Il signor Quadrato racconta il mondo a due dimensioni in cui vivono figure geometriche piane come lui, cerchi, esagoni, triangoli, linee rette che raffigurano una società apparentemente ordinata e gerarchica. Fino a quando la conoscenza con Sfera lo condurrà a Spacelandia, un mondo a quattro dimensioni. “Flatlandia” scritto da Edwin Abbott Abbott (1838-1926) e pubblicato nel 1884, è un libro difficile da classificare in un genere. Non è un racconto fantastico o fantascientifico, e nemmeno un trattato di matematica e geometria, eppure parla un linguaggio delle forme e dei numeri, anticipando la quarta dimensione.
Partendo da questo presupposto e da una condizione estetica apparentemente bidimensionale, ArtNoble Gallery presenta Flatlandia di Gabriele Ermini (1996) e Jimmy Milani (1995), visitabile fino al 18 gennaio 2024. Gli artisti costruiscono un percorso pittorico “in cui la pittura per certi versi ha “poco corpo”, nel senso che è poco sporca, poco materica”, racconta Antonio Grulli, curatore della mostra nel booklet informativo. Al contrario la potenza del gesto è rintracciabile nell’impianto coloristico e compositivo di Ermini e in quello fortemente grafico di Milani.
Se Milani ragiona intorno a una struttura appiattita sulla tela, richiamandosi a un ambiente fumettistico e fiabesco, Ermini tenta lo sfondamento prospettico realizzando una sovrapposizione di scene, con fondali blu soprattutto su grande formato. La tecnica dell’aerografo appiattisce i soggetti rendendo la superficie uniforme e piana, mentre all’interno le scene si intrecciano. L’immaginario attinge al mondo classico della statuaria e della ceramica, in cui figure umane e non umane appaiono sulla stessa superficie. Cavalieri rossi con lunghe lance sovrastano il frastagliato e stratificato universo di volti dipinti dall’artista, che sembrano inghiottiti in un profondo blu.
Nuotatori su due registri adornano vasi classicheggianti, una coppa di matrice greco-etrusca decorata con animali contiene uova bianche e lucidissime. Soggetto quest’ultimo che appare su una serie di piccole tele, che, come ricorda nel testo il curatore Antonio Grulli, rimanda a un tema ricorrente anche per Felice Casorati. Ermini nella sua produzione, rielabora la visione degli oggetti custoditi nelle teche dei musei, dove insieme a questi si appaiono le immagini che si riflettono, tra visitatori, luci, e ambienti.
L’opera di Milani è ironica e costituita da pochi colori, blu e rosso, la stessa paletta cromatica utilizzata da Ermini. Le forme sembrano esasperare il disegno su grande scala e le macchie di colore, che l’artista ricrea sulla tela. Quadri inseriti all’interno di cartellette di plastica trasparenti perforate, di grandi dimensioni e realizzate su misura. La pittura di Milani rievoca il classico scarabocchio (che dà il titolo alla serie realizzata per la mostra), la capacità della mente di dissociarsi dal momento presente, per dare forma alla casualità del segno che ha interessato studiosi e artisti.
Segni che sembrerebbero un niente ma che in realtà, contengono un universo di possibilità, paure, sogni e desideri, e molto altro ancora. Milani enfatizza aspetti comuni, prelevando da un diario visivo sintetico linee, curve e figure giocando con l’estetica del gesto improvvisato. Un gesto che invece è l’esito di una ricerca minuziosa e scrupolosa, in cui tutto è calcolato persino una macchia. Milani come Ermini, affronta la tridimensionalità nella cornice plasticata delle tele, e nella serie degli occhi, che occupa una parete della galleria, dipinti su tela di varie dimensioni, con ciglia di ferro.
Come il signor Quadrato ci sentiamo trasportati all’interno di un mondo, che nel nostro caso non è sconosciuto, eppure ci permette di guardare in maniera diversa, ciò che conosciamo e che crediamo di conoscere.
“[…] Immaginate un vasto foglio di carta su cui delle Linee Rette, dei Triangoli, dei Quadrati, dei Pentagoni, degli Esagoni e altre figure geometriche, invece di restar ferme al loro posto, si muovano qua e là, liberamente, sulla superficie o dentro di essa, ma senza potersene sollevare e senza potervisi immergere, come delle ombre, insomma – consistenti, però, e dai contorni luminosi. Così facendo avrete un’idea abbastanza corretta del mio paese e dei miei compatrioti […]”.