La selva fiabesca di Eva Jospin: mirabilia e artificialia al Museo Fortuny di Venezia

La mostra di Eva Jospin, a cura di Chiara Squarcina e Piarpaolo Pancotto, allestita nel portego di Palazzo Pesaro degli Orfei, rievoca l’immagine di una selva dai connotati quasi danteschi, ricordando, sia nella scelta degli spazi che nell’allestimento, un itinerario progressivo alla scoperta della propria interiorità celata. 

Le creature di Jospin sono installazioni cristallizzate in una matericità corposa ma al contempo delicata, che coinvolge elementi come cartone e tessuto trasmutati in una declinazione romantica e fiabesca. A colpire nelle opere di Jospin è il senso di unità che si apprezza non solo nelle trame delle tele ma nelle stesse cornici, concepite come parte dell’opera stessa e realizzate con l’intarsio della carta. Sono diversi gli immaginari che si fondono tra loro in mostra: dal decorativismo del movimento di Art and Crafts, all’estetica preraffaelita, fino alle vedute dei paesaggisti inglesi e alle campiture impressioniste, rivelando il consistente retaggio culturale dell’artista, la quale attinge ad un vocabolario artistico comune e condiviso che ben si sposa con l’estetica di Palazzo Fortuny. 

Courtesy the artist and GALLERIA CONTINUA Photos by Benoît Fougeirol © ADAGP

Se si visitano gli appartamenti di Mariano Fortuny risulterà evidente il tentativo di creare un percorso coerente tra mostra e museo, sublimato nell’installazione “Galleria”. Ex proprietario del palazzo, Fortuny è noto al pubblico per la sua attività di scenografo e allestitore teatrale, la cui produzione viene celebrata in modo emblematico nell’opera ambientale che fa della mostra una struttura ad incastro complessa ed articolata e che vede nella galleria di gusto barocco in cartone il fine ultimo di Jospin. La scelta dell’artista di utilizzare materiali come carta ma soprattutto tessuto, si sposa in modo congeniale con la vicenda biografica di Fortuny, autore di tecniche innovative per la stampa tessile che sembrano quasi essere frutto di procedimenti alchemici. 

La dimensione sovrannaturale sembra essere ripresa dall’artista, in un concerto di opere che si finalizzano in un’arte totale, comprensiva dalla immanenza della manifattura alla permanenza effimera del fantastico. Oltre al legame con la moda, si evince chiaramente come ad essere menzionato in mostra sia spesso l’espediente teatrale, volto nuovamente a destare meraviglia: “Carmontelle” va a riassemblare un panorama “animato” fatto ruotare su un rotolo di carta teso tra due cilindri, spesso impiegato come fondale per scene e rappresentazioni e ispirato ai paesaggi trasparenti ideati da Louis Carrogis de Carmontelle.

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Nel trovarsi di fronte a “Galleria” si ha l’impressione di confrontarsi con l’artificio: quella che infatti può sembrare un’architettura che rimandi, dalle serliane al soffitto a lacunari, agli stilemi rinascimentali e barocchi, si rivela una costruzione effimera, costituita da un materiale grezzo come il cartone, qui nobilitato e reinserito all’intero di una retorica mai banale di riscoperta del dato naturale come fonte inesauribile di ispirazione e di riconnessione con le istanze primordiali di vita.

Ad impreziosire ulteriormente la struttura sono le nicchie ricavate al suo interno, le quali sembrano confermare il complesso sistema di citazioni nella trama intessuta da Jospin e che celano a loro volta opere di piccolo formato presentate come “mirabilia”. Le installazioni metaforicamente labirintiche, invitano il pubblico alla perdizione non da un punto di vista morale, bensì fisico, come abbandono delle circostanze del reale a favore di un’immersione totale nella prospettiva idilliaca ricreata dall’artista, che guarda agli scenari impressionisti, da Giverny a Pont – Aven; a suggerire questa riflessione è la prospettiva costruita in “Selva”, che da titolo alla mostra, la cui intelaiatura consente di disvelare progressivamente allo sguardo il procedimento corretto di lettura dell’opera paesaggistica attraverso la sovrapposizione delle trame tessili. Il tentativo di ricongiungersi con la componente più ancestrale dell’umano si può cogliere anche nelle opere video proposte da Jospin nei locali attigui a quelli destinati alle installazioni: “Forêt”, ad esempio, va a simulare il graduale incedere in una foresta di un soggetto del quale lo spettatore adotta il punto di vista e con cui condivide lo stupore nato dal confronto con l’ignoto.

Courtesy the artist and GALLERIA CONTINUA Photos by Benoît Fougeirol © ADAGP

La mostra si presenta come itinerario colto e stratificato che rievoca i fasti del Gran Tour, non solo nella scelta della location legata alla vicenda di Fortuny così affine alla dimensione immaginifica del souvenir e dell’esaltazione dell’arte classica, ma anche nell’assimilazione al viaggio di formazione che si compie nella visita, con un confronto serrato tra incoscio, fiaba e meraviglia.

La selva di Eva Jospin, citando il curatore Pierpaolo Pancotto si può definire “una “selva” artificiale che, una volta percorsa, dà la sensazione di perdere ogni cognizione di tempo e spazio, di trovarsi in un “altrove” non meglio definito vista la specularità delle sue componenti strutturali (non vi sono un accesso e un’uscita privilegiati, tutto è simmetrico) e l’ambiguità fisica e visiva degli elementi che le completano all’esterno e all’interno (natura, architettura e complementi decorativi sono pura finzione artistica e dissimulano quelli reali). Insomma: una creazione che, in soluzione allegorica, racchiude un insieme denso e articolato di stati emotivi e riflette vari livelli della dimensione sensoriale e intellettuale dell’individuo, dallo stupore al divertimento, dalla sorpresa al senso di smarrimento e di timore, nei quali ciascuno può ritrovarsi”.

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