Transavanguardia, una grande storia italiana nata sulle ceneri del moderno

In occasione della mostra Transavanguardia, La vitalità nel contemporaneo a Palazzo SUMS – Galleria Nazionale di San Marino, aperta fino al 22 settembre 2024, Gianluca Marziani ha scritto per noi questo testo in ricordo di quella che è considerata l’ultima grande avanguardia del Novecento.

Immaginate un panorama culturale che spingeva al parossismo l’avanguardia militante, i territori della performance, la fuoriuscita dal quadro, l’invenzione di concetti complessi per formulazioni installative, ricche di tasselli del mondo reale, tra ciclo e riciclo, invenzione e lezione, storia e filosofia. Immaginiamo assieme l’atmosfera densa e militante sul finire degli anni Settanta, quando le migliori gallerie si dichiaravano avamposti sperimentali, i musei erano rigidamente codificati, il collezionismo esisteva senza un sistema di riferimento, le case d’asta faticavano a riconoscere l’aura delle avanguardie… 

Achille Bonito Oliva Foto Fabrizio Garghetti

Ad un certo punto, con intelligenza tempistica e sensibilità sociale, arrivò la teoria giusta nel posto giusto e nel momento più giusto di tutti: Transavanguardia il suo nome, Achille Bonito Oliva il suo artefice e condottiero, cinque gli artisti che avrebbero occupato i posti in prima squadra (Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria, Mimmo Paladino), lasciando in panchina qualche nome altrettanto consono (Nino Longobardi su tutti, ma questa è altra storia e poco ci interessa a distanza di decenni). 

Nicola De Maria Estate santa trionfo mistico 20022004 olio su tela cm 50×60

Iniziano gli anni Ottanta, era di edonismi e nuovo barocco, decennio che inventa il piacere superficiale di un mondo senza guerre calde, al massimo qualche tensione fredda dei soliti noti (USA e URSS) ma, per il resto, un blocco occidentale che scivolava nel suo idromassaggio socialmente iniquo, tra prime estasi finanziarie e primissime fondamenta di una futura società digitale. In un mondo che esaltava il benessere luxury, che accecava coi suoi loft dentro vecchi spazi del lavoro analogico, che dichiarava il culto erotico per il denaro come esibizione mondana, chi altri poteva vincere se non il ritorno ad un quadro che celebrava lo status sociale del neonato giovane collezionista: uno che guida Porsche, indossa Rolex e Armani, compra mobili di design e, appunto, arreda le pareti con la miglior pittura del momento. 

Francesco Clemente Senza titolo 1986 pastello su carta cm 665×483

La Transavanguardia significava non solo ritorno alla pittura ma anche gioco nostalgico ed emotivo, una figurazione morbida ed espressiva, accogliente nelle sue drammaturgie psicanalitiche, immersa nelle radici del Novecento in un moto di citazione postmoderna dentro un flusso di evocazioni da fine secolo. Le storie vincenti, lo sappiamo bene, sono compromessi in equilibrio, sistemi fragili ma epidemici in cui l’artista ascolta l’esterno mentre crea la sua idea di cambiamento iconografico. I primi anni Ottanta hanno disegnato il passaggio da un’arte elitaria ed esclusiva ad un modello inclusivo e urbanizzato, diffuso e mondano, un moto ciclico dallo status “aristocratico” allo status borghese dell’artista contemporaneo.

Enzo Cucchi Il meschino 2004 olio su tela cm 51×67

Il processo di saturazione funziona ovunque nello stesso modo: riempi qualcosa fino al parossismo, fino al punto in cui la controparte perde desiderio, fantasia, erotismo estetico; solo allora l’alternativa diventa necessaria per ripristinare le regole emotive, per accendere nuovi canoni d’attrazione, per offrire alternanza tra addizione e sottrazione, per assecondare le ragioni dello spettatore in un teatro della finzione estetica dai valori metafisici. La Transavanguardia ha assolto al suo compito in modo eccelso: è giunta sul mercato nel momento in cui stava nascendo il cosiddetto Sistema dell’Arte, lo stesso che diamo oggi per scontato ma che ai tempi schierava un numero di giocatori limitato, più carbonaro e molto più snob.

Nicola De Maria Città sposa infelice graffi regn dei fiori 1982 1983 olio su tela cm 130×90

La Transavanguardia pensava come un cervello complesso ma si dichiarava con immagini d’impatto e persistenza, cogliendo le zone figurative e cromatiche di una società ormai catapultata nel design diffuso, nel cambio di canoni ideologici e politici, nella trasformazione che oggi chiamiamo Universo Digitale. Se dovessi pensare ad una AI ad alta competenza pittorica, vedrei processi simili al modo in cui Chia citava Chagalll e Kokoschka con spirito liberatorio, al modo in cui Clemente giocava con l’autoritrarsi frenetico e liquido, al modo in cui Cucchi integrava archeologia e morte nei suoi paesaggi futuribili… insomma, quei cinque pezzi facili e il loro ABO avevano capito il rituale liturgico del tardo capitalismo, lo hanno interpretato nel pieno della sceneggiatura culturale e, alla fine, ne sono usciti vittoriosi senza mai uscirne in termini “biologici”. 

Una grande storia italiana di successo internazionale. L’ultimo manifesto di un movimento che oggi, nel cuore del capitalismo digitale, sarebbe impossibile ricreare. Merito e onori a coloro che sono riusciti a scrivere pagine indelebili sul marmo della Storia.

 

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