In pochi lo sanno ancora, forse, sebbene la fama del fenomeno sia larga, ma a Milano, in pieno centro, a San Babila, c’è un museo di arte contemporanea che fa invidia alle gallerie pubbliche milanesi e fiorentine, ed è allestito in uno studio legale. Ma si può anche dire che è lo studio legale che pare ospite del museo.
La sede museale è visitabile, su appuntamento, è cangiante nelle esposizioni dei bellissimi pezzi di cui è dotata e ospita regolarmente mostre d’arte di giovani e giovanissimi autori contemporanei. In corso Matteotti al civico 11, una targa austera recita: “Studio Iannaccone e Associati”, ma arrivati al piano, prima ancora che entrare in un principato del Foro si passa tra pareti e scaffali e piedistalli che sostengono capolavori, principalmente dell’arte italiana del ‘900. Del Primo Novecento.
La collezione Iannaccone, avvocato avellinese che pratica l’arte forense a Milano da oltre quarant’anni, espone tuttavia, a uso pubblico, gli esiti formidabili di una raccolta d’arte (arte in senso proprio, ora conviene dire) cominciata anch’essa decenni or sono, e dalla fine del mese scorso la collezione è diventata Fondazione Giuseppe Iannaccone Ente del Terzo Settore. Così è rinominata e agisce legalmente e socialmente l’attività benemerita dell’avvocato collezionista.
Si, perché quello che fino a pochi mesi fa, per anni, era stato l’impegno personale del promotore nel sostegno al lavoro e alla ricerca di giovani talenti artistici, diventa oggi, spiega Iannaccone: “anche quello di trasmettere la straordinaria forza che l’arte può esprimere nel perseguimento di finalità sociali. Credo infatti nel potere terapeutico dell’arte e numerosi progetti in cantiere saranno rivolti al supporto dei gruppi più fragili e alla diffusione dell’arte come sostegno per ritrovare equilibri perduti.”
È così che si va, perdendosi nella meraviglia della teoria fantasmagorica della collezione, camminando senza il patema del povero Renzo in attesa del conferimento con l’Azzeccagarbugli, ma con l’animo sollevato del visitatore dell’arte, che magari ha problemi con la Giustizia, ma perlomeno ottiene fin da subito l’assoluzione degli Spiriti Magni dell’arte, circa cento pezzi alla volta, distribuiti su 500 metri quadrati di studio attrezzato a museo. Tanti ne ha collezionati il Leguleio, tanti di più, sia chiaro, il resto è appeso alle pareti di casa o stivato in qualche caveau, che nemmeno Cicero in persona avrebbe potuto tanto.
Del repertorio in esposizione, sempre mutante, vale la pena citare i pastellati olii di Birolli, e in particolare la felice ripresa fotografica sfumata dei Poeti in riva al Lambro, e le delicate, al tempo stesso agitatissime tele di De Pisis, i ritratti intensamente realisti di Guttuso, e quelli matericamente sognanti di Carlo Levi, gli ambienti delle contrade mistiche di Mafai, gli ieratici corpi nudi in spiaggia di Pirandello, quelli allucinati di Aligi Sassu, e i paesaggi crepuscolari di Scipione, lo splendido autoritratto di Ernesto Treccani, che pare anticipare di quasi un secolo l’iconologia della moda maschile dell’oggigiorno.
Lungo tutto questo fenomenale itinerario nella storia dell’arte contemporanea storicizzata, ma in molti tratti anticipatrice delle attuali tendenze, si snoda per la nona volta l’esposizione di un nuovo e prodigioso talento giovane: torna anche quest’anno infatti la rassegna “In Pratica”, geniale intuizione mecenatesca di Iannaccone, che da quasi un decennio chiede ad astri nascenti dell’arte di sua invenzione (nel senso etimologico di “scoperta”) di confrontarsi con i Grandi del passato in una sorta di concione accademica medievale traslata sulle tele. Quest’anno tocca a Pietro Moretti (Roma, 1996) con la mostra “Il falò dei gonfiabili”, a cura dello stesso Giuseppe Iannaccone e Daniele Fenaroli, direttore artistico della fondazione.
Il giovane e talentuoso Moretti, nel dettato di derivazione “professionale” del mecenate, che comanda, giustamente, come a un giovane praticante avvocato, di mettersi al pari dei suoi maggiori, eseguendo lavori a chiamata sul modello degli artisti che lo hanno preceduto nel fare la storia dell’arte, si cimenta con essi e ne discende una Ars ingenua, un fare distintivo e appropriato di restituzione al pubblico di qualcosa di nuovo che mutua rispetto e ammirazione per il passato.
È lodevole e pregna, tutta intera, di autentica devozione generosa, la passione dell’avvocato Iannaccone, per l’arte, ovvero la terza dimensione ideale dello Spirito hegeliano, dopo la Religione e la Filosofia.
Non è poco momento, per qualcuno che ha dimostrato tanto Spirito in vita da non curarsi punto, se Hegel non ha considerato la Legge tra le pratiche eccelse dello Spirito. L’avvocato Iannaccone trascende, perfino l’idealismo. È prassi virtuosa la sua, che andrebbe imitata, cominciando a insegnarla nelle scuole.