Dal 2011, attraverso l’arte contemporanea Dolomiti Contemporanee riattiva e trasforma luoghi critici in laboratori creativi e culturali e promuovendo una visione della montagna non viziata da uno sguardo stereotipato.
Dolomiti Contemporanee si autodefinisce un “riconfiguratore spaziale e concettuale”, attivo sul territorio veneto dal 2011, successivamente al riconoscimento delle Dolomiti quali patrimonio Unesco, e sul territorio friulano dal 2012, dove ragiona sulle potenzialità della montagna e delle arti visive per comprendere se queste siano in grado di produrre rappresentazioni non tanto descrittive quanto, piuttosto, trasformative e rigenerative. Dolomiti Contemporanee predilige quelli che definisce “luoghi della criticità”, al fine di riattivarli creativamente, collettivamente e criticamente, dando vita a una visione responsabile della montagna lontana da immaginari stereotipati e turistici. La montagna è stratificata e polimorfa e, afferma Gianluca D’Incà Levis, ideatore e curatore di DC, “per noi è un laboratorio ideale di riprocessazione di funzioni, servizi, ricerca”.
Negli anni sono stati identificati alcuni siti e spazi (all’incirca venti) dal forte potenziale i quali, tuttavia, prima dell’intervento di Dolomiti Contemporanee riversavano in uno stato di trascuratezza e di incuria: si tratta prevalentemente di fabbriche, scuole, strutture sportive abbandonate e complessi d’archeologia industriale da rivitalizzare tramite l’arte contemporanea, la ricerca d’innovazione e una politica di occupazione, che sia temporanea o permanente.
Le fabbriche, da luoghi di produzione strettamente economica, diventano luoghi di produzione culturale e artistica, oltre che di incontro e scambio. Come anticipato, alcuni dei siti vengono occupati temporaneamente e così, dopo essere stati abitati per mesi, a fine stagione vengono salutati dagli artisti che hanno risignificato e arricchito questi luoghi che, successivamente, saranno riaffittati e rigenerati per andare a ricoprire un ruolo attivo per il territorio.
Tra i luoghi di “occupazione permanente”, si possono menzionare il Nuovo Spazio di Casso, un’ex scuola elementare, chiusa dopo il disastro ambientale del Vajont (1963) e riaperta nel 2012 come Centro sperimentale per la Cultura Contemporanea della Montagna e del Paesaggio. Rispetto alla politica culturale di riattivazione dei luoghi propria di Dolomiti Contemporanee lo Spazio di Casso è indubbiamente emblematico per la storia che lo precede e lo circonda e che risulta visibile dallo Spazio stesso: il restaurato corpo di fabbrica fronteggia infatti il segno della frana del Monte Toc.
Qui la volontà è quella di passare dal dolersi della tragedia all’azione, a un riuso del sito rispettoso del passato, attraverso programmi speciali, esposizioni e mostra che “sono dispositivi della ricerca, delle pratiche che servono a costruire reti”. In particolare, la stagione 2024 è incentrata, tra le altre cose, sulla geologia, intesa quale lente per indagare le specificità del territorio e della montagna e, seguendo questo filone, presso il Nuovo Spazio di Casso è stata inaugurata la mostra collettiva Le fogge delle rocce (27 luglio-31 dicembre 2024). Attraverso la geologia, è possibile guardare a un’estetica metamorfica, della plasmazione e della riplasmazione dell’ambiente, di un continuo modificarsi di esso.
Dal 2014, inoltre, Dolomiti Contemporanee ha attivato un’importante piattaforma di rigenerazione sul sito dell’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore, dove ha situato anche il proprio quartiere generale. Qui, negli anni Cinquanta era stato avviato un esperimento di architettura e welfare aziendale, quando Enrico Mattei ha voluto realizzare una colonia estiva per i figli dei dipendenti dell’Eni.
L’enorme complesso, progettato da Edoardo Gellner, colpisce per la cura dei dettagli, per l’attenzione alle diverse fasce d’età degli ospiti e per la sua visionarietà. La colonia, dopo aver funzionato a lungo (e, se si vanno a leggere le recensioni Google del luogo, ha donato tanti ricordi a molti adulti un tempo bambini frequentatori della colonia), è stata dismessa e in gran parte venduta. A oggi, lungo il corso dell’anno si susseguono nella colonia residenze di giovani artisti (dal 2011 più di duemila artisti hanno attraversato le strade di Borca), incontri ed eventi che coinvolgono non solo artisti visivi, ma anche scienziati, architetti, fotografi, designer, geologi, scienziati forestali, con una pratica polimorfa e un’apertura interdisciplinare.
Il progetto si impegna nel dare forma a sistemi articolati di reti che fungono da ossatura di sostegno al progetto, che è supportato da oltre un centinaio di soggetti pubblici e privati (complessivamente, negli anni, cinquecento partner hanno creduto nel progetto), le quali forniscono i materiali, i supporti alle lavorazioni, l’assistenza, per realizzare le opere.
Dolomiti Contemporanee, inoltre, affianca a tutto ciò una produzione editoriale e un lavoro di ricerca; relativamente a ciò, pare qui attuale fare riferimento al lavoro che si sta compiendo in vista delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026 e volto a mappare le trasformazioni del paesaggio, sempre con una prospettiva di riuso e rivalorizzazione di ciò che già c’è. Dolomiti Contemporanee lavora così strenuamente tra passato, presente e futuro, con i piedi a terra ma seguendo lo slancio vertiginoso delle montagne, con una pratica di “alpinismo culturale: a noi piacciono i versanti scoscesi, dove l’arte può avere una grande funzione di apertura”.