Conosco Giuseppe Veneziano dal 2006, anno della sua mostra personale da Luciano Inga Pin, che ho curato insieme a Chiara Canali. Complessivamente, fino a questo momento, ho curato otto sue mostre personali, tre delle quali pubbliche (a Palazzo Panichi a Pietrasanta, al Palazzo Ducale di Massa, al Palazzo Mediceo di Seravezza). L’ho invitato a innumerevoli collettive, alcune delle quali piuttosto importanti, come la sezione Italian Newbrow alla Quarta Biennale di Praga, la Biennale Italia-Cina alla Villa Reale di Monza, la mostra sull’arte fantastica e pop alla Galleria Civica di Trento (Eretici, apocalittici, pop) e la prima mostra pubblica europea di crypto art alla Villa Ciani di Lugano (The Future is Unwritten).
Abbiamo fatto insieme un numero imprecisato di talk, conferenze, dibattiti in scuole, accademie e istituzioni pubbliche. Abbiamo visitato fiere, città e musei in Italia e all’estero. Pranzi, cene, feste, viaggi e lunghe attese (mie, perché lui è un ritardatario cronico!) hanno scandito l’evoluzione della nostra amicizia in quel terreno minato che è l’arte contemporanea. Quando ho scritto il libro Beautiful Dreamers sul Pop Surrealism americano, introdotto dalla cortese prefazione di Luca Beatrice, ho voluto che una delle due postfazioni fosse firmata da lui (l’altra dall’amico Vanni Cuoghi). Quando Giuseppe Veneziano ha pubblicato la sua monografia con l’editore Skira, ha fatto in modo che ci fosse anche un mio testo in cui racconto le origini e le evoluzioni di questo nostro rapporto professionale e amicale. Credo, senza falsa modestia, che nessuno conosca il lavoro di Veneziano meglio di me per il semplice fatto che nessuno ha avuto occasione di parlare, discutere, cospirare, litigare con lui quanto il sottoscritto. Una volta ho perfino cantato a un karaoke con lui in Versilia (ma lui è senza dubbio un cantante decisamente migliore di me!).
Ho sempre sostenuto l’arte di Giuseppe Veneziano, l’ho difesa in più occasioni dagli attacchi di colleghi, artisti e altri addetti ai lavori (anche se inevitabilmente mentre scrivo questo sento risuonare nella mia testa la voce di Giuseppe che mi ripete: “ma chi te l’ha chiesto?!“). Non so se lui si sia mai trovato a difendere me, ma immagino di sì. Sono sempre stato piuttosto schietto nel commentare i suoi lavori quando mi chiedeva un parere, vis a vis per così dire, ma non sono mai stato critico in sua assenza. Non per una forma di lealtà, ma perché ho sempre trovato il suo lavoro – almeno nell’ambito delle grammatiche pop – qualitativamente (e di gran lunga) superiore a quello di tanti suoi colleghi.
Io credo che il riconoscimento di Artuu come Artist of the Year sia un buon segno, ci dice che nella pittura italiana c’è spazio anche per un linguaggio, quello di matrice pop, che non è stato rappresentato nella recente rassegna della Triennale (“Pittura Italiana oggi”) e nemmeno in altre ricognizioni analoghe. Con questo non voglio assolutamente dire che è venuto il momento di erigere il vessillo del Pop in un’ennesima (e inutile) campagna anti-concettuale. Per me c’è Pop e Pop. Dire Pop non è garanzia di qualità… anzi, è piuttosto vero il contrario, cioè che molte espressioni Pop sono semplicemente prosaiche, pedestri e davvero poco, pochissimo interessanti. Giuseppe Veneziano non è come gli altri, è diverso da tutti perché la sua non è una grammatica Pop generica, che si accontenta di utilizzare lemmi e icone riconoscibili, ma una lingua formalmente, cromaticamente e stilisticamente riconoscibile. Una lingua che dialoga tanto con la cronaca quanto con la storia dell’arte (e non solo quella immediatamente riconoscibile!).
I suoi riferimenti iconografici, spesso stratificati, consentono, infatti, vari livelli di lettura, adatti tanto all’uomo della strada quanto all’esperto d’arte. A mio avviso, questo fa di lui uno degli artisti più importanti della sua generazione. L’unico – come ho già avuto modo di sostenere – che abbia saputo superare i confini elitari del Sistema dell’arte, per farsi intendere da un pubblico più vasto.