Vicino ad Atene un graffito mostrerebbe un tempio antecedente al Partenone

Le vie dell’archeologia sono davvero infinite. E talvolta anche bizzarre e affascinanti. È facile che un grande cratere attico a figure nere, un muro a ortostati assiro o il sarcofago di un faraone abbiano una bella storia da raccontare, che possano essere la chiave di accesso a una porzione della storia del nostro passato che ancora è poco nota.

È molto meno facile che lo sia un umile coccio, un pezzo di intonaco o il femore di chissà quale povero disgraziato. E invece l’archeologia sa percorrere ogni via per raggiungere il suo scopo. E allora anche un graffito, probabilmente realizzato da un annoiato pastore durante una delle solite passeggiate alla guida del suo gregge, può improvvisamente accendere un’insperata luce su qualcosa di molto più grande.

La collina di Barako e le aree circostanti l’abitato di Vari, in Attica, sono ormai da qualche decennio note agli studiosi per via dell’enorme concentrazione di graffiti che le naturali concrezioni di marmo ospitano ormai da secoli. Semplici disegni, animali, piccole imbarcazioni, guerrieri, scene di sesso, oppure semplici scritte, come nomi o dediche, scritte molto probabilmente dai tanti pastori che vagavano annoiati per quelle colline alla fine del VI secolo a.C., come il dato epigrafico sembra confermare.

Schizzo del graffito che indica linee e lettere ragionevolmente sicure Foto per gentile concessione dellArchaeological Institute of America e dellAmerican Journal of Archaeology

Uno di questi disegni ha attirato l’attenzione degli studiosi olandesi e americani impegnati nel loro studio. Lo schizzo stilizzato, opera di un certo Micone, della facciata di un edificio a cinque colonne, che il nostro pastore non manca di identificare: l’hekatompedos. Questo strano termine è in realtà un aggettivo, significa “lungo/grande cento piedi”, ma solitamente, sostantivizzato con l’articolo, sottintende la parola “edificio”, ma soprattutto “tempio”, designando – appunto – un tempio grande cento piedi, e dunque enorme.

Questi edifici sono ben noti agli storici, sono citati spesso nelle fonti letterarie e epigrafiche, ma, a dispetto delle informazioni in nostro possesso, di loro si sa ben poco in termini di struttura e funzioni. Quello che però sappiamo con buona certezza è che probabilmente l’hekatompedos più famoso sorgeva sulla collina più importante di tutta l’Attica, l’Acropoli di Atene, la casa del Partenone.

Le epigrafi ci dicono chiaramente che lì – sull’Acropoli – sorgeva, almeno fino alla distruzione persiana della città nel 480 a.C., un tempio noto come hekatompedos. Dove potesse sorgere è ancora oggetto di discussione, vari settori della collina sono stati proposti, ancor più misterioso è come potesse essere fatto.

Ma Vari è a meno di 20 km di distanza da Atene, e spettacolari scorci dell’Acropoli sono ancora oggi visibili dalle colline circostanti. E allora non è peregrino pensare che in una calda mattina il pastore Micone, per ammazzare il tempo, non si sia messo a incidere la pietra. Da lontano scorgeva Atene e i suoi grandi edifici, magari era riuscito persino a visitare la polis un giorno, e uno dei templi lo aveva lasciato colpito per via delle sue dimensioni. Uno schizzo elementare, forse anche infedele alla realtà (non sono attestati edifici templari con cinque colonne in facciata, se non sporadiche eccezioni), magari già dimenticato poche ore dopo. Un disegno fatto per ingannare il tempo.

Eppure giunto fino a noi con una storia. Una storia incredibilmente affascinante e molto importante. Non riesco davvero a rimanere indifferente di fronte a queste dimostrazioni dell’effetto farfalla di Lorenz (i fisici mi scusino la probabile banalizzazione). Piccoli e insignificanti eventi che giocano ruoli decisivi. Fate bene attenzione a quello che lasciate di voi in giro.

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