Oro e Catrame: il Dualismo di Beppe Sabatino ad Urbino

by Cecilia Casadei

È il rimando alla Natura, come dimensione che abbraccia le cose tutte e l’umano stesso, il fil rouge della mostra “Oro e catrame” di Beppe Sabatino. Laddove la presenza umana è un’accennata evocazione artefice di storia, bellezza, cultura e, insieme, complice di un trasversale declino.

Se la cifra distintiva di Sabatino, nato in provincia di Palermo nel 1961, sono i pesci in fuga dal mare divenuto ambiente inospitale, nella mostra alla Galleria Albani di Urbino lo sguardo dell’artista si amplia, e i pesci, che aveva chiamato “profughi”, escono dalla tela in tridimensionalità e dialogano con rami secchi, con arbusti senza radici, seppure rivestiti d’oro, per riflettere, ancora una volta, sulla identità di un presente in bilico tra armonia della Natura e minaccia incombente. Sull’esistente che poggia sul dualismo tra bellezza e distruzione, vita e morte, complessità e sintesi tra memoria e futuro. Un efficace corpus espositivo che diviene attraversamento, misura tra positivo e negativo. Altalena tra luce e buio come il colore delle grandi tele installative che Sabatino definisce catrame come rimando al tema dell’inquinamento, ma catrame non è. Sono stratificazioni di pennellate dal colore scuro tra marrone e rosso, tavole monocromatiche alla maniera di Rothko, ricche di mordente steso con maestria a creare sfumature di varia intensità.

Talora compare un reticolato come (in)visibile gabbia, come limite di libertà, un colore che ha una autonoma personalità e diviene fondamento imprescindibile dell’opera. Quando sono i rami e i pesci rivestiti della patina dorata a restituire un secondo piano di lettura, a lasciar trasparire una possibile ri-nascita sottolineata dalla bellezza, dalla nobiltà e la forza simbolica dell’oro. Una simbologia presente in tutte le culture antiche, nell’America precolombiana, nella civiltà azteca, presso i Maya ed Inca e non solo in Grecia:l’oro associato alle divinità, l’oro per la vita ma anche per la morte, i gioielli d’oro nelle sepolture, l’oro dei re, i loro gioielli d’oro per continuare ad esaltare in eterno il loro valore. L’oro dei vincitori, l’oro come metafora di valori gerarchici, simbolo di prosperità, strumento di seduzione, segno di potere. L’ariete dal vello d’oro, lo scudo di Achille ricevuto in dono dal dio del fuoco , le mele d’oro delle Esperidi che conferiscono l’immortalità. Sarà Luca Cesari, che scrive il testo di presentazione della mostra, a sottolineare il carattere dell’oro che  riconduce alla grecità  e al suo significato più recondito. 

E c’è un aspetto singolare che le opere, talora, contemplano: un binario che divide in due le grandi tele: ci sono binari d’oro, uno è fatto di ghiaia e accoglie l’unico arbusto con foglie verdi di tutto il percorso. Un binario  ha il riflesso del grigio, un’altro è azzurro ad evocare il mare, e il tema dell’acqua come simbolo di vita ritorna anche attraverso la parola acqua scritta in oro, ripetuta come un mantra sulla tela scura. In un altro caso il binario diviene una scala d’oro su cui poggiano due pesci dorati, eccellenza di un ossimoro espressivo. Ogni volta paiono binari della vita in un tempo che scorre in senso lineare, come carattere che rimanda al fluire delle cose tutte, al viaggio della esistenza che siamo noi ad orientare rischiando di andare alla deriva.

C’è in tutto il lavoro di Beppe Sabatino un parallelismo tra ansia e pacatezza, impeto e accettazione, tra denuncia di un presente complesso e la speranza di conservare e ri-trovare la bellezza di una natura primordiale, quando la struttura  compositiva delle sue pitture e delle sue installazioni scultoree e pittoriche sono sempre e comunque un canto alla armonia. Anche quando l’oro e la sua simbologia di prosperità fosse solo una illusoria condizione per il futuro dell’umanità,  Sabatino ci consegna, come forma e sostanza del suo lavoro, la fascinazione di un linguaggio che cattura, il potere trasformativo dell’empatia, l’intensità di una riflessione, la bellezza  e l’incanto di ciò che ci circonda e che l’arte riesce a declinare in modo eloquente.

Il suo lavoro è oltrepassare un confine per andare là dove solo gli artisti puri possono giungere per far parlare i pesci dipinti o sagomati come farebbe un bambino.I pesci quasi sempre dorati, talora collocati come sacrificio sull’altare dei doni agli dei, creature mute private dell’acqua, creature lontane, forse, dalla sensibilità empatica del quotidiano, calate nella dimensione di un silenzio che diviene rumore, denuncia della scelleratezza umana che deteriora la natura.Opere eleganti, sempre senza titolo, armoniche, di pregnante espressività e profondità intellettuale tra figurazione, concettualità e astrazione. Sorpresa, meraviglia di un’arte che parla all’uomo dell’uomo, riflessione, ricerca maniacale, un diario stilistico cominciato da anni che via via si arricchisce e si nutre di nuove suggestioni mantenendo fede ad una cifra distintiva che fa di Beppe Sabatino un significativo interprete del presente.

C’è un profondo legame spirituale che lega l’artista alle sue opere e una sorta di ironico fare e di ironico compiacimento per il risultato ottenuto. Resta il senso, la fascinazione di un linguaggio dell’arte che conserva qualcosa di insondabile, irraggiungibile che ha il sapore del mistero, produce estraniamento, fors’anche sgomento. Che diviene monito, invito per l’ adesione ad una natura da cui ci stiamo sempre più allontanando. Beppe Sabatino, che ha al suo attivo mostre a Milano, Bruxelles, Helsinki Lisbona, Pechino, tenta di farlo, riesce a farlo con profondità e leggerezza con un lavoro che riesce a farci “amare potentemente il mondo “ come direbbe Mariangela Gualtieri.

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