In questa rubrica vi raccontiamo storie, aneddoti, gossip e segreti, veri, verosimili o fittizi riguardanti l’arte e gli artisti d’ogni tempo. S’intende che ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti sia puramente casuale…
Di Angelo Morbelli è nota la sua propensione al realismo sociale, tanto che per anni è rimasto noto come “il pittore dei vecchioni”, per la sua abitudine nel ritrarre gli ospiti del Pio Albergo Trivulzio, a Milano, e “il pittore delle mondine”, dal momento che un altro soggetto prediletto erano le mondine delle campagne del Monferrato, da cui proveniva. Tale e tanta era la sua adesione al realismo, che al Pio Albergo Trivulzio (“ove cè sempre argomenti per pittura e qualche cosetta farò ancora, del resto, se non saziasse, ce né per tutta la vita”), prese una stanza in affitto, per restare più a diretto contatto con i suoi amati anziani, e con la variegata umanità che, caduta in disgrazie economiche, lo abitava (“tutti posavano per lui”, scrive Raffaelle Calzini nel catalogo della mostra alla Galleria Pesaro, nel 1930: “dall’antico volontario per Garibaldi, l’ex ballerina del Carcano, la frusta commediante che aveva recitato con Gustavo Modena, il servitore fedele e il cocchiere padronale licenziati per tarda età andavano incontro a Morbelli come un amico”).
Propensione realista, o iperrealista, che lo portava anche a leggere compulsivamente i giornali e a trarre da quelli le notizie su cui poi imbastire i propri quadri: a proposito del celebre quadro Asfissia, abbiamo scoperto (e riportato qua: Asfissia! Un quadro di Morbelli, due giovani innamorati. Un giallo nella Milano del 1800. Finalmente risolto), la notizia di cronaca, fino ad allora inedita, da cui il pittore ebbe l’ispirazione per la realizzazione della sua celebre tela, primi in assoluto a trovare la soluzione a un “giallo” irrisolto da più di cento anni dietro alla tela tanto discussa e così poco apprezzata dalla critica, al punto che il pittore fu costretto in seguito a tagliarla in due, eliminandone la parte più esplicitamente macabra e “delittuosa”.
Il fatto è che Morbelli, scontroso di carattere e di indole un po’ cupa (“un temperamento chiuso, riflessivo e malinconico”, lo definisce un critico coevo), aveva una particolare predilezione per la cronaca, meglio se nera, tragica, o malinconica, con ragazze morenti e dolenti stese languidamente su letti d’ospedale, e una spiccatissima disinvoltura nel trarre da quella i soggetti dei suoi quadri.
Dovendo ad esempio esporre in Inghilterra, all’Italian Exhibition in London nel 1888, un quadro nel quale aveva ritratto una nipote, tale Ginetta Pagani, figlia della sorella di sua moglie, ricoverata nella sua residenza di famiglia alla Colma di Casale Monferrato perché malata di tisi, non si fece scrupoli nel cambiarne al volo il tema, denominandolo Venduta: l’idea, infatti, pare gli fosse venuta nel leggere sulla Pall-Mall Gazette (come si evince dal sottotitolo con cui lo presentò in catalogo, “A Subject Pall-Mall Gazette”), la notizia, che all’epoca aveva fatto molto scalpore, di una ragazzina di appena 13 anni che era stata venduta dalla madre a un nobiluomo londinese, tale W. T. Stead, membro influente della Salvation Army, il piissimo Esercito della Salvezza, per soli 5 pounds: il quale ne aveva poi riportato il caso a un giornale, ma in forma anonima, con l’intenzione, precisò, di “dimostrare quanto fosse facile comprare minori allo scopo di costringerli alla prostituzione” e denunciare quindi “il traffico delle bianche a Londra” (Stead venne in seguito scoperto e arrestato, e condannato a tre mesi di carcere a Holloway Goal: il clamore della vicenda fu tale che il Parlamento nel 1885 approvò il Criminal Low Emendament Act, che elevava l’età minorile da tredici a sedici anni…). Il quadro di Morbelli, così esplicitamente intitolato, manco a dirlo, riscosse un successo clamoroso nella terra d’Albione, pari quasi allo scandalo della vicenda da cui aveva preso l’avvio, tanto che il Morbelli se ne vantò e ampiamente rallegrò con gli amici pittori scapigliati e realisti milanesi, con i quali amava comunemente ritrovarsi al Circolo della Famiglia Artistica Milanese di via De Amicis.
La disinvoltura e la caparbietà con cui amava adattare la realtà ai suoi dipinti fu tale, che, arciconvinto che al Pio Albergo Trivulzio, che frequentava sempre con assiduità per dipingere dal vero i suoi “veggion” (i vecchioni, in dialetto milanese), ci fosse “ancora molto da raccogliere in fatto di sentimento e pittoresco”, nel 1901 scrive all’amico Pellizza da Volpedo, lamentandosi che fossero stati eseguiti dei lavori di tinteggiatura degli interni dell’ospizio, coi “muri e plafoni tutti odiosamente imbiancati”, da cui erano persino state rimosse anche le vecchie stufe, sostituite con dei più moderni (e certamente più efficenti per lo scopo a cui dovevano servire) caloriferi ad acqua: “Caro Pellizza”, scrive all’amico, “ho subito una tremenda illusione al Pio Trivulzio! Tutto fu restaurato imbiancato sino al delirio, sparì quel giallume d’antico che armonizzava così bene col costume e con le incartapecorite facce dei ricoverati!!”, “insomma un disastro (per mè!!)”. Decisamente, un bell’esempio di umanitarismo realista e anche un poco socialista, com’era d’uopo descrivere questo stinco d’uomo e di pittore…
Ma tanta adesione per così dire “realista” finì per risultargli fatale. Tale e tanta fu la sua adesione ai costumi e alle ristrettezze della povera gente che amava ritrarre, che, scontroso, chiuso e parecchio avaro per natura, si narra che, in una giornata molto fredda nel novembre del 1919, si recò, già in cattive condizioni di salute, in una bottega nella periferia della città al solo scopo di acquistare del carbone a un prezzo conveniente.
Tornò a casa febbricitante e dopo una settimana di malattia morì, il 7 novembre 1919, tristo e solo e un poco malinconico, com’ebbe vissuto. Non ebbe pur troppo neppure il conforto di vedersi ritrarre da un qualche suo pari, un pittore realista amante, come lui, della tragedia e del melodramma, sul letto di morte…
Un altro racconto su Angelo Morbelli e il suo celebre quadro Asfissia! lo trovate qua:
Le puntate precedenti degli aneddoti sulle vite degli artisti le potete trovare qua:
Picasso e quella strana passione per il bagno
Manet, Monet e quel giudizio velenoso su Renoir
Annibale Carracci, i tre ladroni e l’invenzione dell’identikit
Quando Delacroix inventò l’arte concettuale
Il senso di Schifano per la logica e per gli affari
Gentile Bellini, lo schiavo sgozzato e il mestiere della critica
Bacon e il giovane cameriere bello come il Perseo del Cellini
Filippo Lippi, quando l’arte lo salvò dai turchi
Turner: il mio segreto è disegnare solo ciò che vedo
Renoir e il fuggitivo di Napoleone III travestito da pittore
Di quando Renoir fu scambiato per una spia
Renoir e la politica del turacciolo
Corot, il falso Corot e la crociata contro gli Albigesi
Tamara de Lempicka e D’Annunzio, di un ritratto mai fatto e di un amplesso mai consumato
Modigliani e quell’affresco sparito da Rosalie di Montparnasse
Prassitele e il trucco della cortigiana Frine
Bruegel il Vecchio e quella gente che non voleva proprio uscire dalla chiesa
Di Vedova e Turcato, e di un wc intasato
Peggy Guggenheim e quel baciamano poco convenzionale di William Burroughs
Di Rembrandt, della sua avidità e di quella strana abitudine di falsare il prezzo delle aste…
Quando Depero per poco non ammazzò Balla a pistolettate
Franco Angeli e un ubriacone di nome Kerouac
Tiziano o del modo di assicurarsi un posto all’osteria
Il prossimo aneddoto sulla vita degli artisti lo trovate qua: