Un insetto fastidioso che ci disturba. Questo è la mosca nella stragrande maggioranza dei casi. Ma se ci sbagliassimo? Se si celasse molto di più dietro quel piccolo insetto che scacciamo distrattamente?
Come ogni rappresentazione artistica, anche la mosca ha una sua simbologia, diversa a seconda del tempo e delle visioni dei singoli artisti. Da emblema d’inevitabile morte a messa in mostra dell’egregia capacità pittorica nella riproduzione di un così piccolo soggetto, la mosca ha attraversato la storia volando di quadro in quadro fino ai giorni nostri. Ed è proprio questo che Sylvia Ferino e Elisa Rizzardi, curatrici delle mostre al celebre Labirinto della Masone di Fontanellato, ci raccontano con MUSCA DEPICTA. C’è una musca sul quadro.
Nel corso di questa intervista, la curatrice Elisa Rizzardi ci ha parlato dell’esposizione, che sarà visitabile fino al 30 giugno 2024.
La mostra ha un taglio estremamente puntuale. La protagonista dell’esposizione è senza dubbio la mosca, che viene trattata nella sua complessità come elemento simbolico nella storia dell’arte. Per quale motivo la vostra scelta è ricaduta proprio su questo insetto?
La scelta è dovuta alla pubblicazione da parte di Franco Maria Ricci, esattamente quarant’anni fa, di uno splendido volume dedicato proprio alla presenza della mosca nell’arte: il volume, della collana “Quadreria”, riportava un inedito e celebre saggio di André Chastel, il primo dedicato appunto alla “musca depicta” nell’arte europea dal XV al XVII secolo, accompagnato da altre opere fondamentali sul tema, come l’Encomio di Luciano di Samosata e l’Elogio di Leon Battista Alberti. Sicuramente il tema è insolito, ma sappiamo che Franco Maria Ricci aveva una predilezione per i temi bizzarri, gli argomenti poco trattati ma incredibilmente curiosi.
Tra le opere esposte si colgono diversi significati e interpretazioni che si celano dietro alla rappresentazione della mosca. Quali sono per voi i più interessanti o inaspettati, che avete scoperto lavorando a questo progetto?
Credo che uno degli aspetti più curiosi della presenza della mosca nei dipinti sia relativa alla sua comparsa nei ritratti: l’insetto in questo caso assume vari significati, a volte quasi impossibili da decifrare. Ne abbiamo alcuni esempi in mostra: nel ritratto di artista tirolese (probabilmente Ludwig Konreiter, attivo alla corte di Innsbruck), la mosca compare ben visibile sulla giacca verde del personaggio, impossibile da ignorare. Si tratta non solo di uno scherzoso inganno del pittore, ma anche di un probabile riferimento ad un tratto negativo del carattere del personaggio ritratto, l’arciduca Sigismondo del Tirolo, noto scialacquatore e artefice del declino economico del suo paese; ma l’insetto potrebbe essere anche un riferimento alla recente scomparsa dell’arciduca, che stringe un rosario tra le mani: la mosca da sempre è un simbolo mortuario, legato al diavolo, alla corruzione e alla dissoluzione (Belzebù è il Signore delle mosche).
In questo caso la mosca giustifica la sua presenza in vari modi. Anche nel raffinato Ritratto di Albrecht Dürer su pergamena degli Uffizi compare, evidente e sproporzionata, una mosca: in questo caso si potrebbe trattare di un omaggio del pittore che eseguì l’opera, Johann König, allo stesso Dürer, esperto in trompe l’œil e artefice anch’egli di una famosa mosca all’interno della pala d’altare della Festa del Rosario. Infine penso possa essere curioso scoprire quanto ancora oggi la mosca possa ispirare gli artisti contemporanei: Damien Hirst ha eseguito varie opere con migliaia di mosche vere “congelate” nella resina, e da sempre associa quest’insetto alla morte, alla malattia, anche per il loro colore nero.
È interessante come siano esposte opere della metà del ‘300 insieme ad artisti assolutamente contemporanei, come Damien Hirst. L’esposizione non segue infatti un ordine cronologico ma piuttosto tematico. È stato complicato trovare un dialogo tra lavori di artisti di epoche così lontane tra loro?
Le opere in mostra, lontanissime tra loro nel tempo (si pensi alla tavola dei Musei Vaticani, la Vergine dell’Apocalisse con Santi e Angeli di Giovanni del Biondo, eseguita alla fine del XIV secolo, e il dipinto L’ultima mosca di Luigi Serafini del 2022) riescono a dialogare nel percorso perché la presenza della mosca crea un sottile fil rouge: ci permette di osservarne la silenziosa presenza chiedendoci il perché senza essere disturbati dalla distanza cronologica. Inoltre, la divisione in tematiche è evidente e permette di avvicinare opere anche distanti tra loro: nella prima sala si analizza la presenza della mosca nei ritratti e negli autoritratti, nelle opere religiose e nei Memento mori; nella seconda la mosca è “elemento vivo” nelle nature morte e nei trompe l’œil; nell’ultima sala la mosca è vista in relazione agli altri animali e all’uomo. Infine, sono esposti diversi volumi provenienti da alcune delle più prestigiose biblioteche italiane (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Biblioteca Braidense di Milano, Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma, ecc…) che raccontano il percorso della mosca nell’illustrazione decorativa e scientifica.
Vorrei soffermarmi un attimo sulla locandina che riporta l’immagine di un San Gerolamo nello studio, olio su tavola di Joos van Cleve e della sua bottega, che qui troviamo esposto. Perchè è stata scelta proprio quest’opera come immagine emblematica della mostra?
Il dipinto della bottega di Joos van Cleve, forse dell’allievo Jan Sanders van Hemessen, è stato scelto perché la mosca che vi compare riassume molti dei significati di cui si parla nella mostra: è certamente un esercizio di bravura del pittore, con la sua ombra che si proietta sul teschio su cui è posata, in primo piano; allude alla Vanitas, al Memento Mori, insieme ad altri simboli ad essa accostati (come il teschio, la candela bruciata, che ricordano lo scorrere inesorabile del tempo); il dipinto è un’opera religiosa, tipologia in cui compare in varie situazioni l’insetto, come si può vedere anche in altri dipinti esposti in mostra, ma è anche una natura morta – nel dettaglio in cui compare l’insetto –, altro genere in cui la presenza della mosca si manifesta. Infine, è anche un omaggio al volume della collana “Quadreria” perché era uno degli esempi portati anche da Chastel nel suo saggio.
Nell’esposizione il visitatore è coinvolto attivamente, alla ricerca della mosca nei singoli quadri. L’esperienza diventa quasi un gioco, una sorta di caccia al tesoro intrigante, che rende la visita ancora più stimolante. Per questo credo che possa essere molto coinvolgente anche per i bambini e le famiglie. Ti chiedo quindi, innanzitutto se sei d’accordo con questo punto di vista e se hai in programma, insieme a Sylvia, esperienze didattiche o laboratori con le scuole?
Sono assolutamente d’accordo con questo punto di vista, perché questa “ricerca delle mosche” nei dipinti prima di tutto diverte grandi e piccoli, ma porta anche ad un altro esito positivo: l’osservatore si sofferma a guardare con attenzione le opere d’arte, e non getta uno sguardo veloce come purtroppo oggi accade spesso nella visita alle mostre. Credo anche che il chiedersi il perché della presenza dell’insetto spinga il visitatore a porsi più domande davanti alle opere, a “prendersi del tempo”: concetto che già promuoviamo per la visita al labirinto, che deve essere non solo un luogo di scoperta e di svago, ma anche un luogo per riflettere e concedersi una pausa dai ritmi frenetici della vita di tutti i giorni.