Quanto conta la vita di essere umano? La sua libertà di parola e pensiero? La risposta dovrebbe riassumersi in una verità ovvia, granitica, cristallina e finanche banale, anche se le sorti di Julian Assange sono tutt’altro che banali.

Dall’enorme preoccupazione per le vicende del giornalista e attivista australiano, divenuto a tutti gli effetti il maggior dissidente d’America, è nato il nobile progetto dell’artista russo Andrei Molodkin, da anni di casa a Parigi: una cassaforte di trentadue tonnellate, fatta arrivare dall’artista appositamente dalla Svizzera, al cui interno abitano momentaneamente sedici opere provenienti dalle donazioni di artisti, collezionisti e galleristi, e che potrebbe essere distrutta da un momento all’altro, qualora Assange dovesse morire in carcere.

Tra i donatori che hanno aderito al progetto figura il gallerista Giampaolo Abbondio, milanese doc che ha trovato l’habitat ideale della sua galleria nella magnifica Todi, e che tra le altre cose ospita da anni Molodkin nella scuderia della sua galleria.

“Cerchiamo di essere ottimisti – asserisce Abbondio – diciamo quindi che queste opere sono in ostaggio, perché tutti noi ci auguriamo che Assange starà bene. E’ un anno e mezzo che Molodkin lavora a questo progetto, che è stato quello di depositare alcune opere in un caveau e dotarlo di un dead man’s switch, uno strumento affiancato da un timer giornaliero che deve essere quotidianamente riattivato: se il timer non viene riattivato giornalmente, viene prodotta una mescolanza di due sostanze che crea un acido che può distruggere l’intero contenuto del caveau. Ovviamente l’atto di riattivare giornalmente il timer è legato a doppio filo allo stato di salute di Assange: se continua a vivere il timer viene riattivato, se invece disgraziatamente egli dovesse morire in carcere, il timer non verrebbe più riattivato e le opere sarebbero completamente distrutte”.

“Quello che noi chiamiamo caveau – continua Abbondio – è una cassaforte di trentadue tonnellate, ubicata nel Sud della Francia. Molodkin iniziò a parlarmi del progetto e mi aggiornava continuamente, man mano che si aggiungevano le opere che venivano donate, allora gli è venuto in mente di chiederne una anche a me e riflettendoci un po’ su ho accettato: di opere di Picasso ce ne sono tante al mondo, ma di Assange ce n’è uno solo, e del resto Assange è una persona che si è fatta rovinare la vita per rivelare le menzogne di un sistema, quindi qualcuno doveva pur dargli una mano”. Il gallerista fa riferimento poi alla celebre donazione che fece suo padre Angelo Abbondio nel 1986: “Quando mio padre comprò Fiumana di Giuseppe Pellizza da Volpedo – la versione appena precedente della celebre opera Il quarto stato, ndr – e disse che si era reso conto di non aver acquistato un quadro bensì un’idea e per questo lo donò alla Pinacoteca di Brera, sicuramente mise in atto un processo che ha condizionato per sempre il mio modo di vedere le cose, anche e soprattutto nel caso di questa iniziativa di Molodkin in favore di Assange”.

Al Picasso di Abbondio, i cui dettagli tecnici dell’opera restano segretissimi, è noto che facciano compagnia due opere donate rispettivamente dagli artisti Andres Serrano e Franko B, ma sul resto delle opere c’è il massimo riserbo.
E chissà che, se come ci auguriamo il cielo volgerà al sereno per Julian Assange, Molodkin deciderà di fare una mostra con le opere donate in nome della sua liberazione.
