundred Women”.

Continua a dichiararsi vittima di un errore giudiziario.

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