Quante sono le forme dell’arte? Prova a domandarselo intergenerational forms, la mostra alla galleria Francesca Minini. La morbidezza della tela sovrapposta di PRICE (1986). La matericità di Sheila Hicks (1934), ma anche la scultorea pittura di Azize Ferizi (1996). Tele dipinte che lasciano la bidimensionalità dello spazio per collocarsi al centro dello spazio. Volumi che si fanno improvvisamente pesanti, che diventano corpi dipinti. Corpi iperrealisti, invece, nell’opera di Pascale Birchler (1982), una donna dalle lunghe gambe seduta su una sedia. Lo spaesamento è compiuto, e il realismo di Birchler si avvicina a quello di Deborah-Joyce Holman (1991), organico, effettivo, identificativo di un soggetto e di un’identità, i denti su cui incide delle parole.
Da un interrogativo sul reale David Joselit nel testo “Notes on Surface, Towards a Genealogy of Flatness” (Note sulla superficie, verso una genealogia della piattezza), riflette sullo spazio delle superficie pittorica, che si appiattisce nell’astrazione. L’adesione a una tipologia della forma, che si inserisce in una dimensione di riduzione senza aderire a processi di figurazione, per liberare distorsioni su cui è possibile aprire una serie di riflessioni. Artistiche, stiliste e tecniche. Ma anche semiologiche, psicoanalitiche e neuroscientifiche, considerando le potenzialità di un linguaggio che sfida la pura comprensione e identificazione di una forma, per accostarsi a un’esperienza emotiva e sensibile. Astrazione che sebbene rimandi a un contesto originario, che si colloca storicamente nel periodo delle avanguardie, tuttavia, trova una sua continuità nei linguaggi delle generazioni successive e contemporanee.
Il testo dello studioso e critico americano è il fondamento di partenza su cui Eleonora Milani imbastisce la collettiva curata per la galleria. Una selezione di opere e di artisti di generazioni diverse, che fanno della superficie un luogo di rinegoziazione dei significati tra “segno/forma/corpo”, come scrive sul foglio di sala.
Becky Beasley (1975) e James Bantone (1992), partono da un approccio fotografico per realizzare opere più installativi e scultoree. Le immagini stampate di Beasley sono montate su un materiale che rende le superfici lucide e specchianti. Bantone invece propone grandi stampe, spesso intelaiate su elementi industriale. I volumi si fanno ingombranti nella scultura di Simone Holliger (1986). La carta si gonfia, si piega e si stropiccia, luccicante in quel verde intenso tra smeraldo e grigio scuro, alleggerito dalla sua natura formale, insieme a altri materiali. Le trame intessute, filate e annodate di Sheila Hicks, che intreccia fili, corde e fibre richiamando una domesticità ancestrale, aderiscono a formalismi legati a principi di morbidezza, fluidità e sinuosità, in cui le anatomie svaniscono nelle architetture, che in taluni casi si accendono di colore. Sperimentazioni coloristiche anche per Carla Accardi (1924), esponente femminile principale della corrente astratta italiana, come l’opera in mostra Verde e grigio scuro (dal titolo dell’opera esposta), in cui le tinte si appiattiscono sulla superficie, e planano (Dizionario Treccani: agg. Der. dell’ingl. planar, dal lat. planaris “che ha superficie piana”] [LSF] Che ha struttura piana o quasi piana) nella delicatezza del gesto.
intergenerational forms è un dialogo che attraversa il tempo e le generazioni. Riflette intorno alle morfologie della superficie, e come conclude nel suo testo, David Joselit “One of the primary lessons of modern art has been its paradoxical demonstration of the depth of surfaces. It is a lesson from which we still have much to learn”.