Szymon Brodziak: “Vi racconto come nasce lo scatto perfetto”

Szymon Brodziak è tra i maggiori esponenti della nuova fotografia contemporanea. Nato in Polonia nel 1979, nel 2015 ha esposto i suoi scatti al Museo della fotografia Helmut Newton Foundation a Berlino, premiato nel 2016 come miglior fotografo pubblicitario dalla giuria del premio internazionale della fotografia parigina e come miglior fotografo di bianco e nero per campagne pubblicitarie da Fashion TV. Oggi, una vasta selezione di opere – oltre 40 – sono esposte fino a fine gennaio a Galleria Vik Milano, nella mostra “What you see is who you are”. Szymon Brodziak è un maestro nel rappresentare la sensualità femminile con la sua visione delicata e un linguaggio estremamente colto e originale.

Nell’intervista che pubblichiamo qui di seguito, Brodziak racconta, in esclusiva per i lettori di Artuu, il suo percorso professionale, le motivazioni alla base del suo lavoro e il suo punto di vista sul rapporto tra nuove tecnologie e fotografia “tradizionale”.

<em>Szymon Brodziak<em>

Come ti sei avvicinato alla fotografia, qual è il tuo percorso di studi? 

Tutto è iniziato con la mia fascinazione per la bellezza della mia fidanzata e attualmente moglie Anna, che è la mia più grande musa ispiratrice e amica, nonché la mia modella. Ci siamo conosciuti al liceo: a quel tempo non ero sicuro della direzione che avrei preso in termini di carriera professionale, non sapevo nemmeno cosa volevo studiare, ma nel profondo del mio cuore sapevo che volevo catturare la bellezza della mia Anna, e per questo ho usato la fotografia come linguaggio come forma d’espressione.

Ero un dilettante senza istruzione con nessuna esperienza mosso da pura passione, volontà e determinazione nello scattare foto. Successivamente mi sono iscritto all’università, alla facoltà di Economia, che è un po’ noiosa e certo non così affascinante come l’arte, ma si è rivelata molto utile nella mia vita adulta, aiutandomi a sviluppare il mio marchio personale in modo consapevole: questo è il vantaggio della mia scelta. 

Quando riconosci di aver realizzato uno scatto perfetto? 

Lo scatto perfetto per me è quello che vorrei appendere alla parete, quello di cui vorrei circondarmi ogni giorno per rendere il mio mondo più bello. 

Com’è avvenuta la tua svolta professionale in ambito fotografico? 

Era il 2006, e ho avuto un incontro con il direttore marketing di Porsche per parlare di come realizzare un reportage che raccontasse le esperienze di guida dei clienti. Insomma, un normale incarico professionale. Durante l’incontro, però, ho deciso di rischiare. Ho detto al direttore: “ok, posso fare un reportage per te, ma conosco molti altri bravi fotografi che possono farlo anche meglio di me. Io ho qui il mio portfolio in bianco e nero, e questo è quello che faccio meglio. Mi piacerebbe pensare assieme a voi a un calendario, con le vetture Porsche, per i prossimi anni. Ci ha pensato un attimo e mi ha risposto: “ok, hai due settimane di tempo per presentarmi un progetto, poi deciderò”. Dopo due intense settimane di preparazione del concept, sono tornato da lui e ho avuto l’ok per creare il calendario. Qualcuno si era fidato di me, ed è stato fantastico! Questo è stato il mio primo grande incarico per un marchio importante, e in questo modo è nato il calendario Porsche 2007.

Puoi raccontarmi l’aneddoto di un fatto accaduto durante la realizzazione del Calendario Porsche?

Ho creato 12 diversi set per il Calendario. Una di queste era una situazione in cui c’era un prete alla guida di una Porsche, che veniva fermato per il controllo della velocità da una pattuglia della polizia. La poliziotta era interpretata dalla mia musa-modella Anna. Per l’occasione, avevamo noleggiato una moto speciale, e lei era vestita come una vera poliziotta che si dirigeva verso l’auto. Nello scatto finale, all’interno dell’auto non si vede il volto intero della figura maschile, perché è coperto dal parasole, ma vediamo che indossa i caratteristici abiti da prete. L’immagine era ispirata ad uno scandalo mediatico avvenuto in quel periodo, in cui uno dei vescovi polacchi aveva effettivamente comprato una Porsche per andare in giro. La fotografia è surreale e ricorda questa storia, che sembra incredibile ma in realtà è una storia vera. A me piace ispirarmi ai luoghi che scelgo per i miei set così come a fatti presi dalla vita reale.

Come realizzi tecnicamente i tuoi scatti?

Mi piace andare oltre la bellezza e oltre la realtà, ecco perché non scatto reportage. Conosco la mia macchina fotografica come se fosse una parte del mio corpo e non devo pensare alla parte tecnica perché voglio solo catturare ciò che c’è dentro di me e davanti a me. Non mi interessano le lampade e gli allestimenti complicati. Mi interessa di più il rapporto tra la modella e il fotografo, l’intero contesto attorno al quale sto costruendo l’immagine. Non mi perdo nei tecnicismi, mi concentro su ciò che è più importante nella fotografia e l’arte: evocare emozioni.   

Chi sono i fotografi che hanno contribuito alla tua crescita artistica?   

Mi ispiro a due grandi maestri assoluti che avevano questo spirito cinematografico anche nella loro fotografia. Helmut Newton per me è il più grande maestro di tutti i tempi, non ho avuto la possibilità di incontrarlo ma ho avuto il privilegio di incontrare sua moglie June Newton che mi ha invitato ad esporre le mie foto a Berlino, nel Tempio della fotografia, The Helmut Newton Foundation. È stato come se i miei sogni diventassero realtà, per me è stato il più grande riconoscimento e onore.

L’altro che mi ha molto aiutato nel trovare la mia strada e il mio stile è stato Peter Lindbergh, anche lui fotografo estremamente talentuoso e fantastico, che mi ha mostrato come catturare la sensualità di una donna.

Quindi da una parte c’è Helmut Newton, scandaloso, spigoloso e provocatorio, e dall’altra Peter Lindbergh, tra i due c’è come un filo sottile ed emotivo, e io cerco di fondere insieme questi due stili e di farne la mia qualità, per creare un’altra storia, un altro capitolo della fotografia, un altro universo. Amo molto anche le opere di Paolo Roversi, anche lui è fantastico, e ovviamente Richard Avedon.

Qual è la tua visione della fotografia?

Ogni fotografia che scatto è un fotogramma di un’immagine di un film che non è mai esistito. Mi piace creare un’idea, un’impressione che sia parte di una storia più ampia ed è così che invito lo spettatore a guardare la fotografia e immaginare la “sua” visione della storia su ciò che sta accadendo o che potrebbe essere accaduto prima dello scatto. Penso che la fotografia sia così accattivante, affascinante, e questo è il mio modo di pensare di creare: non solo catturare la bellezza di una modella, la bellezza è solo l’inizio. La cosa più importante è cosa ne fai, come costruisci la tua storia, per ampliare e dare una spinta all’immaginazione del pubblico.

La fotografia ha subito grandi trasformazioni negli ultimi trent’anni, dall’analogico al digitale fino all’avvento dell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale anche nella creazione delle immagini, qual è la tua opinione a riguardo? Come vedi il futuro della fotografia?

L’intelligenza artificiale è qualcosa di veramente nuovo che mi incuriosisce. Ho avuto la fortuna di iniziare tutta la mia avventura con la fotografia analogica e una fotocamera analogica, ho trascorso migliaia di ore in una stanza buia a sviluppare le mie immagini. Poi è arrivato il digitale e tutti, a partire dagli artisti, hanno iniziato a utilizzare fotocamere digitali, quello che è successo dopo è stata la rivoluzione degli smartphone con Internet e i social media che ha stravolto ulteriormente la fotografia. Ora tutti possono essere fotografi e tutti hanno sempre una macchina fotografica con sé, per questo la competizione è aumentata di cento volte.

La cosa importante è quello che hai dentro il tuo cuore. Penso che l’intelligenza artificiale possa essere un nuovo straordinario strumento per esprimere la propria arte, la creatività in modo ancora più accurato, ancora più coraggioso e spettacolare. Non sono così pessimista riguardo all’Intelligenza Artificiale, penso che la fotografia si trasformerà ad un altro livello di cui noi creatori avremo bisogno. Potrebbe essere una grande opportunità per noi di esprimere davvero noi stessi. A volte io ero mille volte frustrato perché avevo qualcosa in mente, una visione che non potevo realizzare perché era troppo pericolosa o troppo costosa: se ad esempio voglio mettere un modello in cima alla torre dell’iPhone con ali d’angel, ora probabilmente posso farlo in poche ore, lavorando con l’intelligenza artificiale. È qualcosa di straordinario, l’importante è catturare qualcosa che sia vero, io voglio creare i miei mondi, il mio immaginario, trasportare emozioni vere, riportare la sensazione di una vera fotografia come se l’ avessi realizzata con una macchina fotografica analogica.

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