A volte capita di trovarsi nel mezzo di una discussione e non saper più come controbattere. Si rimane quindi in silenzio, quasi frustrati, per poi trovare le parole soltanto in un secondo momento, quando ormai non sortiscono più d’effetto se non per nostra semplice consolazione. Esiste un termine francese per descrivere questa sensazione: l’esprit de l’escalier (letteralmente “spirito della scala”), termine utilizzato per la prima volta dal filosofo Denis Diderot. «Egli mi disse ironicamente: “Vedrete che quando Voltaire si rattrista alla semplice recitazione di un brano patetico e Sedaine mantiene la calma alla vista di un amico che scoppia in lacrime, Voltaire è l’uomo comune e Sedaine l’uomo di genio!”. Quest’apostrofe mi sconcerta e mi riduce al silenzio, perché l’uomo sensibile, come me, tutto concentrato su ciò che gli si dice, perde la testa e non si ritrova che in fondo alle scale.»
Da questo termine prende spunto l’omonima mostra di Michele Spanghero, artista ampiamente affermato nel campo delle arti sonore che per la prima volta presenta la sua personale alla Galleria Alberta Pane a Venezia. Visitabile fino al 2 marzo 2024, L’esprit de l’escalier è una mostra incentrata sul ripensamento: non solo quello tipico del processo creativo dell’artista che passa e ripassa sulle proprie idee, ma anche quello legato alla costruzione della propria identità. E infatti il percorso di visita si apre con un’installazione sonora realizzata a partire da un’intervista inedita a Federico Fellini messa a disposizione da Cinemazero in cui il regista elenca una serie di mestieri: il pittore, lo scrittore, il giornalista e così via. Ogni professione è una finestra aperta e sospesa su un’esistenza alternativa, risultato di un potenziale ripensamento. Insieme all’audio, è esposta una fotografia realizzata con un’istantanea scaduta: un autoritratto dell’artista di cui si intravede solo una macchia, una sagoma che può ancora assumere qualsiasi forma, un embrione che può ancora essere tutto.
Coerentemente con il concetto del ripensamento, il rapporto tra presenza e assenza è la struttura portante dell’esposizione: e infatti, fatta eccezione per l’installazione sonora all’ingresso, il suono – medium principale nella pratica dell’artista – viene meno nel resto del percorso. La rassegna si sviluppa così come un what if scenario, un “cosa sarebbe successo se…”. E quindi viene lasciato spazio alle arti visive, nonostante il suono resti presente proprio attraverso la sua mancanza: c’è un megafono “afono” (come descritto dallo stesso artista) in cemento appeso alla parete; e c’è un dipinto realizzato attraverso le vibrazioni sonore che lasciano imprimere un delicatissimo e quasi impercettibile disegno del pigmento nero sulla carta vetrata. E poi due piccole cornici che delineano due fogli bianchi, dai quali emergono attraverso l’impressione sulla carta due frasi: “nothing to say” e “nothing to see”. Infine, in linea con il tema del progetto, gli spazi della galleria continueranno ad evolvere nel corso dell’esposizione, integrando man mano nuove opere, nuovi “ripensamenti”.