Continua la nostra indagine sugli artisti invitati alla Mostra Internazionale della prossima Biennale Arte di Venezia. Un totale di 332 artisti, provenienti da tutti i paesi del mondo e di tutte le generazioni. Le prime tre puntate sono state pubblicate qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 1), qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 2) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 3). Di seguito, ecco la quarta puntata. Per raccontarvi ogni artista in poche righe, con un’opera rappresentativa della sua ricerca.
Liz Collins (Alexandria, USA, 1968)
Artista statunitense, vive e lavora a Brooklyn, muovendosi in modo fluido tra arte e design con particolare enfasi ed esperienza nel campo dei media tessili. Ha conseguito una laurea triennale in Arti Visive e un corso magistrale in tessuti presso la Rhode Island School of Design, sviluppando un’estetica che abbraccia l’astrazione, le illusioni ottiche e i forti contrasti tra materiali. Nel suo lavoro esplora i confini della pittura, della fiber art e dell’installazione con una forte tensione energetica.
La sua produzione è connotata da uno stile fortemente originale, con un chiaro rimando agli anni Ottanta, composto da colori vividi, pattern dinamici e dalla trasformazione del tessuto che nelle sue opere assume una duplice forma, sovrapponendosi e confondendo lo sguardo. Collins ha partecipato a numerose mostre collettive e personali, ospitate da importantissimi musei e istituzioni come il MOMA e il Museum of Arts and Design di New York.
Jaime Colson (Puerto Plata, 1901 – 1975, Santo Domingo)
È stato un artista domenicano che ha vissuto e lavorato a lungo in Europa, diplomandosi in pittura, scultura e incisione presso la San Fernando School of Fine Arts. A seguito del periodo di studi trascorso in Spagna, nel 1924 si trasferisce definitivamente a Parigi, dove entra a contatto con il Cubismo, il Surrealismo e la Metafisica. A Madrid, Colson espone al Salone d’Autunno del 1923, venendo elogiato dalla critica d’arte dell’epoca.
Durante il soggiorno parigino incontra Pablo Picasso, Juan Gris, Braque e altri esponenti dell’avanguardia cubista da cui rimane affascinato al punto da modificare il suo stile prettamente figurativo, dedicandosi prevalentemente alle nature morte, ai nudi, alle opere mitologiche e soprattutto ai numerosissimi ritratti. Considerato uno dei più grandi pittori dell’America Latina del XX secolo, è stato insegnante all’Accademia di Belle Arti in Messico e a Santo Domingo. Oggi i dipinti di Jaime Colson sono esposti in gallerie esclusive come la Bellapart di Santo Domingo, che possiede i pezzi più significativi della sua collezione.
Waldemar Cordeiro (Roma, 1924 – 1973, San Paolo, Brasile)
Pittore e critico d’arte italo-brasiliano, è stato un pioniere del movimento della computer art in America Latina. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti a Roma, dove entra a contatto con l’opera di Antonio Gramsci, intellettuale che ha radicalmente influenzato la sua carriera e le sue convinzioni politiche. Nel 1968, Cordeiro fu il primo artista brasiliano a cimentarsi nel campo dell’arte digitale e della computer graphic.
Studioso poliedrico e abile conoscitore del computer ha lavorato insieme a Giorgio Moscati, professore di fisica dell’università di San Paolo, producendo lavori visuali con il computer IB 360/44. Nel 1971, ha contribuito alla diffusione dell’arte computazionale organizzando una mostra internazionale itinerante intitolata “ARTEONICA” allo scopo di promuovere questa nuova forma d’arte ed enfatizzarne la portata democratica. Secondo Cordeiro, l’esposizione puntava a mettere in mostra progetti multidisciplinari traendo vantaggio dalla psicologia e dalla tecnologia. Attraverso questo progetto ha evidenziato alcuni problemi della contemporaneità come: il modo in cui le opere vengono consumate e le difficoltà legate alle facilità di riproduzione delle informazioni e dei processi che tendono quindi a perdere di significato.
Monika Correa (Mumbai, India, 1938)
Fiber artist di origine indiane, Correa si è formata a Boston dove ha appreso i fondamentali dell’arte della tessitura dall’artista Marianne Strengell, che all’epoca si era appena ritirata dall’insegnamento alla Cranbrook Academy. Tornata a Bombay, iniziò a frequentare i corsi del Weavers Service Centre, gestito dal governo indiano, grazie ai quali ebbe l’opportunità di interagire e confrontarsi con K.G. Subramanyan. Questo incontro darà avvio al lungo percorso di ricerca dedicato ai dhurrie (tappeti da pavimento), realizzati adottando un’impronta stilistica essenziale con decorazioni semplici e tramutati in opere montate a parete come: La Mecca (1967) e Area of Darkness (1969).
Correa sceglie di rendere visibile il processo stesso della tessitura, mettendo in mostra il bordo “a dente” che si forma nel passaggio da un colore all’altro, per valorizzare una tecnica tradizionale comune in India, Perù e Messico. L’artista rielabora le decorazioni tipiche della cultura indiana, le astrae, le blocca e le ingrandisce reinterpretandole con una sensibilità decisamente modernista. Le sue creazioni tessili sono entrate a far parte della collezione del Metropolitan Museum of Art di New York, del Museum of Modern Art (MoMA) di New York, del Minneapolis Institute of Art di Minneapolis e della Tate di Londra.
Beatriz Cortez (San Salvador, 1970)
Artista multidisciplinare e studiosa salvadoregna, la sua ricerca esplora la simultaneità, le temporalità multiple, gli immaginari del futuro e le diverse visioni della modernità, in particolare in relazione alla memoria collettiva e alla sua perdita a causa delle guerre e delle dinamiche migratorie internazionali. Attualmente vive e lavora a Los Angeles, dove insegna nel dipartimento di Studi centroamericani della California State University.
Cortez con le sue opere proietta il sogno di un futuro diverso, seppur saldamente ancorato al passato. Mantenere contemporaneamente due diverse culture visuali di riferimento è naturale per l’artista, immigrata negli Stati Uniti da El Salvador all’età di diciotto anni. Infatti, il suo lavoro esamina le rotte storiche e contemporanee degli scambi culturali, commerciali e umani che si verificano lungo l’asse che collega i territori delle Americhe. Nell’ultimo periodo, Beatriz Cortez ha lavorato principalmente con il mezzo scultoreo, costruendo macchine che mettono insieme storie diverse per riconoscere il nomadismo globale e mettere in luce il potenziale della coesistenza pacifica dei popoli.
Olga Costa (Leipzig, Germany, 1913 – 1993, Guanajuato, Mexico)
Pittrice e promotrice culturale immigrata in Messico dalla Germania, all’età di dodici anni, studiò arte all’Accademia di San Carlos, ma abbandonò dopo soli tre mesi per sostenere la famiglia. Conobbe e sposò l’artista José Chavez Morado, che la coinvolse nella scena culturale ed intellettuale messicana incoraggiandola a riprendere la sua ricerca artistica. Dopo la loro unione coniugale, Costa iniziò nuovamente a dipingere ottenendo una discreta fama e vendendo le sue opere anche negli USA.
La pittrice porta avanti uno stile figurativo caratterizzato dalla ricchezza dei colori e degli elementi decorativi come frutta e fiori. Realizza svariate nature morte e ritratti di giovani donne nei quali appare evidente l’impatto della cultura visuale messicana con le sue tinte brillanti. Partecipa inoltre alla fondazione e allo sviluppo di varie gallerie, società culturali e di tre musei nello Stato di Guanajuato. A seguito di una lunga attività culturale e artistica le viene conferito il Premio Nacional de Ciencias y Artes.
Miguel Covarrubias (Mexico City, 1904–1957)
È stato un pittore e disegnatore messicano celebre grazie alle sue caricature popolari connotate da una forte vena ironica. Trascorse un lungo periodo nella Grande Mela, dove ebbe l’opportunità di lavorare con riviste e giornali importanti come Vanity Fair e il New Yorker. Uomo dai molti talenti, iniziò presto a disegnare scenografie e costumi per il teatro, tra cui ricordiamo “La Revue Negre” di Caroline Dudley Reagan.
Divenuto parte integrante della comunità artistica internazionale, raggiunge una notevole fama stringendo rapporti di amicizia con altri grandi esponenti dell’arte messicana tra cui Diego Rivera e la moglie Frida Kahlo. Covarrubias, appassionato di etnologia e archeologia messicane, ha portato a termine varie spedizioni di ricerca scrivendo e illustrando una lunga serie di diari di viaggio. Insieme al suo collega americano, Matthew W. Stirling, fu il co-scopritore della civiltà olmeca. Passione che lo spinse a costruire una notevole collezione di arte precolombiana, confluita dopo la sua morte nei fondi del Museo Nazionale di Antropologia del Messico.
Victor Juan Cúnsolo (Vittoria, Italy, 1898 – 1936, Lanus, Argentina)
Pur essendo originario del sud Italia, Victor Cunsolo ha vissuto la maggior parte della sua vita a Buenos Aires. Questo trasferimento definisce la sua formazione artistica, poiché studia pittura e pratica la sua professione nella parte meridionale della città, da cui attinge i suoi soggetti: le strade, il fiume e gli edifici caratteristici. Cúnsolo si inserisce presto negli ambienti bohémien e boquense della città, inaugurando il suo atelier sul fiume e sviluppando un proprio stile caratterizzato dalla vista di questo particolare paesaggio urbano, che restituisce alla sua pittura un’atmosfera unica.
Nei primi anni Venti dipinge numerose vedute di Isla Maciel e della zona di Barracas, nelle quali figurano persone, case e barche dipinte con abbondante materia e pennellate rapide, talvolta utilizzando direttamente la spatola. Tuttavia, dalla fine del decennio si può osservare un cambiamento nella sua pittura, che si manifesta apertamente nella mostra personale tenutasi nel 1928. Da quel momento in poi i suoi dipinti assumono un linguaggio semplificato, quasi astratto, fatto di forme geometriche e sintetiche e da una tavolozza composta da colori tenui.
Andrés Curruchich (Comalapa, Guatemala, 1891-1969)
Considerato il primo e più importante dei pittori näif di San Juan Comalapa. Curruchich iniziò a dipingere negli anni Venti come mezzo per cercare di guadagnare denaro extra. Tuttavia, il suo talento colpì fin da subito galleristi e critici d’arte, al punto da essere invitato negli anni ’30 e ’40 ad esporre le sue opere in vari festival e fiere del Guatemala e in alcune gallerie statunitensi.
I suoi soggetti ritratti con una forma molto semplice e comprensibile, ascrivibile alla tradizione iconografica Maya, sono tratti dalla storia e la quotidianità del suo popolo. Curruchich ha dato vita alla colonia di pittori “Kaqchikel” a San Juan Comalapa, che è diventata il centro dell’arte naïf maya in Guatemala. Per il suo valore e il suo contributo alla nazione, nel 1960 ricevette dal governo guatemalteco l’Ordine del Quetzal. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1969, una mostra permanente del suo lavoro è stata allestita presso il Museo Ixchel di tessuti e abbigliamento indigeno di Città del Guatemala.
Rosa Elena Curruchich (Comalapa, Guatemala, 1958–2005)
Nipote di Andrés, è considerata da molti ricercatori e artisti la prima pittrice di San Juan Comalapa, ha iniziato a dipingere da autodidatta a metà degli anni Settanta. Il suo lavoro connotato da una forte impronta sociologica documenta i costumi, il lavoro, le feste religiose, i legami familiari e comunitari, rivolgendo un’attenzione particolare al ruolo delle donne nei processi di organizzazione nella società indigena. Tuttavia, a causa delle perplessità e dei pregiudizi legati alla natura patriarcale della sua comunità d’origine, la sua opera pittorica non fu subito ben accolta. Dobbiamo il formato in miniatura dei suoi dipinti alla necessità di lavorare in segreto, per via della mancata accettazione della sua inclinazione artistica da parte del consorte e dei familiari.
La sua dedizione verrà ripagata in occasione della sua prima mostra, ospitata nel 1979 presso l’Alleanza Francese di Città del Guatemala, un vero e proprio trionfo per l’artista che vendette tutti i pezzi esposti. Nonostante il successo, Rosa Elena Curruchich scelse orgogliosamente di mantenere il piccolo formato come segno distintivo del suo lavoro, oltre che simbolo di protesta e autodeterminazione femminile. L’artista definisce le sue opere “dipinti maya kaqchikel”, in opposizione a termini dispregiativi come “arte primitivista” o “ingenua”. Sono immagini che raccontano le diverse attività sociali che si svolgono a San Juan Comalapa incorporando brevi testi nei quali descrive i personaggi e le loro azioni. La pittrice sceglie di proporre una narrazione visiva che rivendica il valore affettivo e politico delle tematiche solitamente scartate dai colleghi maschi. Rosa Elena denuncia attraverso la sua arte le forme di violenza contro le donne e le punizioni che gli uomini impartivano loro con atteggiamenti sessisti e molestie. Diversi pezzi di quegli anni testimoniano le trasformazioni delle comunità indigene, delle modalità di negoziazione e i processi di ammodernamento urbano che hanno inevitabilmente influito sulle cerimonie e celebrazioni della spiritualità maya.
Djanira da Motta e Silva (Avaré, Brazil, 1914-1979, Rio de Janeiro, Brasile)
Nata in una famiglia molto umile, ad Avare, nello Stato di San Paolo in Brasile, inizia a dipingere a vent’anni, quando viene ricoverata in ospedale a causa della tubercolosi. Prima di intraprendere la carriera artistica svolge svariate professioni diventando la responsabile di una pensione a Rio de Janeiro: una casa temporanea per artisti e scrittori immigrati, che in seguito la incoraggiano a dedicarsi all’arte.
Djanira da Motta e Silva, più comunemente conosciuta con il suo nome di battesimo Djanira, è stata per lo più un’autodidatta, avendo ricevuto solo una brevissima formazione nel 1940 presso il Liceu de Artes e Oficios. Nella sua pratica artistica sperimenta diverse tecniche e materiali: olio, tempera, xilografia, disegni, incisioni, ceramiche e tessuti, dedicandosi ai progetti più variegati dalla pittura, all’illustrazione, al mosaico fino ai murales. La sua è un’estetica semplice, primitiva e folcloristica, seppur originale nei colori ispirati alla tradizione artistica brasiliana. Scelte stilistiche nelle quali potremmo cogliere le difficoltà affrontate dall’artista nel vivere le radicali trasformazioni subite dal Paese nella seconda metà del XX secolo. In contrasto con questi cambiamenti, le opere di Djanira sono immobili, bidimensionali e geometriche.
Filippo de Pisis (Ferrara, Italia, 1896 – 1956, Milano, Italia)
Luigi Filippo Tibertelli, noto come Filippo de Pisis, frequenta fin da giovanissimo i salotti culturali e studia l’arte ferrarese antica, scrivendo saggi su artisti minori del passato e interessandosi anche alle riviste d’avanguardia, come “La Voce” e “Lacerba”. Fervido sostenitore e teorico della Metafisica e poi del Futurismo instaura rapporti con Giorgio de Chirico e Filippo Tommaso Marinetti.
L’artista decide di trasferirsi a Parigi, capitale artistica dell’epoca, per immergersi nel clima culturale destinato a stravolgere la storia dell’arte europea. Durante il suo soggiorno parigino de Pisis schiarisce la sua tavolozza creando quel suo tipico stile vibrante, leggero, veloce, stenografico, che con freschezza trascrive la fugacità dell’impressione visiva. In questo periodo espone in numerose mostre collettive e personali in tutta Europa, partecipando anche alla Quadriennale di Roma nel 1931 e nel 1943. Allo stesso tempo intensifica la sua attività di illustratore e critico, collaborando a numerose riviste come “Fronte”, “Arte”, “Il Selvaggio”, “L’Italia letteraria”, “Emporium”, “Frontespizio” e “L’Ambrosiano”.
Nel 1939 lascia definitivamente Parigi per rientrare in Italia, dove si dedica intensamente all’attività grafica e alla pittura dipingendo vedute di città, ritratti, grandi mazzi di fiori e svariate nature morte. Negli ultimi anni di vita soffre di una malattia che impatta gravemente sul suo lavoro, le ultime opere, infatti, sono dei rapidissimi inchiostri.
Juan Del Prete (Vasto, Italy, 1897–1987, Buenos Aires, Argentina)
Pittore italiano di fama internazionale, emigra in Argentina all’età di soli dodici anni, dove parallelamente alla sua ricerca artistica esercita l’attività di apprendista calzolaio. Raggiunti i vent’anni fonda uno studio di pittura nel popolare quartiere di Boca, all’epoca abitato esclusivamente da emigranti italiani. Dopo un decennio di attività artistica da autodidatta, si reca a Parigi e incontrò Campigli, Arp, Prampolini e Mondrian, rivelandosi fin da subito un pittore astratto d’avanguardia e percorrendo tutte le varie tendenze, dal “Fauve” al Cubismo, dal Futurismo al Costruttivismo. Del Prete divenne presto un artista al di fuori di ogni moda e tempo, sorretto da un’innata abilità tecnica, contraddistinta dall’eccezionale padronanza cromatica.
Tornato in Argentina, nel 1933 organizzò la prima sua mostra “astratta” con una serie di dipinti, collages e sculture in gesso e ferro. A seguito della quale avrà una florida carriera presenziando nelle esposizioni della Galleria Cavalotti, della Rotta di Genova, della San Fedele di Milano e del Museo San Paolo in Brasile. Espone ancora a Firenze, Roma, Albissola, Verona e Venezia, dove ottiene premi e lusinghieri riconoscimenti in occasione della Biennale del 1952 e del 1959. Noto in tutto il mondo, Giovanni Del Prete è considerato un capostipite della scuola argentina contemporanea, non solo per l’indiscussa validità delle sue opere, bensì per le sue geniali ricerche attraverso le quali seppe rinnovare la propria produzione con orizzonti e panorami sempre avvincenti, tali da costituire pregevoli notazioni per la storia dell’arte internazionale.
Olga De Amaral (Bogotá, Colombia, 1932)
È una rinomata esponente delle arti tessili. La sua tecnica incorpora fibre, vernice, gesso e metalli preziosi trasformando tessuti bidimensionali in oggetti tridimensionali che sfuggono alle classificazioni tradizionali. Amaral si è laureata alla Cranbrook Academy of Art nel Michigan e attualmente risiede e lavora a Bogotá, Colombia.
La sua estetica caratterizzata da un largo uso dell’oro trae ispirazione dall’intreccio della storia della cultura pre-ispanica con l’arte coloniale, conferendo al suo lavoro uno stile sensuale e ancestrale. Figura essenziale nello sviluppo dell’astrazione del dopoguerra in Argentina, è conosciuta per le sue opere composte con materiali non convenzionali, testimoni della rivoluzione storico-culturale affrontata dal Paese nel corso della seconda metà del XX secolo. Amaral ha esposto in centri espositivo del calibro del Museo d’Arte Moderna di New York, il Museo d’Arte Moderna di Parigi e il Museo d’Arte Moderna di Kyoto, Giappone.
Victor Brecheret (Farnese, Italia, 1894–1955, São Paulo, Brasile)
È stato uno scultore italiano naturalizzato brasiliano considerato uno dei pionieri della scultura modernista in Brasile, il suo lavoro si caratterizza per l’interpretazione innovativa della forma umana e l’integrazione con l’ambiente naturale e urbano. Frequenta il Liceu de Artes e officios de Sào Paulo, tuttavia terminati i corsi scolastici torna in Italia, a Roma, dove fu allievo dello scultore Arturo Dazzi, artista attivo nel ventennio fascista e membro della corrente realista a sfondo sociale. Periodo durante il quale sviluppa un’estetica dall’incredibile eleganza formale che conferisce grazia ai corpi modellati con linee sinuose e allungate.
Brecheret si trattenne a lungo nella “città eterna” aprendo uno studio d’arte in via Flaminia, nonostante ciò rimase legatissimo al Brasile che considerò sempre la sua vera patria. Oggi le sue opere sono raccolte nei musei brasiliani e ornano piazze e parchi del Paese come parte fondamentale della cultura nazionale. Il suo lavoro più monumentale è il “Monumento às Bandeiras“, dedicata a un gruppo di esploratori che scoprirono nuove terre espandendo il territorio brasiliano, opere che si trova al centro del parco di Ibirapuera a San Paolo.
(schede a cura di Francesca Calzà)
La prossima puntata la trovate qua: Speciale Artisti Biennale 2024 (pt. 5)