Premessa: un giorno, un paio di anni fa, mi capita sotto gli occhi la copertina di Io Donna, il settimanale del sabato del Corriere della Sera. La modella in copertina mi colpisce per lo sguardo e per un particolare modo di guardare in camera. Non so chi sia e dunque m’informo. Mi dicono che si chiama Iva Varvarchuk e che lavora per Gucci. Passano due giorni e, per caso, scopro che avrebbe fatto, a breve, una sua personale presso la Soho House di Roma. Queste casualità concatenate iniziano a mandare segnali. È lunedì mattina, mi precipito. Non so perché ma sento che mi potrebbe interessare la sua arte. Peraltro ormai sapevo che era una famosa modella ma non immaginavo che fosse anche artista.
Arrivo alla Soho House mentre sta allestendo e trovo più o meno quello che forse mi aspettavo: una giovane ragazza ucraina (che vive in Italia da quando è piccola) che sta per fare, forse anche inconsapevolmente, un passo importante, dalla moda all’arte. Con convinzione. Su un pannello leggo: “Nuda come la notizia: un progetto di vita su un corpo che cresce. Il cambiamento e l’evoluzione del mio corpo come l’unica cosa che possiedo veramente. Una serie di autoritratti e pensieri sotto forma di fotografia autoriferita”.
Le propongo subito un’intervista e lei accetta di buon grado. La sera avrebbe avuto il vernissage ma il giorno dopo avrei ricevuto le risposte. E così è stato. Da allora ho seguito il suo nuovo percorso offrendomi di darle una mano nel caso in cui ne avesse avuto bisogno; è capitato, in passato, che abbia aiutato giovani artisti a crescere, soprattutto nella fase in cui passavano il fosso dell’arte.
Passati circa due anni da quella “one day exhibition” la incontro nuovamente per capire a che punto è con il suo interessantissimo progetto. Il titolo della mostra di Roma era: “Nude as the news”, Nuda come una notizia. Sottotitolo: “Un progetto per seguire per tutta la vita un corpo che cresce”. È chiaro che questo progetto è il risultato di chi, come lei, da quando era adolescente, ha fatto la modella e ha utilizzato al meglio la sua bellezza e la sua capacità di stare davanti all’obiettivo. Le chiesi, allora, se il suo lavoro di modella stava influendo sulla decisione di spostarsi sull’arte. E il fatto di fare l’esatto contrario di ciò che le era successo sino a quel momento – cioè mettersi a disposizione della bellezza – mentre nei suoi self-portrait lei tende a imbruttirsi (se mai fosse possibile) insomma mi rispose così: “Anche i miei lati meno fotogenici sono miei. La bellezza di un corpo, di un volto, è negli occhi di chi guarda”.
Ma, esattamente, cosa fa Iva? Qual è il suo progetto artistico? Iva Varvarchuk si pone – sia detto con tutto il rispetto, anzi, con l’entusiasmo per il coraggio e la genialità di un’artista che è già una modella affermata, ma che col suo lavoro artistico prova a rovesciare e decostruire i canoni della bellezza e dello stile come vengono intesi tradizionalmente – come un’artista fuori dalle regole, anzi, azzarderò una definizione: come un’artista-clochard. Clochard? Come fa a fare “arte clochard” un’artista che viene dalla grande tradizione della moda italiana? Qui è la sua rivoluzione, la sua genialità, la sua vocazione performativa di alto livello: Iva scova, nei luoghi più impensati, ciò che il mondo rifiuta: vestiti, pupazzi, stracci, giocattoli – magari menomati – tutte cose che giungono, secondo chi li ha possedute, a fine vita e che lei, recuperandole – come vediamo fare a volte dagli apolidi che girano per le nostre strade – in realtà poi depura, disinfetta, pulisce con la massima attenzione, per farle diventare costumi da bagno, pupazzi, oggetti mostruosi oppure delicati, indumenti fantascientifici (penso a Barbarella, di Roger Vadim, con la mitica Jane Fonda) che entrano nella sua prospettiva per fare da comprimari – o comparse – nel set in cui Iva regna soprattutto perché, in questo caso, è lei stessa a decidere come muoversi sul set.
Contrariamente al suo lavoro di modella, dove lei non decide la posa o l’allestimento per lo shooting, la Iva artista fa tutto da sé e ricrea un mondo a parte, che potrebbe far pensare, ad esempio, a 1997: Fuga da New York di John Carpenter, oppure a certe pellicole di Darren Aronofsky, perché lei ha scelto di inerpicarsi per una strada irta, dunque mescolare bellezza e bruttezza, che è un ossimoro visivo, un po’ come pasteggiare con vino e coca cola. Ma si percepisce chiaramente, osservando i suoi self-portrait, che quest’arte è la sua piccola rivoluzione. Non deve essere facile spendere ogni giorno la propria bellezza – per la quale nulla hai fatto per averla – senza mai pensare a quanto poco ci metti del tuo, e allora Iva ribalta il paradigma, come un “super” tramp si butta nella melma delle cose, che siano farina o polvere o liquidi indistinti, e fa un corso di cucito, per suturare le ferite di indumenti colpiti dall’obsolescenza. Lei dice del suo iter: “Un progetto per seguire per tutta la vita un corpo che cresce”. In realtà, più che prendersi cura di un corpo che cresce, Iva sembra tendere ad accelerare i tempi, in qualche modo, stanca del suo fascino, vorrebbe, senza riuscire, azzerare la sua identità per espanderla all’interno di un progetto completamente avulso dalla società dell’immagine. Azzardo? Per me Iva Varvarchuk è una costola, ceduta al mondo, da Marina Abramovich perché, esattamente come Marina, Iva produce senza pensare, non ha un progetto commerciale che la sostiene. Marina e Iva sono sospinte dal vento dell’est che noi non conosciamo ma che, ogni volta che soffia, ci fa sognare.
Iva: “Ecco il mio progetto tra arte, abiti di recupero e vita quotidiana”
Siamo al lago di Bracciano, l’acqua è blu intenso, lei ora ama questo, acque tranquille e campagna. Seduti in un bar che praticamente sconfina nel lago Iva apre la busta di tabacco e si prepara una sigaretta mentre io le porgo la prima domanda. Le sue risposte sono sintetiche, concise e sibilline. Come spari nel buio. Ma anche questo fa parte del suo personaggio.
Iva, era l’ottobre del 2022 e ti intervistai per la tua prima mostra alla Soho House di Roma. La mostra, che durò solo un giorno, ebbe un certo successo. Da allora hai continuato a creare?
(In realtà a questa domanda lei non risponde però io so che sta covando e sono certo che continua a seguire e osservare il suo corpo che cresce, in linea con il progetto iniziale). Non voglio insistere e vado oltre. Lei fuma e guarda l’acqua…)
Ricordo che il titolo della mostra di Roma era “Nude as the News” e il sottotitolo: “Un progetto per seguire tutta la vita un corpo che cresce”. È sempre questo il tuo filo diretto con l’Arte?
Assolutamente sì (la sua risposta è sintetica, ma in qualche modo, implicitamente, risponde anche alla domanda precedente) il progetto è questo e non cambia.
Fai ancora la modella o ti stai dedicando completamente all’attività artistica? Alla fine anche nell’arte tu sei la modella al centro della scena per cui non tutto è mutato, giusto?
Con la moda sono in pausa ma spero di riprendere, prima o poi.
Ricordo che mi avevi detto che c’era, almeno all’epoca in cui ci incontrammo, un artista che ti ispirava, Max Siedentopf; nel frattempo hai scoperto altri artisti che ti interessano e ispirano?
Seguo molto gli artisti ucraini, i loro lavori mi colpiscono, risuonano dentro di me. Tra questi vorrei citare la fotografa Spasi Sohrani e poi Humilevskly.
La guerra tra Russia e Ucraina era già scoppiata quando allestivi la mostra alla Soho House; dunque immagino che tu non sia più tornata nella tua madre patria, l’Ucraina. Come vivi a distanza questa orribile ed inutile guerra?
Stando in Italia quello che provo non sarà mai paragonabile a quello che prova chiunque stia lì, in casa propria, con la paura che da un giorno all’altro si possa rimanere senza vita, senza una persona a te vicina, senza casa.
Ricordo che ai tempi della prima intervista che ti feci tu vivevi a Milano. Sei sempre li? Ti sei spostata? Pensi di rimanere comunque in Italia?
Ora abito guardando un lago. Ho capito che preferisco la campagna alla città. Per quanto riguarda la nazione non saprei, però sono sempre pronta a lanciarmi in una nuova avventura se la proposta arriva dalla persona giusta.
Cosa stai leggendo in questo periodo? E in che lingua leggi solitamente?
Leggo in italiano. L’ultima cosa che ho letto e amato è Uno, nessuno e centomila di Pirandello. (E aggiunge, sollevando lo sguardo): un po’ tardi lo so, ma meglio tardi che mai.
(Ricordo che nella precedente intervista ad una domanda simile rispose che leggeva e rileggeva Il Gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach. Da questo punto di vista i gusti sembrano mutati…)
Quali sono invece i tuoi gusti musicali?
Posso dirti quale è l’ultima canzone che mi è piaciuta: Bring me to silence dei Fievel is Glauque.
Mi piacerebbe sapere se stai creando sempre nella stessa maniera. Self portrait organizzati come un set in cui Iva si contorna di oggetti e indumenti reperiti ovunque e che accendono il pensiero di chi osserva, colpiscono l’attenzione, possono anche spaventare…Insomma il progetto artistico va avanti come avevi deciso oppure hai cambiato stile?
Assolutamente sì, continuo per la mia strada.
Una domanda alla quale non puoi sfuggire: hai già in programma una prossima mostra? La Capsule della Soho House ha sicuramente acceso l’interesse di molti appassionati d’Arte e visto il successo mi viene da pensare che stai pensando di ripetere. Ci puoi dire qualcosa sui tuoi programmi artistici futuri?
Sto lavorando alla seconda mostra proprio in questo periodo. (E finalmente sorride)
Sono curioso di sapere che ruolo svolgono nella tua vita i social media. Sono accostabili e utilizzabili a favore del tuo lavoro?
I social sono e saranno fondamentali. Credo che pochi lavori, se non nessuno – intendo nell’ambito creativo – “direbbero” che i social non fanno la differenza.
Finisce l’intervista e mi rendo conto che non riesco a vedere Iva “solo” come modella. È artista a tutto tondo, per come si esprime, per come si veste, per come è naturale, riflessiva, indipendente e originale e, al medesimo tempo, imprendibile. La vedo allontanarsi sulla antica strada del borgo, figura minuta ma che si impone agli sguardi, lo so che sta (metaforicamente) marciando con una precisa idea in testa alla quale dare corpo senza fretta. Come peraltro dice lei stessa, il suo è “Un progetto per seguire per tutta la vita un corpo che cresce”. Buona crescita, Iva.