La Repubblica dell’Azerbaigian presenta il padiglione nazionale “From Caspian To Pink Planet. I am here”, alla 60esima edizione della Biennale di Venezia, a cura di Luca Beatrice e Amina Melikova. Luca Beatrice (anche neo Presidente della Quadriennale di Roma), non è nuovo alla Biennale, nel 2009 è stato scelto infatti come curatore del Padiglione Italia.
A quel tempo il punto di partenza dell’esposizione, intitolata Collaudi, era l’omaggio a Filippo Tommaso Marinetti e al futurismo, prima e unica avanguardia italiana del Novecento. “I am here”, invece, è stato realizzato dalla Fondazione Heydar Aliyev presso l’Arsenale e si pone sulla stessa lunghezza d’onda del tema generale Stranieri Ovunque. Propone un quadro variegato del mondo dell’arte azera e si può riassumere in tre parole: identità, immaginario e migrazione, veri punti cardine del dibattito culturale contemporaneo. Gli artisti scelti da Beatrice e Melikova hanno dato vita ad una selezione di opere generate allo scopo di invogliare il pubblico ad addentrarsi in una delle tematiche culturali e sociali più urgenti del nostro tempo.
Un viaggio, un’esperienza di forte impatto, un mondo parallelo capace di generare nella parte più intima dello spettatore riflessione, spirito critico e voglia di cooperare; capace di metterci l’uno di fronte all’altro, di farci sentire quella vicinanza che ci connatura da sempre, obbligandoci a distruggere sterili e inutili barriere; di aiutarci l’un l’altro con la consapevolezza di essere destinati al medesimo destino; di farci comprendere quanto non sia importante il luogo in cui ci troviamo, ma ciò che siamo e ci portiamo dietro ovunque noi siamo: ovvero la nostra identità.
In questa intervista esclusiva Luca Beatrice, curatore del Padiglione assieme ad Amina Melikova, ci racconta i dietro le quinte del Padiglione, l’opera degli artisti invitati, e la visione generale che c’è dietro il padiglione.
Prima di tutto vorremmo sapere, come è nato il progetto?
Sono stato invitato due mesi fa ad occuparmi di questo padiglione ed è stata per me una grande sorpresa; si tratta di un paese emergente sotto un punto di vista artistico.
In che stato si trova l’arte in Azerbaigian?
È stato sufficiente stare a Baku per tre giorni per cogliere il fervente clima culturale che si respira per le vie della città. Il centro storico è stupendo ed è patrimonio dell’Unesco.
Si tratta di una Repubblica giovane.
Sì, ma con un’enorme voglia di crescita. Le architetture contemporanee sono in pacifico dialogo con la storia antica del paese, l’industria e la tecnologia fanno progressi da giganti e l’arte li segue, sta al loro passo, è piena espressione di questa voglia di espandersi. Il loro centro polifunzionale è meraviglioso, è una splendida architettura di Zaha Hadid. Portare questo mondo in Biennale è certamente una verifica su larga scala.
Con che criterio avete scelto gli artisti partecipanti?
Non è stato semplice. Ne ho visionati molti e insieme alla curatrice Amina Melikova ne abbiamo scelti tre. Una cosa interessante a mio parere è la loro appartenenza a generazioni diverse: epoche diverse, storie diverse, stile diverso.
La vostra prima scelta è caduta su Irina Eldarova, nella sua opera si coglie molto bene lo spirito della Biennale di Pedrosa. È un’artista, una donna che emigra, si sposta e assorbe l’arte del paese in cui si trasferisce, la fa sua. La rielabora e la fonde con il suo background.
Si, è nata a Mosca nel 1955, in piena epoca sovietica. Si è trasferita poi in Azerbaigian, di cui ha abbracciato e sposato la cultura. Le sue opere hanno una forte tendenza pop. Attraverso una serie di dipinti, narra di una immaginaria storia d’amore tra un lavoratore dei giacimenti petroliferi del Mar Caspio degli anni Cinquanta e la Pop Star americana Marilyn Monroe. Rappresentando questo amore, Irina ci fa riflettere sull’importanza del confronto con l’altro, su quanto diversità non significhi porte chiuse, ma ponti di congiunzione tra noi e il prossimo.
Rashad Alakbarov è il secondo artista in mostra, nelle sue opere Rashad si focalizza su quanto il luogo di nascita sia importante per l’evolversi della nostra esistenza e della nostra identità. Lavora molto sul concetto di individuo e sul legame che si viene a creare tra il singolo e i luoghi in cui ha vissuto. Nella sua opera abbiamo numerosi riferimenti a elementi architettonici, quali porte, specchi, muri e finestre, che diventano metafora della condizione umana.
Rashad Alakbarov è nato nel 1979 a Baku. È uno scultore con una forte matrice cinetica. É forse quello, tra i tre, che più si avvicina alla Biennale di Pedrosa. Il suo lavoro non è visibile da una sola prospettiva. L’installazione I am here (Io sono qui) delinea un labirinto che muta a seconda della prospettiva in cui viene osservato; è così che il titolo dell’opera assume un forte significato: esiste una possibilità di salvezza solo se siamo disposti a cambiare punto di vista e a metterci nei panni dell’altro.
Vusala Agharaziyeva, altra artista che espone nel padiglione mette a servizio dell’opera il suo trascorso personale. Si è infatti trasferita da una grande città ad un piccolo borgo. I viaggi che ha compiuto durante la sua esistenza prendono forma in Pink Planet (2023/2024) e ci rendono partecipi di quel senso di estraniamento che coglie chiunque emigri in terra straniera e di quella voglia intrinseca che ci fa sognare di sentirci accettati e parte integrante di un universo denso di empatia e vicinanza. Come ce la descriveresti?
Vusala è molto giovane (è nata a Baku nel 1990) e ha un approccio e uno stile completamente diversi dai suoi colleghi. Esplora un mondo fantastico, fa uso di vari linguaggi narrativi, spazia dai quadri ai video frame. Ha costruito, all’interno del Padiglione, un immaginario e suggestivo universo rosa.