Per estensione di linea di un brand si intende la possibilità di un brand, forte in una categoria, di poter abbracciare commercialmente ulteriori categorie in settori diversi. Un esempio può essere un brand di alta moda che crea profumi (Armani ad esempio), oppure un’azienda automobilistica che produce vestiti o orologi (Ferrari, Porsche, Mercedes, BMW) o un’azienda di prodotti caseari che produce sughi, come nel caso di Barilla. I manager ritengono che usare brand esistenti per nuovi prodotti rappresenti un’accelerazione, tanto che si stima che l’80% dei nuovi prodotti arrivi da estensioni di linea (B. Kanner in Growing Pains—and Gains: Brand Names Branch Out).
In verità le estensioni di linea sono molto insidiose per i brand. Chi ha un brand forte potrebbe immaginare una certa facilità nell’usarlo anche per categorie di prodotti totalmente diverse. Questa ipotesi non è affatto scontata. Al Ries (Le 22 immutabili leggi del marketing) sostiene che i brand dovrebbero trattenersi nell’effettuare estensioni di linea, in quanto in ogni categoria i consumatori accettano non più di due leader e tipicamente un leader di una categoria non può anche essere leader di una categoria completamente differente. Un noto brand che ha fallito nelle estensioni di linea è Coca-Cola, non riuscendo a scalzare RedBull, ad esempio nel segmento degli energy drink. Coca-Cola preferisce avere Fanta per la aranciata, piuttosto che Coca-Cola Orange. Usare un noto brand per categorie diverse è tutt’altro che cosa scontata.
Nel nostro percorso di capire la relazione tra arte visiva e teoria del branding vogliamo indagare come l’arte possa aiutare un brand a effettuare estensioni di linea. La ricerca in questo settore non è vasta ma certamente vale la pena portare in evidenza il lavoro dei ricercatori Henrik Hagtvedt e Vanessa M. Patrick (del dip. marketing dell’università della Georgia, USA) che nel paper del 2008 Art and the brand: The role of visual art in enhancing brand extendibility affrontano con grande attenzione questo tema. Il punto focale su cui si basano i due ricercatori è che non è il nuovo prodotto o la nuova categoria che devono attrarre lo sforzo marketing al fine di guadagnare un nuovo posizionamento nella mente dei consumatori. Se Tommy Hilfiger vuole creare delle scarpe tecniche da corsa, prima di lavorare nel far percepire il nuovo prodotto come autorevole nel suo specifico segmento, dovrebbe prima lavorare sull’autorevolezza del brand e sulla flessibilità cognitiva del suo pubblico.
L’estensione di linea richiede brand che abbiano caratteristiche di stile, qualità e reputazione, tutte caratteristiche che raramente sono associate ad un singolo prodotto. Prima di effettuare una estensione di linea un brand deve accertarsi che ci sia una aderenza cognitiva tra il consumatore ed il brand stesso. I ricercatori hanno dimostrato che l’arte visiva ha due caratteristiche fondamentali per ottenere questa aderenza. In primis l’arte viene associata ad eccellenza, prestigio, qualità e tutto ciò che è associato alle classi più benestanti. L’arte è tradizione culturale, quindi infonde sicurezza e connessione con l’aspetto temporale, contribuisce a ridurre l’ansia nei confronti delle novità. Come secondo effetto l’arte favorisce la flessibilità cognitiva. Se un brand è maggiormente associato all’arte, o se l’arte è una delle proprietà che si riconoscono al brand, il consumatore è maggiormente disponibile ad usare la sua cognizione per accogliere nuove direzioni e novità.
Non meno importante è lo studio di Michael Barone ed altri che dimostra come un’attitudine positiva del consumatore faciliti la sua decisione nell’accettare prodotti di nuove linee di brand a lui cari (The Influence of Positive Mood on Brand Extension Evaluations). Dimostrano (ipotesi H3 del paper) come un’attitudine positiva del consumatore lo porti a percepire il brand come certamente competente per creare la nuova linea.
Un aspetto che merita di essere esplorato è se l’arte debba entrare nello storytelling del brand in modo continuo come nel caso di Absolut Vodka (Absolut book: the Absolut Vodka story, Richard Lewis, 1996) oppure su specifici lanci (come il progetto della Maybach e David Lachapelle presentato a Milano nell’aprile del 2024). L’arte quindi può essere utilizzata dai brand per espandere la cognizione del brand stesso verso un valore maggiore, flessibilità cognitiva e associazione ad attitudini positive. I ricercatori non riescono a identificare nel dettaglio le ragioni per cui questo avviene (si veda l’effetto Mozart), un’ipotesi è l’uso dell’arte come strumento di comunicazione pre-linguistico nella preistoria.
A tal uopo tuttavia vale la pena accennare a un altro rilevante studio, che può fornire elementi di base, si tratta del lavoro di Annamma Joy and John F. Sherry (Speaking of Art as Embodied Imagination: A Multisensory Approach to Understanding Aesthetic Experience, in Journal of Consumer Research, Vol. 30, No. 2,2003 ). L’articolo sostiene che l’esperienza fisica nel processo di fruizione svolge un ruolo fondamentale nel modo in cui gli individui percepiscono e apprezzano l’arte, che può essere compresa a due livelli: il livello fenomenologico, dove le persone sono consapevoli delle loro sensazioni e azioni, e il livello dell’inconscio cognitivo, dove i meccanismi sensomotori del corpo influenzano il pensiero astratto e il ragionamento. In sostanza gli autori propongono che l’apprezzamento dell’arte possa essere analizzato attraverso esperienze fenomenologiche (consapevolezza cosciente delle sensazioni e delle azioni) e processi dell’inconscio cognitivo (meccanismi corporei sottostanti che influenzano il pensiero astratto). L’uso dell’arte per i brand quindi non è solo un’associazione cognitiva, ma piuttosto deve includere anche un’esperienza fisica. Louis Vuitton nella sua recente collaborazione con Yayoi Kusama ha trasformato i suoi spazi di vendita in ambienti immersivi di fruizione artistica. I prodotti erano parte di una curatela artistica.
La prima parte di queste riflessioni su Arte e Brand le abbiamo pubblicate qua: